forgia lama acuminata di saetta.
Boato fragoroso del tuono da un velo
accentua ferale colpo di nero ovattato.
Sull’aia sprovvista agreste latrato,
contigua all’asfalto e al cemento
oscilla parabolica antenna sul tetto
in vortici di foglie dal margine palmato
che il vento strapazza e piroetta.
Quale supremo infame peccato
cela la terra, questa notte d’irruenza,
sopraffatta dall’iracondia del cielo?
Cosa nasconde, proterva irriverenza,
per subire tanto livido sfacelo?
Quale mostruoso torvo cipiglio
svela nel turbine dell’aere alterato
da tuoni e da lampi, a tratti vermiglio?
Nella mansueta baldanza della quercia
percossa e mai e poi mai vinta,
dalle massicce radiche interrate,
dal più esile ramoscello tangente l’azzurro,
vi trovo la risposta anelata al primo sussurro
di pioggia che cade sorpresa e convinta.
Quando le falde da lassù si aprono grevi
e precipitano cascate da dirupi ossessivi,
l’afa opprimente si fa respiro rinnovato:
si placa la sete di un’ora o di un’era
centenaria, millenaria, che importa?
Se il plumbeo si disfa e in fuga di sorta
non esita, e dai pensieri se n’è già andato...
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