Alcuni buoni passaggi
Qui nel contado si sente solo il rumore della natura, lo ascolto da una sedia a dondolo.
Per un istante sembra di volare. Il cielo blu non fa smettere di osservare quelle nuvole dalle forme
strane, si comincia ad associarle a cose. Oggetti che conosci e… sorridi.
Pare di vedere muoversi frisbee di frittelle che riportano alla mente le passeggiate fatte alla festa
del paese, quando affondavi il volto nello zucchero e ne uscivi appiccicoso.
Il paesaggio somiglia alla saporosità dell’uva passa che tanto piaceva al padre che non c’è più,
o a un carme ancora da scrivere.
Ma l’amenità è l’aria che respiri, i profumi che attraversano le narici. La terra, l’erba, il fieno.
E se resti a guardare, e a dondolarti puoi avere la fortuna di giungere al tramonto, quando la natura
sembra che si congedi dalla luce del giorno per andare a dormire.
Sulla chiusa di questa intemperante sinossi giungerà poi il crepuscolo che vedrà il guaito straziante
di Poeta accucciato su una vecchia pantofola che oramai non servirà più a nessuno.
E con le luci dell’alba tutto ricomincia… il miracolo della vita, col risveglio di ogni suo abitante.
Lettore, siedi accanto a me… devi sapere che tutto ebbe inizio con quella sua stessa società
borghese che lo obbligò a condurre una vita asociale e scompiacente, lo rigettò dal giorno in cui egli
seppe leggere e fu poeta, e da allora appartenne alla razza da sempre maledetta col malvezzo di
quaranta sigarette al dì e birra a pinte…
Un giorno sulla seconda pagina del primo manoscritto “Come un aedo giunto alla sua ultima festa”,
nella dedica alla sorella si leggerà
“Insinuandoti nelle sue carme forse
il poeta sarà in grado di lenire le attese.
Che non gli si lesini la giusta levatura fintanto
che le membra sue non si saranno arrese!”
Furono diversi i riluttanti ad accoglierlo parimenti ai salotti monzesi, che nell’istante in cui
innescarono il suo aberrare, dalla fogna delle loro esistenze lo consegnarono alla malinconia
delle campagne canavesane.
E al chiaroscuro delle poesie contenute in “Ora che sta per morire quell’ostinato vecchio stanco”
che combinano ciò che vive a ciò che sogna.
Un giorno a chi gli chiese chi fosse, rispose sorridendo di esser solo il guaritore dell’altrui
carogna…
Ma torniamo a quei restii col maledetto poeta, maledetto per aver tentato di guarire il mondo
in mancanza di aver saputo farlo con se stesso.
Davanti a quella che è la foggia delle sue opere, davanti al poeta e lui medesimo dinanzi
all’ultimo eccesso, l’ultimo troppo spesso, si potrebbe osare dire che nel suo lasso di tempo
errabondo, lasciata dapprima la frescura delle palmizie caraibiche alla volta delle notti d’Ibiza,
si tormentò di aver relegato in fastelli di polverosi pensieri la propria poetica.
Dopo aver presa terra sulla playa iberica, si consumò la sua introspezione che stette in alloggio
a pigione nei liguri budelli dove partorì “Mamma dormiva, stanca di ago e filo nella sera”.
E complice un aspetto allampanato, diviene sintomo di una sensibilità capace di generare
“Alle labbra della notte”.
Con lui non c’è scelta, e lui stesso non ne ha. E questo stato darà adito alla stesura di lirismi
e a una sequela di eventi dal fetore del routinario…
Pari ai piovaschi chivassesi, uno strano ardore assume la forma di un vero e proprio tedio
esistenziale per una fanciulla. Questa situazione di conflitto e ambivalenza emotiva è sentita da
costui affine al donchisciotte. Ma il punto di partenza da cui muovono tanti suoi atteggiamenti
è la coscienza di uomo, di elemento con il proprio trasporto. Estraneo al mondo in cui vive, con
le sue lotte. Tale coscienza di diversità, portata a cottura nel modo in cui si fa col pane, guerreggia
col vergine impulso che approda alla cupa accidia.
Colei ne diviene consorte ed in un lasso piccino dà alla luce il frutto che gli somministra un tono
di euforia. O sovente approda a un atteggiamento di rivolta come si potrà leggere
in “Ho scelto di non avere scelta”.
Rognoso quanto un cane è l’animo di quest’uomo che nel focolare domestico pone questi destini
in buriana, tra vergogna e l’oblio. Il sogno di nuovi paradisi che ripaghino ciò da cui è stato esiliato,
elisio di nicotina e alcool che permetta di abbandonarsi alla menzogna di nuove sensazioni di colori,
musiche e profumi insiti nel suo lato oscuro passibile di inattivazione dopo mesi di amorevolezza,
cure e manna. Oppure il vagheggiamento di andare lontano, partire verso ciò che è diverso e insolito
che trova radici profonde nella percezione di volontaria prigionia che pervaderà l’intera opera
“Corri da lei e amala, ma non amarla troppo”. Radici letali in egual maniera a quelle di belladonna.
Si arrovella per l’incompleto appagamento per la prole. Per l’angoscia. Forse la sentite.
Detiene le sue giornate la smania di portare a termine il nuovo manoscritto incentrato su quel
tanto amato padre. Studia, legge e rilegge mentre la sua degradazione, insieme alla bardassa
che fuori dalla finestra folleggia con la meretrice, lo porta a concludere
“Un nodo in fondo alla gola, come lo è a volte un ricordo”.
Il paesaggio di campagna di là dal suo poggiolo risulta oramai essere come uno dei più piacenti.
Il luogo che puoi vedere dall’alto di una collina, come dall’alto scruta ogni carme un competente
editore. La distesa lo rilassa, senza che pensi più a nulla. Con la mente imbrattata dal verde delle
colline intorno alla valle, le distese dei campi coltivati, il fiumiciattolo che scorre. Risplende il sole.
Il canto degli uccellini e la lene brezza gli danno riposo. Lasciano ritrovare sulla pelle la pace
della fine. Come sul palato la sapidità del pane con l’uvetta nel verone afoso.
Lettore, chiunque tu sia, se sei arrivato a leggere fin qui concediti un ultimo sforzo.
Quel Mastro ora Mirko dormirà a lungo, così va la vita.
Prendi dalla libreria la latta col cibo per Poeta, e magari regalagli una carezza.
Togli dalle mani dell’uomo quell’ultima raccolta di poesie e riponila nella stessa libreria, non prima
di aver scritto, mi raccomando a matita, “Un acquazzone improvviso annuncia di nuovo il sereno”.
Per un istante sembra di volare. Il cielo blu non fa smettere di osservare quelle nuvole dalle forme
strane, si comincia ad associarle a cose. Oggetti che conosci e… sorridi.
Pare di vedere muoversi frisbee di frittelle che riportano alla mente le passeggiate fatte alla festa
del paese, quando affondavi il volto nello zucchero e ne uscivi appiccicoso.
Il paesaggio somiglia alla saporosità dell’uva passa che tanto piaceva al padre che non c’è più,
o a un carme ancora da scrivere.
Ma l’amenità è l’aria che respiri, i profumi che attraversano le narici. La terra, l’erba, il fieno.
E se resti a guardare, e a dondolarti puoi avere la fortuna di giungere al tramonto, quando la natura
sembra che si congedi dalla luce del giorno per andare a dormire.
Sulla chiusa di questa intemperante sinossi giungerà poi il crepuscolo che vedrà il guaito straziante
di Poeta accucciato su una vecchia pantofola che oramai non servirà più a nessuno.
E con le luci dell’alba tutto ricomincia… il miracolo della vita, col risveglio di ogni suo abitante.
Lettore, siedi accanto a me… devi sapere che tutto ebbe inizio con quella sua stessa società
borghese che lo obbligò a condurre una vita asociale e scompiacente, lo rigettò dal giorno in cui egli
seppe leggere e fu poeta, e da allora appartenne alla razza da sempre maledetta col malvezzo di
quaranta sigarette al dì e birra a pinte…
Un giorno sulla seconda pagina del primo manoscritto “Come un aedo giunto alla sua ultima festa”,
nella dedica alla sorella si leggerà
“Insinuandoti nelle sue carme forse
il poeta sarà in grado di lenire le attese.
Che non gli si lesini la giusta levatura fintanto
che le membra sue non si saranno arrese!”
Furono diversi i riluttanti ad accoglierlo parimenti ai salotti monzesi, che nell’istante in cui
innescarono il suo aberrare, dalla fogna delle loro esistenze lo consegnarono alla malinconia
delle campagne canavesane.
E al chiaroscuro delle poesie contenute in “Ora che sta per morire quell’ostinato vecchio stanco”
che combinano ciò che vive a ciò che sogna.
Un giorno a chi gli chiese chi fosse, rispose sorridendo di esser solo il guaritore dell’altrui
carogna…
Ma torniamo a quei restii col maledetto poeta, maledetto per aver tentato di guarire il mondo
in mancanza di aver saputo farlo con se stesso.
Davanti a quella che è la foggia delle sue opere, davanti al poeta e lui medesimo dinanzi
all’ultimo eccesso, l’ultimo troppo spesso, si potrebbe osare dire che nel suo lasso di tempo
errabondo, lasciata dapprima la frescura delle palmizie caraibiche alla volta delle notti d’Ibiza,
si tormentò di aver relegato in fastelli di polverosi pensieri la propria poetica.
Dopo aver presa terra sulla playa iberica, si consumò la sua introspezione che stette in alloggio
a pigione nei liguri budelli dove partorì “Mamma dormiva, stanca di ago e filo nella sera”.
E complice un aspetto allampanato, diviene sintomo di una sensibilità capace di generare
“Alle labbra della notte”.
Con lui non c’è scelta, e lui stesso non ne ha. E questo stato darà adito alla stesura di lirismi
e a una sequela di eventi dal fetore del routinario…
Pari ai piovaschi chivassesi, uno strano ardore assume la forma di un vero e proprio tedio
esistenziale per una fanciulla. Questa situazione di conflitto e ambivalenza emotiva è sentita da
costui affine al donchisciotte. Ma il punto di partenza da cui muovono tanti suoi atteggiamenti
è la coscienza di uomo, di elemento con il proprio trasporto. Estraneo al mondo in cui vive, con
le sue lotte. Tale coscienza di diversità, portata a cottura nel modo in cui si fa col pane, guerreggia
col vergine impulso che approda alla cupa accidia.
Colei ne diviene consorte ed in un lasso piccino dà alla luce il frutto che gli somministra un tono
di euforia. O sovente approda a un atteggiamento di rivolta come si potrà leggere
in “Ho scelto di non avere scelta”.
Rognoso quanto un cane è l’animo di quest’uomo che nel focolare domestico pone questi destini
in buriana, tra vergogna e l’oblio. Il sogno di nuovi paradisi che ripaghino ciò da cui è stato esiliato,
elisio di nicotina e alcool che permetta di abbandonarsi alla menzogna di nuove sensazioni di colori,
musiche e profumi insiti nel suo lato oscuro passibile di inattivazione dopo mesi di amorevolezza,
cure e manna. Oppure il vagheggiamento di andare lontano, partire verso ciò che è diverso e insolito
che trova radici profonde nella percezione di volontaria prigionia che pervaderà l’intera opera
“Corri da lei e amala, ma non amarla troppo”. Radici letali in egual maniera a quelle di belladonna.
Si arrovella per l’incompleto appagamento per la prole. Per l’angoscia. Forse la sentite.
Detiene le sue giornate la smania di portare a termine il nuovo manoscritto incentrato su quel
tanto amato padre. Studia, legge e rilegge mentre la sua degradazione, insieme alla bardassa
che fuori dalla finestra folleggia con la meretrice, lo porta a concludere
“Un nodo in fondo alla gola, come lo è a volte un ricordo”.
Il paesaggio di campagna di là dal suo poggiolo risulta oramai essere come uno dei più piacenti.
Il luogo che puoi vedere dall’alto di una collina, come dall’alto scruta ogni carme un competente
editore. La distesa lo rilassa, senza che pensi più a nulla. Con la mente imbrattata dal verde delle
colline intorno alla valle, le distese dei campi coltivati, il fiumiciattolo che scorre. Risplende il sole.
Il canto degli uccellini e la lene brezza gli danno riposo. Lasciano ritrovare sulla pelle la pace
della fine. Come sul palato la sapidità del pane con l’uvetta nel verone afoso.
Lettore, chiunque tu sia, se sei arrivato a leggere fin qui concediti un ultimo sforzo.
Quel Mastro ora Mirko dormirà a lungo, così va la vita.
Prendi dalla libreria la latta col cibo per Poeta, e magari regalagli una carezza.
Togli dalle mani dell’uomo quell’ultima raccolta di poesie e riponila nella stessa libreria, non prima
di aver scritto, mi raccomando a matita, “Un acquazzone improvviso annuncia di nuovo il sereno”.
-Qualche anno fa ho avuto la necessità di elaborare un lutto, una grande ferita che come tale ha
avuto bisogno di un periodo per cicatrizzare. Nove lettere immaginarie sul filo sottile tra
compendio dei primi mie otto sillogi e biografia, scritte a quattro mani con la pazzia, sono state
quel percorso. Il percorso del Poeta col pane con l’uva, come mi piace chiamarlo. Poi qualche
giorno fa una persona cara mi ha preso per mano e accompagnato nel mio mondo, entrandoci con
rispetto, attendendo con me che prendesse vita questo racconto
Racconto scritto il 18/09/2019 - 15:18
Letta n.883 volte.
Voto: | su 3 votanti |
Commenti
Vorrei dire tante cose ma mi limito a dire che l'ho letto con sincero interesse e sinceramente l'ho anche apprezzato.
Antonio Girardi 19/09/2019 - 21:24
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Credo di avere scritto qualcosa che comporta nel lettore il sacrificio di una buona dose del suo tempo. Proprio perché sono consapevole di ciò, tengo più del solito a ringraziare per questi commenti che mi hanno ripagato dello sforzo...non tanto nello scriverlo, quanto nel decidere di pubblicarlo. Grazie
Mirko (MastroPoeta) 18/09/2019 - 20:48
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Mirko è un tuo prendere per mano e condurre su sentieri che hai percorso...non si può aggiungere molto,
è un testo intenso, da leggere nel silenzio...
è un testo intenso, da leggere nel silenzio...
Grazia Giuliani 18/09/2019 - 20:04
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....a te,
ed alla mano gentile
....complimenti, un testo emozionante
ed alla mano gentile
....complimenti, un testo emozionante
laisa azzurra 18/09/2019 - 20:04
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Nn posso nn commentare tanta bellezza.
L'inquietudine del poeta che vive nel proprio mondo, fatto di cose semplici eppure così complicate è poi quella dell'uomo, sempre così inadatto, tanto da porsi la domana: son'io o il mondo a nn essere all'altezza.
Un animo buono, il tuo. Nn puoi essere tu l'errore, ma l'orrore nn possiamo annientarlo, no, siamo uomini, null'altro che uomini.
Ecco, solo una mano gentile può averti accompagnato lungo questo percorso. Una mano delicata, femminile, quale quella di una madre, di una sorella, moglie, oppure amica.
L'inquietudine del poeta che vive nel proprio mondo, fatto di cose semplici eppure così complicate è poi quella dell'uomo, sempre così inadatto, tanto da porsi la domana: son'io o il mondo a nn essere all'altezza.
Un animo buono, il tuo. Nn puoi essere tu l'errore, ma l'orrore nn possiamo annientarlo, no, siamo uomini, null'altro che uomini.
Ecco, solo una mano gentile può averti accompagnato lungo questo percorso. Una mano delicata, femminile, quale quella di una madre, di una sorella, moglie, oppure amica.
laisa azzurra 18/09/2019 - 20:01
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Sei bravissimo, ho letto questo racconto passo dopo passo e mi sono inoltrata nelle sensazioni diverse e vissute con rispettoso silenzio. Complimenti!
Margherita Pisano 18/09/2019 - 19:54
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