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Una briciola della mia vita ( Prima Parte)

Avevo quattordici anni quando mio padre mi accompagnò a Trivento ( CB)
per frquentarvi la scuola media statale.
Giunti al convitto, con una piccola valigia, nella quale c'era tutto il mio corredo,
chiedemmo del direttore.
Un istitutore ci pregò di attendere mentre ci avrebbe annunciati.


Dopo qualche minuto riapparve con il Monsignor Gianico, uomo di grande fede, che ci accolse
con gentilezza e grande ospitalità e ci invitò ad entrare nel suo ufficio, la direzione.
Era un uomo di statura normale ma di una grande personalità che metteva ad agio e disagio allo stesso tempo.
Portava gli occhiali calati un po' sul naso ed aveva il viso roseo e la pelle molto delicata.
Con molta religiosità e sicurezza pronunciava le parole spontaneamente
e ben amalgamate.


Ad un tratto, standomi di fronte, mi poggiò una mano sulla spalla mentre con l'altra mi sollevò il mento affinché lo guardassi in faccia e disse:
figliolo, se ti impegnerai nello studio, se sarai corretto con i tuoi compagni di scuola
e col resto dei convittori, solo allora sarai uno studente esemplare ed io ti aiuterò
con tutte le mie forze.


A quelle parole scattò in me una gran timidezza e contemporaneamente una voglia di non deludere
ed una forma di rispetto che fino a quel momento non conoscevo.
Mi pregò poi di uscire e di aspettare nel pianerottolo mentre avrebbe parlato del più
e del meno con mio padre di cose che io non dovevo sentire ne sapere.
Dopo poco più di mezz'ora la porta s'aprì e mio padre abbracciandomi, mi disse
di stare attento e di rispettare chiunque, soprattutto Don Gianico che da quel momento
avrebbe fatto le sue veci. Mi guardò, mi strinse in un abbraccio interminabile, singhiozzando
e con le lacrime agli occhi s'allontanò raccomandandomi di scrivere presto e spesso.


Monsignore, che aveva assistito tutto a pochi passi, mi porse la sua mano nella quale rifocillai la mia e mi accompagnò in una camerata con una cinquantina di letti assegnandomi la branda,
l'unica ancora libera.
Alla mia destra ci dormiva un ragazzo di Campolieto (CB) che era stato in seminario ma espulso per il suo pessimo comportamento.
A sinistra uno di Pescara, figlio di dottore, a volte spiritoso, a volte arrogante, tutto sommato antipatico. Era viziato ed aveva poco rispetto per i più deboli.
La sera, la prima in convitto, andai a dormire stremato perché avevamo viaggiato tutto il giorno
senz'alcuna pausa e dovetti ascoltare attentamente le raccomandazioni
che mio padre mi aveva fatto.


La notte sembrò breve perché alle sei in punto il vice direttore gridando diede la sveglia
e tutti s'alzarono correndo verso i bagni per lavarsi e prepararsi per la Santa Messa.
Così fu l'inizio della mia permanenza triennale in convitto e degli anni forse più belli della mia fanciullezza;
una briciola della mia vita.


Mario Bruno Ciancia




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Racconto scritto il 08/05/2014 - 16:34
Da Mario Bruno Ciancia
Letta n.1304 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Come si fa, Mario, a dimenticare una briciola della propria fanciullezza? Il tuo descrivere te stesso in quella lontana età, ti fa rivivere momenti che per te sono stati insegnamenti di vita. Indelebili rimangono nel ricordo che ti ha visto crescere. Ed ora ti sono cari a rimembrarli. Molto piaciuta la narrazione. Un saluto!

Giuseppe Vita 03/10/2014 - 22:07

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Ero in convitto con circa 300 altri ragazzi tra i dieci ed i venti anni.
Non era facile vivere e studiare in pace.
Spesso ci si bisticciava per niente.
Alcuni erano presuntuosi e altri egoisti ma io sono uno che si fa rispettare, che fa rispettare i deboli, che aiuta.
Nel convitto ho imparato tante cose che mi sono servite nella vita e che mi servono ancora oggi.

Mario Bruno Ciancia 29/08/2014 - 11:36

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