Nel momento in cui mi chiedo quale sia la risposta alla quotidiana domanda “cos’è la felicità?” , la prima parola che riesco a scovare è, probabilmente, “utopia”; se poi, cerco nel fondo del mare di definizioni – errate o incomplete che siano – che la mia mente associa alla parola felicità, forse la accosterei ad un momento, ad un’emozione o, addirittura, ad una persona.
Altrettanto spesso, mi ritrovo ad accontentarmi della risposta quasi rapida e inevitabilmente superficiale che mi do.
Ma per il resto del tempo, nei momenti in cui non mi pongo questo interrogativo, qual è la risposta?
Tra i metafisici, coltivare la virtù più elevata era il gradino da salire per raggiungere l’ambita ed elevata “eudaimonia” – letteralmente, lo spirito buono o più comunemente, la felicità.
Nietzsche, d’altro canto, proporrebbe la teoria della felicità come forza vitale e lottatrice; come colei che non limita la libertà ed afferma il suo essere, senza ricadere nell’effimera condizione di pigrizia e di staticità.
È forse, quindi, il più cospicuo di un modello concettuale o è una figura da imitare?
Soffermandomi sul sorriso di un bambino che gioca, sulla mia famiglia che scherza a tavola o su un mio collega che si laurea, ogni teoria viene sbaragliata dal concetto dell’attimo.
Ritorno, allora, a trovare una soluzione diversa ad un quesito apparentemente insulso.
Ma se la felicità è un attimo, è fallace: un momento è lì e la vedi con gli occhi; la tocchi con gli angoli di bocca rivolti verso il cielo.
E per ognuno, la felicità è un istante diverso, è soggettiva.
Dunque, non solo è l’illusione di un momento ma ricade nella propria realizzazione – o per meglio dire – nelle scelte.
Ci sono.
La felicità è capire cosa vogliamo che, di per sé, rappresenta uno stato relativo di gioia e che raggiunge il suo stato assoluto nel momento in cui si ottiene quello che ci si prefissa come un obiettivo.
Magari, per quella ragazza che sta sorridendo davanti ad uno schermo di un cellulare, l’apice sarà un bacio; per quell’uomo che è stato appena licenziato, sarà un posto di lavoro; per quella donna con il pancione, sarà tenere tra le braccia la sua piccola creatura.
E dopo aver raggiunto questa vetta, cosa c’è?
Poi c’è un’altra felicità, un altro obiettivo o, piuttosto, un nuovo sogno.
Riassumendo, collegando, cercando fra i miei pensieri la risposta a “che cos’è la felicità?” credo sia questa: la felicità è un sogno, fugace ma continuo.
Altrettanto spesso, mi ritrovo ad accontentarmi della risposta quasi rapida e inevitabilmente superficiale che mi do.
Ma per il resto del tempo, nei momenti in cui non mi pongo questo interrogativo, qual è la risposta?
Tra i metafisici, coltivare la virtù più elevata era il gradino da salire per raggiungere l’ambita ed elevata “eudaimonia” – letteralmente, lo spirito buono o più comunemente, la felicità.
Nietzsche, d’altro canto, proporrebbe la teoria della felicità come forza vitale e lottatrice; come colei che non limita la libertà ed afferma il suo essere, senza ricadere nell’effimera condizione di pigrizia e di staticità.
È forse, quindi, il più cospicuo di un modello concettuale o è una figura da imitare?
Soffermandomi sul sorriso di un bambino che gioca, sulla mia famiglia che scherza a tavola o su un mio collega che si laurea, ogni teoria viene sbaragliata dal concetto dell’attimo.
Ritorno, allora, a trovare una soluzione diversa ad un quesito apparentemente insulso.
Ma se la felicità è un attimo, è fallace: un momento è lì e la vedi con gli occhi; la tocchi con gli angoli di bocca rivolti verso il cielo.
E per ognuno, la felicità è un istante diverso, è soggettiva.
Dunque, non solo è l’illusione di un momento ma ricade nella propria realizzazione – o per meglio dire – nelle scelte.
Ci sono.
La felicità è capire cosa vogliamo che, di per sé, rappresenta uno stato relativo di gioia e che raggiunge il suo stato assoluto nel momento in cui si ottiene quello che ci si prefissa come un obiettivo.
Magari, per quella ragazza che sta sorridendo davanti ad uno schermo di un cellulare, l’apice sarà un bacio; per quell’uomo che è stato appena licenziato, sarà un posto di lavoro; per quella donna con il pancione, sarà tenere tra le braccia la sua piccola creatura.
E dopo aver raggiunto questa vetta, cosa c’è?
Poi c’è un’altra felicità, un altro obiettivo o, piuttosto, un nuovo sogno.
Riassumendo, collegando, cercando fra i miei pensieri la risposta a “che cos’è la felicità?” credo sia questa: la felicità è un sogno, fugace ma continuo.
Jessica Cardullo
Racconto scritto il 13/02/2017 - 17:59
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Commenti
Sarebbe bello trovare una risposta a questa domanda così complessa.Ma non c'è una risposta esaustiva, perché la felicità è soggettiva, non può essere legata ai canoni filosofici e ciò che a me reca gioia a te può arrecare noia, fastidio. Comunque sei stata profonda ed hai ben esposto i tuoi quesiti.Ciò che è vero, però, è che la felicità è un'utopia. 5*
Teresa Peluso 14/02/2017 - 11:23
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Interessante introspezione su un tema complesso e mai risolto definitivamente. la filosofia e molti filosofi ne hanno dato una definizione che proprio perchè diversa non è esaustiva.
Anche la tua conclusione potrebbe essere una risposta, ma se cerchiamo "LA" risposta credo che dobbiamo attendere ancora.
Ragionamento molto profondo e articolato. Complimenti.
Anche la tua conclusione potrebbe essere una risposta, ma se cerchiamo "LA" risposta credo che dobbiamo attendere ancora.
Ragionamento molto profondo e articolato. Complimenti.
ALFONSO BORDONARO 13/02/2017 - 20:48
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