mi osserva rincasare ogni sera,
ha sempre gli occhi lucidi
e il suo bambino in braccio.
Lei dice,
che è figlio della sfortuna e di una notte impazzita.
La ricordo sulla soglia, fresca di rossetto
e di quel profumo di mare in burrasca.
Mi salutava
e la sua voce sembrava sempre
una frase non finita, una parola ancora da dire.
Mi confidò un sogno sulle scale.
Di lei distesa sul prato,
mentre in cielo l’ombra di una luna corsara
spegneva ogni stella di troppo
e poi quella musica strana,
quella musica che di notte ti prende la pelle.
Solo una volta l’ho baciata sull’orlo della porta
tra l’odore del cibo sul fuoco
e le illusioni già spese di un vaso di fiori appassiti,
mentre con voce di rabbia suo padre la chiamava per nome.
Poi il tempo è diventato un mantello di nebbia
e i giorni solo vecchi numeri da contare.
La ragazza della porta accanto
mi osserva rincasare ubriaco,
negli occhi ha sempre il pianto di quel bambino
e ostinata ripete di sapere chi è il padre,
che il padre sono io.
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