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Golconda

Sabato 4 giugno 2016, la docente Antonini Maria Cristina, nella galleria museale dell'Accademia di belle arti di Napoli, nel quartiere San Lorenzo, una delle più antiche europee che ha visto il passaggio di numerosi pittori divenendo così punto di riferimento della pittura napoletana; istituita nel 1752 da Carlo III di Borbone, tiene una lezione sul surrealismo di Renè Magritte. La docente inizia prima a definire che il Surrealismo è un processo automatico che si realizza senza il controllo della ragione e fa si che l’inconscio, emerga e si esprima divenendo operante, viene così raggiunta quella realtà superiore in cui veglia e sogno si conciliano in modo armonico. Un movimento intellettuale, che ha coinvolto arti visive, letteratura e cinema, nato negli anni Venti a Parigi. La caratteristica comune a tutte le manifestazioni surrealiste è la critica radicale alla razionalità cosciente, e la liberazione delle potenzialità immaginative dell'inconscio per il raggiungimento di uno stato conoscitivo oltre la realtà; è certamente la più onirica delle manifestazioni artistiche, proprio perché dà accesso a ciò che sta oltre il visibile. Poi illustra la vita di René Magritte, che nasce in Belgio nel 1898. Studia all’Accademia di Belle Arti e nel 1922 inizia a lavorare disegnando carte da parati. Trasferitosi a Parigi nel 1925, viene a conoscenza dei dipinti di De Chirico che determina l’adesione, da parte dell’artista belga, al Surrealismo. I quadri di Magritte sono realizzati in uno stile da illustratore, senza alcuna ricerca di illusionismo fotografico. Già in ciò si avverte una delle costanti poetiche di questo pittore: l'insanabile distanza che separa la realtà dalla rappresentazione. E spesso il suo surrealismo nasce proprio dalla confusione che egli opera tra i due termini. Il suo surrealismo è dunque uno sguardo molto lucido e sveglio sulla realtà che lo circonda, dove non trovano spazio né il sogno né le pulsioni inconsce. L’unico desiderio che la sua pittura manifesta è quello di "sentire il silenzio del mondo", come egli stesso scrisse. Nella galleria è esposto una sua copia della Golconda, un dipinto Dimensioni: 81 cm x 1 m, Tecnica: Colore ad olio, Data creazione: 1953, la professoressa Antonini si sofferma sull’opera e comincia la sua esposizione: “In quest’opera Magritte moltiplica a “stampo” il curioso personaggio presente in molte altre sue opere, caratterizzato dal vestito e dalla bombetta neri. Il paesaggio, composto da case e tetti tipicamente belga e da un cielo opaco e senza nubi, è ancora una volta caratterizzato da un realismo elementare. Su questo sfondo i personaggi, completamente identici fra loro se non per la direzione degli sguardi e per la loro lontananza e quindi grandezza, sembrano piovere dal cielo come candidi fiocchi di neve. Non vi è dubbio alcuno circa la magia e la dolcezza poetica, quasi sognante dell’immagine. Un’immagine che ci lascia perplessi e disorientati: “Com’è possibile e come si spiega questa pioggia umana”? O forse si tratta di un volo, di un elevazione? Gli ometti neri stanno lentamente risalendo verso il cielo oppure stanno candidamente fioccando dallo stesso? Questo è uno dei tanti misteri racchiusi nel dipinto analizzato che probabilmente nessuno riuscirà mai a chiarire. In ogni caso, quello che si può dire è che vi è una frantumazione di ogni regola fisica e matematica che ci lascia quasi in imbarazzo, dato che rompe ogni nostra certezza riguardo alla consistenza e al peso dei corpi. Un’altra domanda che può sorgere guardando il dipinto è: che ruolo ho io? Sono forse uno dei tanti ometti omologati sospesi fra cielo e terra? La risposta crediamo sia sì. Infatti, se si presta attenzione a come è tagliata l’immagine, ci accorgiamo che le case non sono viste per intero (come è normale che sia se fossimo con i piedi ben saldi a terra) bensì solo la loro metà superiore ci appare visibile. Un’ipotesi plausibile è che noi facciamo parte dell’opera nella maniera in cui siamo nientedimeno che un altro di quegli uomini neri. Altro dettaglio importante da non trascurare: le ombre proiettate sia sui tetti che sugli edifici e le sagome in lontananza. Taluni affermano che anch’esse possano essere semplici ombre proiettate su di un cielo che non è un cielo, ma semplicemente la sua rappresentazione bidimensionale su tela. Questo sarebbe giustificato poiché, come ben sappiamo, un’ombra può essere proiettata solo su di una superficie solida, in questo caso appunto la tela. A nostro avviso l’ipotesi và però scartata per più motivi. Uno di questi è la quantità di sagome rispetto al numero di persone presenti nello spazio che separa l’osservatore dalle case. Se fossero davvero delle ombre ve ne sarebbero molte di meno ma soprattutto andrebbero rispettate le loro dimensioni rispetto alla distanza; cosa che non accade dato che le sagome sul fondo sono tutte di eguali dimensioni.
Ulteriore motivo è il fatto che, se ci avviciniamo alla tela e ne cogliamo i dettagli, notiamo che le figure presentano, seppur lievemente, alcune tonalità di rosa al livello del volto, elemento questo che ci permette di escludere quasi certamente che di ombre si tratti. Come già detto in precedenza resta il fatto che l’analisi di un’opera simile è molto soggettiva, tanto più che Magritte stesso affermava di sentirsi meno fortunato di chi era convinto di avere la giusta analisi o la corretta chiave di lettura per risolvere quell’enigma espresso a pennello e racchiuso su tela. A questo punto chiede ai suoi laureandi cosa ne pensano? Quali spunti di riflessione vi induce il dipinto? Giorgio prende la parola e dice: “è un saliscendi di emozioni e di sensazioni”; personalmente il dipinto mi mette ansia, perché amo i grandi spazi e tutte le persone uguali la stessa sensazione di anime depresse anonime e assenti.... poiché tutte simili e uguali ??.... Asettiche ... Laura esordisce: “Pupazzi in mano alle banche ed al sistema.... Non hanno cuore ne anima viva e se fate caso solo la direzione verso cui guardano li differenzia gli uni dagli altri..... “Ombrelli chiusi con la pioggia e Uomini sospesi nel vuoto! Tutti tristemente scuri, anche io lo trovo alquanto angosciante.... seppur geniale”! È la riflessione di Massimo. Ribatte Veronica: “Uniformità, insomma la massa bisogno di vincere la gravità che ci attanaglia ad una realtà a volte molto sgradevole; soliti diritti soliti doveri .....ma anche angoscia e noia. “Forse l'assenza della gravità che ci rende più liberi o uguali??? Ma!!! O ci hanno assegnato allo psicanalista”!? Controbatte Giorgio. “Se avessi un ruolo in questo quadro mi immagino dietro ad una finestra ad osservare con divertimento il loro movimento composto e ripetitivo. Diciamo che rende bene l'idea della realtà che ci circonda, una realtà che si accontenta e preferisce seguire la rassicurante fila”asserisce Davide. “Sono degli impiccati del tempo, mancanza di personalità; è un tutt'uno di tristezza, nonostante le finestre siano aperte”afferma Maria. Angela è dell’idea: “Purtroppo temo sia il rischio a cui andremo incontro se non cominciamo a ragionare con la nostra testa, a non seguire le mode, a valorizzare le differenze .... infine a valorizzare le intuizioni”. “Piuttosto che l’individuazione direi consapevolezza della diversità; sapere di essere unici con la propria personalità o l’opposto dell’individuazione del proprio Io, tutti conformi al prototipo standardizzato si contrappone Roberto ad Angela. “Come gocce di acqua quando cade la pioggia, simili ed indistinguibili, l’uno dall’altro. Il movimento potrebbe essere verso l'alto, sogni ed aspirazioni; oppure se stessero scendendo verso il basso caduta dei valori”! Acclama con fervore Michele. “In primis mi ricorda l'omologazione, ma tuttavia mi fa pensare che ognuno di questi individui vada verso i propri sogni e le proprie aspirazioni”, risponde Elena a Michele. La docente prende la parola e conclude: “Omologazione sicuramente, tutti uguali, identici. È un messaggio questo e se ci foste voi lì in mezzo a loro? Quale sarebbe il vostro ruolo? Siete sicuri che non vi riguarda per niente??? Solitudini parallele e l'omologazione dell'individuo e la sua sottomissione al pensiero unico. Mentre la professoressa Antonini Maria Cristina stava per terminare la lezione; il laureando Bruno Pisapia disse: “Professoressa mi rendo conto, che è finita la lezione, ma prima di andarcene vorrei esprimere le mie sensazioni sul dipinto”. Ho ascoltato la disanima fatta da lei, le considerazioni dei miei compagni di corso, ma al primo sguardo del quadro, mi è affiorato alla mente, le persone che si lanciavano nel vuoto dalle torre gemelle (Il World Trade Center di New York), per evitare le fiamme; mi rendo perfettamente conto che il dipinto è del 1953 e non ha nessuna attinenza con l’11 settembre del 2oo1, a meno che Magritte non fosse preveggente. Bene rispose la docente: è ora di andare!



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Racconto scritto il 04/06/2017 - 11:45
Da Savino Spina
Letta n.2710 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


UN SEGUITATO IN CUI TRASPARE TUTTA LA TUA MAESTRIA LETTERARIA.
ENCOMIABILE SEMPRE, SAVINO.
LIETA SETTIMANA.
*****

Rocco Michele LETTINI 05/06/2017 - 09:35

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Racconto bello e particolare. Un quadro è un mondo, ognuno ci può vedere quello che la propria sensibilità, cultura, propensione al sogno, esperienza personale gli detta. Un'opera d'arte non dovrebbe mai essere spiegata, ognuno ci deve vedere quello che vuole. E' come per la poesia, anche un quadro trasmette emozioni e spesso le emozioni sono diverse, ma le emozioni soo semplici e vere, almeno io dico così per i miei quadri.
Complimenti per la fantasia e proprietà di linguaggio
Nicol *****

Nicol Marcier 04/06/2017 - 17:47

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