Chiamo vuoto
quel ronzio che ascolto
giacendo in un paio
di lenzuola lerce,
con la fronte che traspira
e un' iride blu immota
mentre osserva una
sottile lama di luce
che valica la stretta serratura
di una porta
che è anche
stanza e prigione.
E vorrei che a cingermi
le caviglie vi fosse
la segale acerba,
che la mia mente non
parlasse una lingua
farfugliante.
Appoggio le mani alle tempie
sperando riescano a
riordinare i pensieri,
contraggo ogni fibra del mio corpo,
desiderando la stessa
forza.
quel ronzio che ascolto
giacendo in un paio
di lenzuola lerce,
con la fronte che traspira
e un' iride blu immota
mentre osserva una
sottile lama di luce
che valica la stretta serratura
di una porta
che è anche
stanza e prigione.
E vorrei che a cingermi
le caviglie vi fosse
la segale acerba,
che la mia mente non
parlasse una lingua
farfugliante.
Appoggio le mani alle tempie
sperando riescano a
riordinare i pensieri,
contraggo ogni fibra del mio corpo,
desiderando la stessa
forza.
Poesia scritta il 06/06/2023 - 12:48
Letta n.295 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Concordo, non c'è altro da dire, potente e basta
MARIA ANGELA CAROSIA 07/06/2023 - 10:43
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Una parola...potente.
Anna Cenni 06/06/2023 - 20:44
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