– Rifletti… Quello, “saxa”, è un accusativo neutro plurale.
Era la settima lezione privata. Giuseppe sapeva che ci sarebbero stati altri quattro o cinque incontri prima della fine delle vacanze. Poi avrebbe lasciato il borgo irpino e sarebbe rientrato nella sua città natale e di residenza, su al Nord, dove lo aspettava l’esame di riparazione.
Don Alfonso era tarchiato, con una bella testa pelata e una pancia prominente. Stava in piedi accanto al tavolino ingombro di libri. Si chinò sul testo della versione e disse ancora:
– Devi rileggere attentamente la frase, così: “Ad hoc mulieres puerique pro tectis aedificiorum saxa et alia quae lucus praebebat certatim mittere”… Vedi: è complemento oggetto. – Batté l’indice sulla pagina. Poi si girò verso la porta dello studiolo, attirato da qualcosa.
Dalla cucina veniva un odorino di olio caldo, aglio e cipolla.
– Carme’ – chiamò all’improvviso, facendo due passi verso l’uscio, - mi raccomando, non fate bruciare la cipolla. Deve essere appena indorata prima di calare il baccalà. – Si lasciò cadere su una logora poltroncina, sbuffò e si tolse gli occhiali dalla pesante montatura. Estrasse dalla tasca della tonaca un fazzolettone tutto appallottolato, alitò sulle lenti, e con quello le ripulì.
Giuseppe guardava con un occhio il testo latino e con l’altro don Alfonso, il quale aveva la testa imperlata di sudore. Dalla finestra spalancata entravano i rumori del solito viavai nella via Augustale, che attraversava il paese in tutta la sua larghezza.
– Allora? – fece, senza guardare l’allievo. – Rileggi anche tu, a voce altra. Così ti rimane in testa.
Giuseppe rilesse la frase, poi ammise: – È vero: saxa… da saxum, neutro della seconda declinazione.
– Appunto, non devi mai affidarti alla prima impressione. E poi, un vocabolo come quello dovresti conoscerlo. – Tirò su col naso e guardò ancora verso la porta. – Eh, sì! Mi era sembrato che avesse messo troppa cipolla. Ma adesso sento anche l’aglio.
Si alzò con uno scatto e se ne andò in cucina.
Giuseppe lo sentì dare istruzioni alla perpetua.
– Lo spicchio d’aglio ce lo dovete lasciare, per tutta la cottura. Deve dare il giusto sapore all’olio, mentre cuociono le fette di baccalà. Quante volte ve lo devo dire, Carme’?
La donna borbottò qualcosa in dialetto stretto che Giuseppe fece fatica a capire.
Dopo un momento, don Alfonso rientrò nello studiolo. Teneva gli occhiali in una mano, con il pollice e l’indice dell’altra si premeva la radice del naso. Disse: – Vai avanti. – Ma subito recitò lui stesso, perché il brano lo sapeva a memoria: – “Ita neque caveri anceps malum, neque a fortissumis infirmissumo generi resisti posse…”
Giuseppe seguiva quelle parole sul testo. Costatò ancora una volta che il prete professore doveva conoscere profondamente quel brano di Sallustio, forse l’intera opera: “La guerra contro Giugurta”. Ma nello stesso tempo era un esperto di arte culinaria, almeno per quanto riguardava la ricetta del baccalà. Questa considerazione gli strappò un sorriso, che cercò di nascondere, tenendo il capo chino sul libro.
– Bene – disse ancora don Alfonso, – l’ora sta per finire. È quasi mezzogiorno. Cerca di imbastire la traduzione della nuova frase e poi vattene a casa… a mangiare pure tu.
Giuseppe si rese conto di avere lo stomaco vuoto. Il profumo che veniva dalla cucina lo stuzzicava. Pensò che il baccalà di don Alfonso sarebbe stato particolarmente gustoso e che anche il prete accarezzasse la stessa idea.
Un capolavoro di culinaria, pari almeno alla conoscenza di Sallustio.
Voto: | su 2 votanti |
di baccalà preparata su ricetta di don Alfonso.Complimenti come sempre.Aurelia