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LUCANIA ON THE ROAD

Potenza, 4 Agosto 2011


Io sono Salernitano, precisamente di Eboli.
Dunque Campano, dunque Meridionale, dunque Italiano.
E sono fiero di esserlo.
Ma c'è nell'aria oggi una sensazione che ho deciso di esternare con forte emotività su carta, dei sentimenti che prorompono nell'animo decisamente con una piacevole invadenza verso una terra che non è propriamente la mia, ma è come se un po' lo fosse diventata, ex aequo con la mia patria d'origine.
Sto parlando della Lucania, al secolo Regione Basilicata.
Forse la regione più "particolare" del Mezzogiorno d'Italia: particolare perché è unica nella sua ricca povertà genuina, tanto grande che ti si mostra a nudo, così com'è.
La Lucania non ha nulla di ricco: è questa la sua particolarità.
E non può mentirti.
E non ti può nascondere nulla.
E' un tardo pomeriggio di una rovente serata di inizio Agosto, e passeggio per le strade del Capoluogo: Potenza, una piccola città che è capoluogo per un popolo di umili origini che vedono come propria Capitale e come città da cui trarre esempio Napoli, crocevia del Sud Italia e principale centro.
Mi ritrovo nella movida di via Pretoria, la strada principale di questa provincia così piccola e ristretta ma così compita, lontano dal tran-tran quotidiano della metropoli.
La Lucania è diversa: è la piccolezza, nel senso più nobile del termine, fatta regione.
Un luogo dove ritrovare sé stessi.
Un pezzo d'Italia lontano anni luce dalla nostra nazione, intatto.
Scrivo mentre cammino perché il vortice di impressioni da registrare è talmente grande da non concedere altro tempo posteriore: tutto va fatto subito, immantinente.
E sotto il Sole dell'Estate mediana è delizioso avvertire la parlata dolcemente ristretta e chiusa dei ragazzi che atterrano qui in provincia da chissà dove, un po' come me con la mia Salerno, e parlano di viaggi sulla Route 66, della fine del mondo; e dicono alla propria amata di vedersi per le otto e mezza stasera, e mangiano un gelato, e vedono vetrine nel corso, e via.
Tutto in un'assurda tranquillità che ti entra nelle ossa prepotente e che ti fa piacere, e che difficilmente ritroverai nelle nostre "affabili" città le cui bellezze sono storpiate, irrimediabilmente, dal modernismo sfrenato.
E tornando indietro di un paio di giorni, vale la pena discendere la Lucania di un'altra centinaia di chilometri e raggiungere l'altro capoluogo di questa terra, nonché una delle città più belle e particolari dello stivale: Matera.
Dove la luce comincia già a essere quella dell'Africa, dove la parlata inizia già ad essere quella pugliese per la sua difficoltà di comprensione, dove le costruzioni in tufo ed i Sassi ricordano pienamente la lontana eppur vicinissima Palestina.
Dove il pane è caldo anche due ore appena sfornato ed è una delizia, dove di notte le cave illuminate danno l'impressione di un enorme presepe all'aria aperta, trecentosessantacinque giorni l'anno.
Dove la gente è gentile con te e non ci pensa su due volte a fermarsi a parlare, pur conservando dentro una dura scorza che, purtroppo, nelle avversità, questa terra consolida.
Fortemente.
Di sera è bello passeggiare per le strade di via Ridola e fermarsi ad osservare, sulla bellavista, il panorama che umilmente e prepotentemente questa città offre.
Nel bene e nel male.
Addentrandosi poi nelle montagne materane, ecco comparire paesini di cui il più grande e principale è Stigliano, una volta Capitale della Provincia di Basilicata, nel Regno delle due Sicilie; paese dove i suoi figli, ormai emigrati ovunque, tornano per le feste, e questa città li accoglie sempre come una madre accoglie un figlio che ha fatto carriera nella sua vita in un altro luogo, e che ogni tanto torna per dare sue notizie.
E allora tutti insieme a ritrovarsi nelle cantine, a bere, a mangiare la pasta tipica di Stigliano, con tante cose da raccontare; e forse anche con tanta, ma tanta malinconia.
E con una voglia matta di rimanere qui con la consapevolezza che non ti è possibile, se vuoi sperare in un tuo autonomo futuro.
Un po' più su di Stigliano c'è Aliano, paese che vive di rendita in quanto ha l'onore di aver ospitato Carlo Levi nel suo anno di confino, il quale, innamoratosi follemente di questa terra contadina, decise di riposare qui per il resto dell'eternità.
Dalla terrazza della sua casa la vista sui particolarissimi "calanchi" è meravigliosa, ma oramai è un paese che vive sostanzialmente di ricordi: quattro anziani seduti ai tavolini di un bar parlano del più e del meno e di lontano cominciano malinconicamente a sentire l'odore della morte.
Punto.
Salendo un po' sui rilievi e sui poggi Stiglianesi, ecco comparire il bosco di Accettura, dove è presente un'area pic-nic in cui, in Estate, si serve arrosto persino alle tre di notte: per assaggiare le squisite bontà tipiche di questa terra e rimanere piacevolmente indigesto per chi soffre di stomaco come me.
E intorno canzoni da ballo di ormai un decennio indietro, come a voler dire che qui il tempo viene scandito molto più lentamente, e che si invecchia più tardi.
E magari si vive di più, persino dopo una vita passata a spaccarti la schiena nei campi.
Sempre nel Materano ricordo Tricarico, elegante borgo simil-medievale sulla strada per Grassano; era pieno di teste canute nella Villa Comunale.
E poi ancora la Diga del Pertusillo, sulla strada per Stigliano, che compare all'improvviso sulla statale, a destra dell'abitacolo e del finestrino.
E del Cuore.
Tornando un po' indietro nel tempo, ricordo l'antichità di Grumentum Nova, segno che la classicità greco-romana è passata anche di qui.
Non rimembro molto; solo che batteva un sole africano e che tutt'intorno vi era un tranquillo silenzio e il gracchiare delle cicale nel primo pomeriggio di un torrido Luglio del 1998.
E che più volte si sbagliò strada nel tornare da quei luoghi tenuti fuori dalla modernità, dalla contemporaneità, dove la strada si spiana verso gli orizzonti appuli del Sud-Est, verso le terre di Federico II, il puer apuliae che tanto contribuì, nell'ambito della sua Magna Curia, a divulgare una cultura e una tradizione letteraria talmente ampie da arrivare fino ai giorni nostri.
E che decise di costruire molte delle sue dimore anche qui, in terra Lucana.
E l'Imperatore ha lasciato molto in queste terre: in un ricordo più recente si schiariscono dalle nebbie dei ricordi il Castello di Lagopesole, un'enorme fortezza rude ed imponente nel comune di Avigliano, famosa per le sue centomila frazioni tra cui c'è Possidente, dove vive un mio ex compagno di classe delle medie dileguatosi da sei anni e che chissà quando rivedrò, e se lo rivedrò soprattutto; e poi Melfi, di cui ricordo davvero poco, se non questo imponente castello e un'enorme panorama offerto dalle valli brulle del Potentino.
Avvicinandomi nel tempo ecco che ricordo la mia escursione ai Laghi di Monticchio, presso il comune di Rionero in Vulture, dove gli alberi, con le loro foglie rossastre, ricordano un eterno tempo autunnale del Cuore, mentre l'acqua e le fonti zampillano discrete nella cristallina acqua basilesca.
Mentre un altro anno si avvia alla fine dei suoi giorni e qui non cambia, no, non cambia niente.
E poi il Volo dell'Angelo, tratto che collega Pietrapertosa a Castelmezzano, passaggio da attraversare attaccati a un cavo d'acciaio in volo, a centoventi metri d'altezza.
Come dire... un anticipo del Paradiso, un assaggio.
Su un paesaggio arroccato e mozzafiato.
E tornando ad oggi, a questo prossimo passato, come dimenticare Lauria? Una città che si erge a strati, nelle sue parti Superiore e Inferiore, ai piedi del monte Sirino.
Il giorno in cui vi approdai era leggermente nuvoloso, il 31 Luglio 2010, dopo un confusionalincitante concerto di Ligabue, e la prima tappa in territorio lauriota fu quella del Lago Sirino, il cui paesaggio, la cui conformazione, ti fanno totalmente dimenticare di essere in Basilicata, assumendo perlopiù conformazioni alpine, da confini Brennerici.
Lauria è un grande centro rispetto ai paesini contigui, ed ha proprio la struttura d'una città, seppur nei termini di paragone Lucani; è devota a San Nicola di Bari e al Beato Domenico da Lentini, e per le strade dove una modernità appena accennata prende posto, l'odore della campagna lavorata e delle focacce appena sfornate s'impossessa furiosamente delle tue narici.
E risalendo un po' la valle dell'Agri ecco comparire Viggiano, legata al culto della Madonna Nera, Regina e Protettrice della Basilicata, originariamente bianca e divenuta nera per il fumo emanato dalle candele sottostanti in più di cinquecento anni.
Si dice che sia stata rinvenuta mentre si scavava un buco in una chiesa-caverna; gli scavatori, attratti dall'apparizione di misteriosi fuochi, si diedero da fare indefessi, e trovarono questa madonna particolarissima.
Si narra che la Chiesa protagonista del culto si trovasse divisa tra due comuni: Viggiano, appunto, e Marsico Vetere; visto e considerato che le popolazioni si contendevano la devozione alla Madonna, e dunque l'elevazione a Matrona del Paese, per evitare di sfociare nella violenza, stabilirono che venissero aperte le due porte dell'edificio trovantesi nei due rispettivi comuni: nel territorio in cui si sarebbe chiusa la porta per prima, sarebbe stato instaurato il culto alla Vergine.
La porta che si chiuse prima fu quelladi Viggiano, e fu così che quest'ultimo risultò essere il paese detentore del Matronato di Santa Maria.
Viggiano, oltre ad essere però luogo di culto, è anche sede degli unici stabilimenti petroliferi presenti in Italia; il petrolio, difatti, risorsa preziosa e rara, è presente nel territorio nazionale in minima parte, e solo in Lucania.
Arrivando ai confini con la Campania, ecco trovare quella che per me è la Porta della Lucania, il paese basilesco a me più caro: Caggiano, un'enclave Lucana in provincia di Salerno.
Ceduta alla Campania durante la formazione delle province nel nascente Regno d'Italia, situata ai piedi del monte Capolaserra, la cosiddetta montagna col "ciuffo", Caggiano è come se fosse un po' la mia seconda città: mio nonno è caggianese, e sin dalla più tenera età ho frequentato questo paesino con costanza; abbiamo una casa in località Fontana Caggiano, così chiamata perché è qui presente un'enorme fontana sprizzante acqua fresca proveniente direttamente dalla montagna, dove le donne sono ancora use a farvi il bucato a mano.
Ricordo che avevo quattro anni, quando, preso dall'incosciente voglia di imminente refrigerio, mi buttai nella fontana gelida e trascinai anche mio nonno che per poco non si sfracellava.
Caggiano è amministrativamente salernitana, ma fisicamente e tradizionalmente appartiene pienamente alla Lucania, ne è la porta d'ingresso, essendo al confine con Vietri di Potenza.
Il suo paesaggio, brullo e desertificato, le sue tradizioni, i suoi abitanti, le loro parlate, non hanno nulla a che vedere con Salerno, nulla.
Caggiano è lucana.
A Caggiano come ad Eboli ho molti dei ricordi a me più cari; poi, presso il fiume Melandro, c'è la linea di confine con Pozzignoli, già lucana: e ho questa foto in cui ho un piede in territorio Campano e un altro in territorio Lucano.
Originale.
Quanti posti visitati e vissuti, questa Lucania, e quante storie da lei partorite, raccontatemi, che hanno ispirato molte componenti dei miei scritti.
Questa Lucania con cui intrattengo un rapporto di amore / odio, in quanto a volte a pensarci preferisco la ricchezza dell'ambiente dalla Campania in su verso il Nord e la scatenata frenesia delle nostre città; ma quando poi mi ritrovo in queste terre, ritrovo me stesso, le mie idee, il mio spirito.
Quel classico luogo fuori dalla quotidiana età fatto apposta per guardarsi dentro, riflettere, capire.
E dunque è il rapporto contrastato che un figlio ribelle ha con un genitore, anche se non è la mia terra materna; quella sorta di insurrezione che la gioventù provoca e che solo la maturità potrà allimare e fare in modo che sia possibile avere una visione olistica, completa.
Quante storie davvero, la Lucania: è un libro aperto già scritto e ancora da scrivere.
Tanti racconti ascoltati con attenzione e passione, ma che ora si affollano nella mente e chiedono di uscire uno alla volta, senza fare confusione.
Come quando quel contadino si ruppe le ossa di tutte e due le gambe e tornò a casa disteso sul carro del suo cavallo, che non conosceva bene la strada; come quando un caggianese che aveva fatto la guerra tornò nel suo paese, ed essendo tornato vestito in uniforme, gli abitanti del luogo gli appiopparono il nomignolo di "Badoglio", ereditato dalla sua famiglia ancora oggi.
Come quando un padre di famiglia si ritirava nelle cantine a bere un po' di troppo con gli amici - un po' come si fa noi oggi in pub e diavolerie varie - e tornava a casa dopo qualche giorno, ed era la moglie a dover governare interamente casa, lavoro e famiglia, allora.
Come quando ci si faceva quindici chilometri in salita per andare a lavorare, e ci si svegliava presto per andare a coltivare i campi; o come quando quei ragazzi del paese, magari belli e promettenti, se ne andarono da un momento all'altro, passando sotto gli occhi di tutti e rimanendo a lungo nella memoria.
Anche se qualcuno non li aveva mai conosciuti.
Come quando un attuale onorevole originario di queste parti ne ha combinate parecchie sottobanco, come quando un medicoscrittorepittore di Torino giunse confinato dal fascismo in questa terra e se ne innamorò a tal punto da voler riposare qui per l'eternità, come quando cinque musicisti decisero di farsi la Basilicata a piedi da una costa all'altra, come quando si andava alla Villa Comunale a giocare tutti insieme e a raccogliere pinoli, come quando si faceva tempo pieno a Scuola e si tornava a casa d'Inverno col pullman delle cinque, che era già buio e si aveva il nasino freddo e rosso, come quando alle tre di notte si va a mangiare l'arrosto, come quando si deve lasciare il proprio paesino con le lacrime agli occhi senza avere il coraggio di guardare l'ultima volta la propria casa e senza avere il coraggio di tornare per dieci anni, finché qualcosa scatta dentro e allora ci si fa forza e si torna, magari solo per due ore, per riscattare quell'ultimo pezzo d'infanzia negato troppo presto.
Come quando si scala, indefessi, una montagna irta, brulla, e si arriva in cima ponendo un'asta come traguardo raggiunto; come quando si entra in un bar alle sei del mattino e si chiede burbanzosamente un bicchiere di vino per colazione, come quando in giro per il mondo trovi compaesani che come te hanno dovuto andar via e che portano con sé un pezzo di Lucania nel mondo.
E lo si capisce dalla parlata, dai movimenti, dai comportamenti... Da tutto.
Non ci si nasconde facilmente se nasci in questa terra.
O almeno credo.
Lucania è un bicchiere di vino e una zappa, mulattiera ed autostrada, un'atmosfera rimasta straordinariamente sospesa all'immediato secondo dopoguerra e che riporta a quegli anni difficili della ricostruzione...
...Ricostruzione che qui non è mai arrivata.
O, forse, è arrivata soltanto a metà.
Lucania desiderata, Lucania cercata, Lucania scaccaita, Lucania devastata, Lucania amata, Lucania odiata, Lucania incompresa, Lucania voluta.
Non sai se è Italia o Africa, terzo millennio o paleolitico: qui il tempo si annulla, e non sai più che anno è, che giorno è.
A tu per tu con la tua anima.
Questa terra, anche se non è la mia, mi ha dato tanto: mi ha dato un quarto delle origini della mia stirpe, mi ha dato tanta ispirazione, mi ha dato tanti amici e tante persone che a oggi stimo e sono sul mio percorso, altre invece se l'è ripree.
Mi ha datto il grande amore della mia vita, l'unica donna che abbia mai amato, e per questo non smetterò mai di ringraziarla.
E ad oggi, 7 Agosto 2011, dopo quattro giorni di ntensa scrittura, qui, alle falde del monte Capolaserra in Caggiano, Io, Salernitano di Eboli, Campano, Italiano, fiero di essere tutto quanto sopra citato, voglio fare un ringraziamento speciale alla Lucania, a questa terra che alle volte non sopporto, ma che alfine amo e senza la quale non potrei vivere: la sua presenza è fondamentale nel mio essere.
Più che una semplice terra, è un'entità: un giorno le vuoi bene di più, un giorno di meno, ma sai che comunque è parte della tua vita, indivisibile.
E dal San Biagio di Maratea scambiato eternamente per il Cristo a braccia aperte come quello del Pan di Zucchero di Brasiliana memoria, lo sguardo si inoltra verso le terre dell'Estremo Meridione fino alla fine dell'Europa, e sai che in questa malebenedetta terra ci sarà sempre da scoprire, ineluttabilmente.
Lucania On The Road.
Semplicemente.
E allora vorrei concludere questo mio scritto menzionando i due film più "sentiti" sulla Basilicata, soggettivamente parlando, ossia "Cristo si è fermato ad Eboli" (1978, Italia, di Francesco Rosi, con Gian Maria Volontè) e "Basilicata coast to coast" (2010, Italia, di e con Rocco Papaleo) e riportando il testo di una canzone che ho scritto proprio a Caggiano il 25 Aprile 2010, dedicata alle mie due terre del Sud che amo sconfinatamente: la Campania e la Lucania.
Avrò sicuramente dimenticato tanti altri particolari: forse li avrò inseriti nel testo che avete letto mentre lo rileggevo e lo correggevo, forse sono semplicemente rimasti dentro me perché così hanno deciso di agire: da veri Lucani, in silenzio, senza troppe cerimonie e senza troppi fronzoli.
Compitamente.
Grazie.


Caggiano, 7 Agosto 2011


MANUEL MIRANDA




Caggiano, 25 Aprile 2010


...CON UN PIEDE IN CAMPANIA ED UN ALTRO IN LUCANIA
(Testi e Musiche: MANUEL MIRANDA)



Identità diverse,
eppur così vicine,
tra le strade pietrose
di questo Sud che scotta,
tra le valli inasprite
da un'arida natura
fascinosa e senza tempo,
tradizione e ribellione
dietro a un sole assai coperto
dalla splendida illusione
di una civilizzazione
a metà tra il mare e il monte,
tra modernità e passato,
fermo qui, davanti al fiume,
su una linea di confine
con un piede, qui, in Campania,
ed un altro, lì, in Lucania.
Sento il cuore dei briganti
ed il fumo del Vesuvio,
alle spalle avverto il sole
ed ancora, ancora amore.
Su una linea di confine
tra due terre a me legate
dalla frenesia del tempo;
dentro a giorni del passato,
verso idee di un mio futuro,
è un presente senza tempo
attuale ed Ottocento,
mulattiera ed autostrada
verso l'Africa ed il mare,
alla fine dell'Europa
verso genti assai lontane
quasi ignare del domani,
resto ancora a improvvisare
con un piede, qui, in Campania,
ed un altro, lì, in Lucania.
Linea di mezzo
tra due terre vicine e distanti;
tu m'hai dato la vita,
lei m'ha dato l'amore,
quasi senza volerlo
devo a queste realtà
il mio essere intero,
il mio credo vitale.
E resto qui,
nel trascorrere dei giorni
a guardare oltre orizzonte,
con un piede, qui, in Campania...
...ed un altro, lì, in Lucania.




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Racconto scritto il 07/08/2011 - 22:30
Da Manuel Miranda
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Commenti


E' cosi' bene descritto l'ambiente, quasi un affresco, che sembra cosi' familiare anche a chi in Lucania non c'e' mai stato.
Io ho visitato qualcosa di questa regione e leggendo ne ho rivisto il paesaggio.

Rita Zito 24/11/2013 - 18:19

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