Comunque, dopo dodici anni di inutili attese, nell’ultimo concorso, espletato in una delle pubbliche amministrazioni dello Stato italiano, al solito rimase tra gli idonei, ma, poiché vi era interesse da parte di più politicanti nei confronti dei loro raccomandati, fu aumentato il numero dei posti della graduatoria e finalmente, dopo tanta attesa, Giuli, fu dichiarato vincitore e, quindi, assunto alle dipendenze della predetta amministrazione pubblica.
Aveva compiuto trentuno anni ed era già sposato da sei anni con a carico i primi tre figli. In relazione al suo matrimonio è da notare come la sorte avversa volle che ci fossero sempre difficoltà anche questa volta; ebbe, infatti, una falsa gioia, poiché i due fidanzati ebbero, come si dice, a fuggire ed essendo due fuggitivi, cioè avevano fatto la cosiddetta “fuitina” in dialetto siciliano, un prete ignorante, indegno della parola del Creatore, diede il suo colpo di “grazia” o meglio di disgrazia: li sposò davanti ad un altare secondario, dicendo che due fidanzati “fuggitivi” non potevano essere degni di essere sposati davanti all’altare principale di una chiesa.
Il lettore capisce bene che razza di “sacerdoti” affollano da molti secoli la cosiddetta chiesa cattolica, di cui non dico altro, essendo palese a tutto il mondo il suo operato a tutt’oggi 23 febbraio 2013.
Giuli, ad onore del vero, aveva, come si suole dire, “rispettato” la moglie fino al matrimonio. Comunque i due sposi misero al mondo quattro figli, che educarono, impartendo lezioni di vita con parole ed esempi; soprattutto, la sua amabile consorte, Stella Maris, stella del mare, che, oltre ad essere un’ottima insegnante, stimata per trentacinque anni dagli alunni, dai genitori degli stessi e dai colleghi, fu sostanzialmente, come per i naviganti, la stella polare per tutta la famiglia. Giuli non trasse mai benefici personali dal piccolo potere che aveva, svolgendo le sue funzioni alle dipendenze dello Stato; infatti, i figli dopo avere studiato cercarono e trovarono il loro posto di lavoro, non inchinandosi a nessuno, migrando entro e fuori dall’Italia.
Durante tutto quel periodo, in cui partecipava ai sopra citati concorsi, Giuli, si adoperava per trovare lavoro comunque, espletando qualsiasi lavoro come bracciante agricolo alle dipendenze dell’ispettorato forestale con le mansioni di acquaiolo, come operaio in una fabbrica di materie plastiche, come emigrato in Germania per il tramite dell’Ufficio Provinciale del Lavoro e qui capì perfettamente come funzionava il servizio emigrazione. Infatti, partito dalla Sicilia ed arrivato al Centro di Emigrazione di Verona, dove era operante la Commissione tedesca che, dopo un’accurata visita medica, decideva se il soggetto poteva firmare uno dei contratti di lavoro bilingue, depositato lì da tanti datori di lavoro tedeschi. Il contratto era perfetto nella forma e nella sostanza, ma di fatto quando ci si recava sia sul posto di lavoro che nella casa di abitazione, sia il lavoro sia la casa non rispondevano per niente ai requisiti contenuti nel predetto contratto. Ma i lavoratori, che partivano da disperati, accettavano qualsiasi situazione pur di potersi guadagnare quel pezzo di pane che la loro patria non dava loro a causa della disonesta amministrazione della cosa pubblica.
Giuli non sopportava quella situazione indegna e, pertanto, si recò al Consolato italiano in Germania per chiedere di intervenire in relazione alla mancata applicazione del contratto di lavoro nei punti sopra descritti. Ma il Consolato italiano in Germania era un’istituzione di facciata, che di fatto valeva quanto il due di coppe quando non ha valore di briscola, perché non si adoperò, né intervenne affatto affinché quel contratto fosse rispettato dal datore di lavoro tedesco. Vista l’assenza dell’istituzione italiana, Giuli si rivolse subito all’Arbeitsamt, che è l’Ufficio del Lavoro tedesco, e, essendoci lì un impiegato che parlava la lingua francese, espose nella stessa lingua, che conosceva, le rimostranze in riferimento alla mancata applicazione del suo contratto di lavoro firmato a Verona.
Il funzionario ne prese atto e rispose che alle ore 18,00 di quello stesso giorno sarebbe intervenuto per i relativi atti di sua competenza. Alla predetta ora il funzionario si presentò puntualmente presso l’indirizzo dov’era ubicata la casa inagibile, avendo prima visitato la fabbrica di profilati di zinco, e resosi conto delle divergenze contrattuali, chiamò immediatamente il datore di lavoro, intimandogli di provvedere all’applicazione del contratto di lavoro entro e non oltre quindici giorni dalla data della sua visita ispettiva.
Quel datore di lavoro si adoperò per trovare altra abitazione, ma non riuscì; quindi, chiamati gli operai, inquilini della predetta casa, disse loro che avrebbe provveduto, ma aveva bisogno di più tempo. Pertanto, chi non accettava quella provvisoria situazione poteva recedere dal contratto ed avrebbe avuto anche le indennità previste per la mancata applicazione contrattuale.
Molti restarono, accettando quella situazione; Giuli, invece, prese subito tutte le spettanze e ripartì per la Sicilia, ricordando sul treno che lo riportava a casa qualche episodio avvenuto quando si recava in Germania.
Il primo: sul treno a Napoli salì un uomo dell’apparente età di quarant’ anni, tarchiato ed apparentemente allegro, che, entrato nello scompartimento, dopo aver situato il suo grande scatolo di cartone nell’apposito contenitore e dopo essersi seduto, rivolse la parola a Giuli e gli chiese se anche lui emigrava. Giuli assentì. Così i due sventurati parlarono di ciò che li spingeva a lasciare la famiglia e gli affetti che sono gli interessi e i valori più sentiti da chi ha una sensibilità umana. Ad un tratto quell’uomo, che Giuli chiamò Pompetta per la sua conformazione fisica, ma di alta sensibilità, chiese a Giuli di uscire fuori dallo scompartimento e di andare in corridoio. Così fecero e lì Pompetta con le lacrime agli occhi raccontò i suoi affanni e le sue difficoltà, in cui versava la sua famiglia a causa della sua forzata disoccupazione. Tanto parlò Pompetta e Giuli attentamente ascoltò la triste storia e i crucci di quell’infelice, a cui si sentiva fratello; ma, pur col pianto in cuore e non agli occhi, Giuli rincuorava quell’uomo, che non riuscì a sopportare il dolore del distacco dalla famiglia e quindi appena arrivato alla stazione di Bologna disperatamente prese il suo scatolo di cartone e subito, salutando frettolosamente Giuli con un abbraccio, scese dal treno per riprenderne un altro che l’avrebbe riportato a Napoli. “Addio, Pompetta!”. Esclamò, molto commosso, Giuli.
Vi sono tanti Pompetta al mondo; infatti, l’uomo prima è uomo con la sua humanitas e con la sensibilità e poi è altro.
Il secondo episodio fu quello di un altro emigrato, che Giuli trovò nella casa antigienica, descritta nel contratto di lavoro, e precisamente nella piccola stanza per quattro persone, dove il suo letto era situato quasi dietro la porta della latrina. L’uomo era brutto: aveva il viso smunto e il corpo asciutto tanto, da sembrare il rappresentante della morte e, proprio per restare in argomento, al suo paese, Tartaglia, così lo chiamavano, svolgeva per brevi periodi anche il lavoro di becchino. Lui era ladro, non si sa se per bisogno o per vocazione, ma rubava qualsiasi cosa ed a chiunque appena voltava le spalle. Lui era un individuo senza scrupoli; infatti, derubava chiunque, anche un morto di fame, dicendo che più morto di fame di lui vi era solo chi era al cimitero ed altre brutte cose, che qui non descrivo, degne di chi nella vita non ha mai avuto la fortuna d’incontrare un ascoltatore interessato a migliorare l’altro. Era di sabato ed anche la domenica Giuli e Tartaglia uscirono insieme. Durante quei due giorni Giuli ascoltò Tartaglia e poi lo sollecitò ad ascoltarlo, ricevendo, dopo un lungo dialogo, a sorpresa, da quel becchino la gioia di una immediata risposta categorica: “Seguirò il tuo consiglio, amico. Tu hai rimosso in pochi giorni ciò che da tanti anni avevo di marcio nella mia mente ”.
Ritornò in Sicilia Giuli, ma sarebbe potuto restare in Germania, in quanto allora vi era veramente tanta possibilità di lavoro. Il motivo saliente che lo spinse però a lasciare la Germania fu lo stesso che spinse quel Pompetta, perché anche Giuli aveva lasciato al suo paese la moglie e i figli, nonché altre tre persone, che immensamente voleva bene: il padre, la madre e la zia, già sopra menzionata.
Ritornato in Sicilia, Giuli, trovò un posto di lavoro precario presso un ufficio giudiziario e poi le sue esperienze si estesero anche nel campo assicurativo. Esperienze che lo fecero crescere tanto, da applicare le stesse poi, quando si trovò a dirigere vari uffici della pubblica Amministrazione da cui dipendeva.
Per la sua preparazione e per la sua intelligenza comportamentale fu stimato dai colleghi e da tutti gli utenti con cui veniva a contatto.
Giuli sentì forte il problema dei giovani disoccupati e, poiché tutti i politicanti dei vari partiti si sciacquavano la bocca contro la disoccupazione, che per loro è un altro piedistallo di false promesse su cui si ergono, ideò poco dopo sposato il partito dei disoccupati che ebbe un vessillo, dov’era scritto: “Riscossa disoccupati. Svegliati!”, che un pittore barrese realizzò, ma il predetto partito non ebbe fortuna: visse, come si dice, da Natale a Santo Stefano.
Si allontanò dai politicanti, Giuli, avendo capito quali erano i loro interessi verso il popolo, ma non dalla politica, intesa in senso classico, e quindi attraverso tutte le attività lavorative, sopra citate, mise in atto quanto poteva disporre di umano nei confronti di coloro con i quali veniva a contatto quotidianamente.
Durante tutta la sua attività lavorativa fu vessato in maniera straordinaria per non essersi sottomesso ai vari poteri abietti, ma solo alle leggi, talvolta inique e farraginose. Giuli, pose l'essere umano come valore ed interesse centrale, nel senso che niente è al di sopra dell'essere umano e nessun essere umano è al di sopra di un altro. Sentì di affermare l'uguaglianza di tutti gli esseri umani, riconoscendo la diversità personale e culturale e condannando la discriminazione, causata da differenze economiche, razziali, etniche o culturali. Giuli sosteneva che la libertà di idee e credenze si poteva acquisire con lo sviluppo delle conoscenze al di là dei limiti imposti da pregiudizi accettati come verità assolute ed immutabili, ripudiando la violenza in tutte le sue forme. Io condivisi il suo pensiero durante tutte le nostre costruttive conversazioni.
Un giorno, però, una malattia gastroenterica, la colite ulcerosa, colpì Giuli all’età di quarant’anni e, pur tra tante difficoltà che la predetta malattia gli cagionava, svolse sempre con tenacia e zelo il suo lavoro.
Dopo ventuno anni di servizio la brutta malattia gli impedì di continuare a lavorare e, pertanto, non sfruttando minimamente gli istituti previsti per gli impiegati civili dello Stato, si dimise e, non riuscendo più a fare vita sociale, ebbe inizio il suo decadimento, in quanto solo i rapporti umani, la comunicazione con gli altri et cetera aiutano l’uomo a vivere ed a far vivere; da qui la sua agonia.
Così volle il Destino, che sovrastò la vita del mio amico Giuli dalla nascita alla vecchiaia. Giuli si opponeva agli eventi, ma ubi maior, minor cessat, di fronte al più forte il debole si fa da parte. Pur avendo la consapevolezza di non potere arginare in nessun modo le offese del destino, avendo subito anche due infarti, Giuli combatteva con lena e perseveranza, intuendo, purtroppo, che era una battaglia perduta.
E’ essenziale comunque per l’uomo non curvarsi alla rassegnazione e cercare un atteggiamento spirituale, che contrasti, pur in minima parte, ne sono certo, la veemenza del destino. La vita per quanto arida e dolorosa sia, a mio parere, non è del tutto vano viverla, perché dà all’uomo la consolazione degli affetti e l’immaginazione.
Giuli, in relazione alle disavventure familiari e personali entro e fuori le mura domestiche, infatti, sebbene tentato, non scelse mai di commettere atti insani come soluzione, ma trovò la forza per continuare a vivere e ad alleviare le sue sofferenze nell’arte del poetare e nella meditazione, dalle quali trasse soddisfazioni profonde ed i soli momenti d’oblio dei suoi tormenti, dando a sé stesso prova di altezza morale ed onestà intellettuale, dando mano e soccorso per alleviare nel miglior modo la propria e l’altrui fatica della vita.
La vita è intrisa di sofferenza e di dolore, ma la poesia può trasmettere la dolcezza di un ricordo passato, non importa se triste o felice. La poetica del ricordo permette di dilatare tempi e spazi nel passato; la poesia, infatti, è un farmaco per il poeta ed a volte anche per il suo lettore.
L’atteggiamento spirituale e sentimentale di Giuli durante tutto il tempo della sua vita fu di vicinanza affettiva a paesaggi ed a luoghi vissuti ed immaginati, ma anche alle proprie vicende ed a quelle degli altri.
Io, che, da modesto scrittore, ho narrato la triste storia del mio amico Giuli, mi sento molto vicino ai personaggi, che hanno impregnato di emozioni la mia anima, calamaio della mia penna.
Gino Ragusa Di Romano
Racconto tratto dal mio libro "LACRIME E SORRISI" - Pellegrini Editore - Cosenza 2014
Aveva compiuto trentuno anni ed era già sposato da sei anni con a carico i primi tre figli. In relazione al suo matrimonio è da notare come la sorte avversa volle che ci fossero sempre difficoltà anche questa volta; ebbe, infatti, una falsa gioia, poiché i due fidanzati ebbero, come si dice, a fuggire ed essendo due fuggitivi, cioè avevano fatto la cosiddetta “fuitina” in dialetto siciliano, un prete ignorante, indegno della parola del Creatore, diede il suo colpo di “grazia” o meglio di disgrazia: li sposò davanti ad un altare secondario, dicendo che due fidanzati “fuggitivi” non potevano essere degni di essere sposati davanti all’altare principale di una chiesa.
Il lettore capisce bene che razza di “sacerdoti” affollano da molti secoli la cosiddetta chiesa cattolica, di cui non dico altro, essendo palese a tutto il mondo il suo operato a tutt’oggi 23 febbraio 2013.
Giuli, ad onore del vero, aveva, come si suole dire, “rispettato” la moglie fino al matrimonio. Comunque i due sposi misero al mondo quattro figli, che educarono, impartendo lezioni di vita con parole ed esempi; soprattutto, la sua amabile consorte, Stella Maris, stella del mare, che, oltre ad essere un’ottima insegnante, stimata per trentacinque anni dagli alunni, dai genitori degli stessi e dai colleghi, fu sostanzialmente, come per i naviganti, la stella polare per tutta la famiglia. Giuli non trasse mai benefici personali dal piccolo potere che aveva, svolgendo le sue funzioni alle dipendenze dello Stato; infatti, i figli dopo avere studiato cercarono e trovarono il loro posto di lavoro, non inchinandosi a nessuno, migrando entro e fuori dall’Italia.
Durante tutto quel periodo, in cui partecipava ai sopra citati concorsi, Giuli, si adoperava per trovare lavoro comunque, espletando qualsiasi lavoro come bracciante agricolo alle dipendenze dell’ispettorato forestale con le mansioni di acquaiolo, come operaio in una fabbrica di materie plastiche, come emigrato in Germania per il tramite dell’Ufficio Provinciale del Lavoro e qui capì perfettamente come funzionava il servizio emigrazione. Infatti, partito dalla Sicilia ed arrivato al Centro di Emigrazione di Verona, dove era operante la Commissione tedesca che, dopo un’accurata visita medica, decideva se il soggetto poteva firmare uno dei contratti di lavoro bilingue, depositato lì da tanti datori di lavoro tedeschi. Il contratto era perfetto nella forma e nella sostanza, ma di fatto quando ci si recava sia sul posto di lavoro che nella casa di abitazione, sia il lavoro sia la casa non rispondevano per niente ai requisiti contenuti nel predetto contratto. Ma i lavoratori, che partivano da disperati, accettavano qualsiasi situazione pur di potersi guadagnare quel pezzo di pane che la loro patria non dava loro a causa della disonesta amministrazione della cosa pubblica.
Giuli non sopportava quella situazione indegna e, pertanto, si recò al Consolato italiano in Germania per chiedere di intervenire in relazione alla mancata applicazione del contratto di lavoro nei punti sopra descritti. Ma il Consolato italiano in Germania era un’istituzione di facciata, che di fatto valeva quanto il due di coppe quando non ha valore di briscola, perché non si adoperò, né intervenne affatto affinché quel contratto fosse rispettato dal datore di lavoro tedesco. Vista l’assenza dell’istituzione italiana, Giuli si rivolse subito all’Arbeitsamt, che è l’Ufficio del Lavoro tedesco, e, essendoci lì un impiegato che parlava la lingua francese, espose nella stessa lingua, che conosceva, le rimostranze in riferimento alla mancata applicazione del suo contratto di lavoro firmato a Verona.
Il funzionario ne prese atto e rispose che alle ore 18,00 di quello stesso giorno sarebbe intervenuto per i relativi atti di sua competenza. Alla predetta ora il funzionario si presentò puntualmente presso l’indirizzo dov’era ubicata la casa inagibile, avendo prima visitato la fabbrica di profilati di zinco, e resosi conto delle divergenze contrattuali, chiamò immediatamente il datore di lavoro, intimandogli di provvedere all’applicazione del contratto di lavoro entro e non oltre quindici giorni dalla data della sua visita ispettiva.
Quel datore di lavoro si adoperò per trovare altra abitazione, ma non riuscì; quindi, chiamati gli operai, inquilini della predetta casa, disse loro che avrebbe provveduto, ma aveva bisogno di più tempo. Pertanto, chi non accettava quella provvisoria situazione poteva recedere dal contratto ed avrebbe avuto anche le indennità previste per la mancata applicazione contrattuale.
Molti restarono, accettando quella situazione; Giuli, invece, prese subito tutte le spettanze e ripartì per la Sicilia, ricordando sul treno che lo riportava a casa qualche episodio avvenuto quando si recava in Germania.
Il primo: sul treno a Napoli salì un uomo dell’apparente età di quarant’ anni, tarchiato ed apparentemente allegro, che, entrato nello scompartimento, dopo aver situato il suo grande scatolo di cartone nell’apposito contenitore e dopo essersi seduto, rivolse la parola a Giuli e gli chiese se anche lui emigrava. Giuli assentì. Così i due sventurati parlarono di ciò che li spingeva a lasciare la famiglia e gli affetti che sono gli interessi e i valori più sentiti da chi ha una sensibilità umana. Ad un tratto quell’uomo, che Giuli chiamò Pompetta per la sua conformazione fisica, ma di alta sensibilità, chiese a Giuli di uscire fuori dallo scompartimento e di andare in corridoio. Così fecero e lì Pompetta con le lacrime agli occhi raccontò i suoi affanni e le sue difficoltà, in cui versava la sua famiglia a causa della sua forzata disoccupazione. Tanto parlò Pompetta e Giuli attentamente ascoltò la triste storia e i crucci di quell’infelice, a cui si sentiva fratello; ma, pur col pianto in cuore e non agli occhi, Giuli rincuorava quell’uomo, che non riuscì a sopportare il dolore del distacco dalla famiglia e quindi appena arrivato alla stazione di Bologna disperatamente prese il suo scatolo di cartone e subito, salutando frettolosamente Giuli con un abbraccio, scese dal treno per riprenderne un altro che l’avrebbe riportato a Napoli. “Addio, Pompetta!”. Esclamò, molto commosso, Giuli.
Vi sono tanti Pompetta al mondo; infatti, l’uomo prima è uomo con la sua humanitas e con la sensibilità e poi è altro.
Il secondo episodio fu quello di un altro emigrato, che Giuli trovò nella casa antigienica, descritta nel contratto di lavoro, e precisamente nella piccola stanza per quattro persone, dove il suo letto era situato quasi dietro la porta della latrina. L’uomo era brutto: aveva il viso smunto e il corpo asciutto tanto, da sembrare il rappresentante della morte e, proprio per restare in argomento, al suo paese, Tartaglia, così lo chiamavano, svolgeva per brevi periodi anche il lavoro di becchino. Lui era ladro, non si sa se per bisogno o per vocazione, ma rubava qualsiasi cosa ed a chiunque appena voltava le spalle. Lui era un individuo senza scrupoli; infatti, derubava chiunque, anche un morto di fame, dicendo che più morto di fame di lui vi era solo chi era al cimitero ed altre brutte cose, che qui non descrivo, degne di chi nella vita non ha mai avuto la fortuna d’incontrare un ascoltatore interessato a migliorare l’altro. Era di sabato ed anche la domenica Giuli e Tartaglia uscirono insieme. Durante quei due giorni Giuli ascoltò Tartaglia e poi lo sollecitò ad ascoltarlo, ricevendo, dopo un lungo dialogo, a sorpresa, da quel becchino la gioia di una immediata risposta categorica: “Seguirò il tuo consiglio, amico. Tu hai rimosso in pochi giorni ciò che da tanti anni avevo di marcio nella mia mente ”.
Ritornò in Sicilia Giuli, ma sarebbe potuto restare in Germania, in quanto allora vi era veramente tanta possibilità di lavoro. Il motivo saliente che lo spinse però a lasciare la Germania fu lo stesso che spinse quel Pompetta, perché anche Giuli aveva lasciato al suo paese la moglie e i figli, nonché altre tre persone, che immensamente voleva bene: il padre, la madre e la zia, già sopra menzionata.
Ritornato in Sicilia, Giuli, trovò un posto di lavoro precario presso un ufficio giudiziario e poi le sue esperienze si estesero anche nel campo assicurativo. Esperienze che lo fecero crescere tanto, da applicare le stesse poi, quando si trovò a dirigere vari uffici della pubblica Amministrazione da cui dipendeva.
Per la sua preparazione e per la sua intelligenza comportamentale fu stimato dai colleghi e da tutti gli utenti con cui veniva a contatto.
Giuli sentì forte il problema dei giovani disoccupati e, poiché tutti i politicanti dei vari partiti si sciacquavano la bocca contro la disoccupazione, che per loro è un altro piedistallo di false promesse su cui si ergono, ideò poco dopo sposato il partito dei disoccupati che ebbe un vessillo, dov’era scritto: “Riscossa disoccupati. Svegliati!”, che un pittore barrese realizzò, ma il predetto partito non ebbe fortuna: visse, come si dice, da Natale a Santo Stefano.
Si allontanò dai politicanti, Giuli, avendo capito quali erano i loro interessi verso il popolo, ma non dalla politica, intesa in senso classico, e quindi attraverso tutte le attività lavorative, sopra citate, mise in atto quanto poteva disporre di umano nei confronti di coloro con i quali veniva a contatto quotidianamente.
Durante tutta la sua attività lavorativa fu vessato in maniera straordinaria per non essersi sottomesso ai vari poteri abietti, ma solo alle leggi, talvolta inique e farraginose. Giuli, pose l'essere umano come valore ed interesse centrale, nel senso che niente è al di sopra dell'essere umano e nessun essere umano è al di sopra di un altro. Sentì di affermare l'uguaglianza di tutti gli esseri umani, riconoscendo la diversità personale e culturale e condannando la discriminazione, causata da differenze economiche, razziali, etniche o culturali. Giuli sosteneva che la libertà di idee e credenze si poteva acquisire con lo sviluppo delle conoscenze al di là dei limiti imposti da pregiudizi accettati come verità assolute ed immutabili, ripudiando la violenza in tutte le sue forme. Io condivisi il suo pensiero durante tutte le nostre costruttive conversazioni.
Un giorno, però, una malattia gastroenterica, la colite ulcerosa, colpì Giuli all’età di quarant’anni e, pur tra tante difficoltà che la predetta malattia gli cagionava, svolse sempre con tenacia e zelo il suo lavoro.
Dopo ventuno anni di servizio la brutta malattia gli impedì di continuare a lavorare e, pertanto, non sfruttando minimamente gli istituti previsti per gli impiegati civili dello Stato, si dimise e, non riuscendo più a fare vita sociale, ebbe inizio il suo decadimento, in quanto solo i rapporti umani, la comunicazione con gli altri et cetera aiutano l’uomo a vivere ed a far vivere; da qui la sua agonia.
Così volle il Destino, che sovrastò la vita del mio amico Giuli dalla nascita alla vecchiaia. Giuli si opponeva agli eventi, ma ubi maior, minor cessat, di fronte al più forte il debole si fa da parte. Pur avendo la consapevolezza di non potere arginare in nessun modo le offese del destino, avendo subito anche due infarti, Giuli combatteva con lena e perseveranza, intuendo, purtroppo, che era una battaglia perduta.
E’ essenziale comunque per l’uomo non curvarsi alla rassegnazione e cercare un atteggiamento spirituale, che contrasti, pur in minima parte, ne sono certo, la veemenza del destino. La vita per quanto arida e dolorosa sia, a mio parere, non è del tutto vano viverla, perché dà all’uomo la consolazione degli affetti e l’immaginazione.
Giuli, in relazione alle disavventure familiari e personali entro e fuori le mura domestiche, infatti, sebbene tentato, non scelse mai di commettere atti insani come soluzione, ma trovò la forza per continuare a vivere e ad alleviare le sue sofferenze nell’arte del poetare e nella meditazione, dalle quali trasse soddisfazioni profonde ed i soli momenti d’oblio dei suoi tormenti, dando a sé stesso prova di altezza morale ed onestà intellettuale, dando mano e soccorso per alleviare nel miglior modo la propria e l’altrui fatica della vita.
La vita è intrisa di sofferenza e di dolore, ma la poesia può trasmettere la dolcezza di un ricordo passato, non importa se triste o felice. La poetica del ricordo permette di dilatare tempi e spazi nel passato; la poesia, infatti, è un farmaco per il poeta ed a volte anche per il suo lettore.
L’atteggiamento spirituale e sentimentale di Giuli durante tutto il tempo della sua vita fu di vicinanza affettiva a paesaggi ed a luoghi vissuti ed immaginati, ma anche alle proprie vicende ed a quelle degli altri.
Io, che, da modesto scrittore, ho narrato la triste storia del mio amico Giuli, mi sento molto vicino ai personaggi, che hanno impregnato di emozioni la mia anima, calamaio della mia penna.
Gino Ragusa Di Romano
Racconto tratto dal mio libro "LACRIME E SORRISI" - Pellegrini Editore - Cosenza 2014
Racconto scritto il 08/09/2016 - 18:57
Letta n.1327 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Grazie, Rocco Michele LETTINI, per avere apprezzato il mio racconto. Un cordiale abbraccio.
Gino Ragusa Di Romano 10/09/2016 - 10:24
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Il personaggio Giuli ponderatamente presentato nelle avventure per il ricercar lavoro e… per quanto patito ingiustamente, in uno scorrere fedele all’amore per sé, per la sua famiglia, per un vivere dignitoso quanto umanamente sperato.
Emozioni della tua anima, calamaio della tua penna… dici bene Gino… in un firmato pregno del tuo carisma letterario, sempre espressivo, sempre verace, sempre toccante nelle concretezze trasmesse.
Il mio elogio e il mio saluto, amico.
*****
Emozioni della tua anima, calamaio della tua penna… dici bene Gino… in un firmato pregno del tuo carisma letterario, sempre espressivo, sempre verace, sempre toccante nelle concretezze trasmesse.
Il mio elogio e il mio saluto, amico.
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Rocco Michele LETTINI 09/09/2016 - 14:07
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Caro Salvo, la ripetizione, a cui hai fatto riferimento, è stata corretta. E' stato un errore di copia/incolla. Intanto grazie per avermi fatto notare quanto già scritto. Un abbraccio.
Gino Ragusa Di Romano 08/09/2016 - 21:49
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