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Carcara

Gli uomini si alzarono prima che il gallo cantasse e la luna si trasformasse in una timida alba dagli occhi arrossati.
Alcuni di loro scesero in cantina con i sacchi di iuta, altri andarono in cucina a recuperare il pane scavato ripieno di patate.
Con una pagnotta da due chili ci avrebbero mangiato in dieci e loro erano in sei. Più tardi, in mattinata, li avrebbero raggiunti anche le donne con i cesti carichi di fichi secchi, noci e mele.
L'estate dava gli ultimi segnali e l'umidità del mattino era pungente come un soffio di rugiada che ti si infila tra il collo e la schiena sudata.
Gli uomini con la pagnotta avvolta nella tovaglia raggiunsero gli altri in cantina e insieme uscirono nella notte disseminata di stelle, con le carriole cariche di attrezzi da lavoro, vino, taniche vuote per l'acqua e i loro cappelli di paglia per quando il sole avrebbe mostrato la sua forza a metà mattinata.
Passarono accanto alla vecchia carcara e in silenzio, senza dire nulla, la guardarono e tastarono con i piedi il tetto di pietre e terriccio rinforzato qualche anno prima.
Poi se ne andarono, scendendo lungo il sentiero che conduce al fiume.
"È solida, ma dobbiamo apparare i lati del tetto con altre pietre. Se ci camminiamo sopra può cedere".
Il gallo cantò una prima volta quando un riflesso pallido raggiunse le case e i campi coltivati e si infilò tra gli alberi dove le rondini stavano già abbandonando i nidi.
Quando arrivarono al fiume riempirono le taniche, si sciacquarono la faccia, si sedettero a terra e aprirono la loro colazione. Il pane, riempito la sera precedente, si era talmente inzuppato che non serviva un coltello per razionarlo, quindi posarono la pagnotta al centro e con le mani staccarono un pezzo e bevvero a garganella dalla fiaschetta per mandare giù il boccone.
Il sapore acre del vino li tirò su di morale e scaldò le loro mani fradice di artrite e umidità.
I meno giovani del gruppo avevano già le dita storte e le unghie ispessite e gialle come la paglia, con venature nerastre simili a una tavola di truciolato.
È il gioco della terra, dicevano gli anziani. Tu la lavori con le tue mani e lei lavora le tue mani.
Quando ebbero finito si alzarono per bere al fiume, si sciacquarono le mani e si guardarono attorno in cerca delle pietre adatte per riempire la carcara.
Servivano pietre grosse e possibilmente appuntite così da potersi incastrare l'una all'altra con più facilità. Ne servivano tante per riempire tutto il comignolo fino in superficie, poi sarebbe stata la volta della legna da ardere, dei rami, delle fascine. La legna secca era meglio di quella verde, ma quella verde garantiva una durata maggiore e una resa migliore.
Una carcara è un camino di pietra a forma cilindrica infossato nel terreno e costruito generalmente tra due massi resistenti.
Funziona così: si riempie il cilindro di pietre in modo circolare e piramidale sino a raggiungere la superficie che man mano si restringe. Si tappa la superficie con un'ultima pietra e da un foro d'entrata posto alla base della struttura si inserisce la legna. Tanta legna. Le pietre bruciano per giorni prima di raggiungere l'obiettivo desiderato e trasformarsi in ciò che gli uomini volevano: calce. Una carcara serve a produrre la calce. Con la calce si costruiscono le case o si prepara lo stucco e l'intonaco.
Quando gli uomini scaricarono a terra le ultime carriole cariche di pesanti pietre il sole era già alto e l'intera campagna brillava sotto i suoi bollenti riverberi.
Le donne avevano raggiunto gli uomini con i panari pieni di frutta fresca e secca, pane e formaggio e si erano messe a lavoro per spazzare il fondo della carcara coperto di foglie, erbaccia e fango rinsecchito.
Gli uomini avevano la camicia bagnata di sudore e le loro mani erano più grigie della cenere. Mangiarono, bevvero acqua, vino, sgranocchiarono le noci e attesero che un po' d'ombra comparisse dietro le querce e prima che la stanchezza del pranzo li assalisse si rimisero a lavoro.
I due più esperti entrarono nella carcara e iniziarono a sistemare le pietre tutt'intorno a loro, mentre gli altri gliele passavano dal foro d'entrata in basso. La carcara era alta poco più di due metri e le pietre dovevano bastare per riempirla tutta. Una volta riempita bisognava recuperare quanta più legna possibile.
Andarono avanti così per delle ore e quando il tetto fu quasi coperto il sole si era adagiato tra le montagne e la sua faccia stava diventando rossa come la terra a luglio.
Con il fresco anche nonni e bambini avevano raggiunto i lavoratori; i nonni avevano accompagnato i bambini per mano, i bambini erano tornati indietro a prendere loro le sedie e adesso se ne stavano in silenzio ad osservare lo svolgimento dei lavori. I bambini sorridevano, i nonni sorridevano e sbucciavano le mele ai bambini.
Gli uomini facevano di nuovo su e giù dal fiume per trasportare legna, rami e pigne secche e mentre li scaricavano ai piedi della carcara le donne ammucchiavano tutto facendo ben attenzione a dividere le pigne dal resto.
Quando i due uomini piu esperti uscirono dal cilindro per raggiungere il tetto dall'esterno posando l'ultima pietra a chiusura, ci fu un breve applauso e i bambini saltellarono dalla gioia.
Ora arrivava il momento più importante e gli uomini e le donne si avvicinarono al buco alla base per infilare la legna e i rami e costruire una sorta di nido con le pigne al centro. Il tutto venne cosparso di olio e infine venne dato alle fiamme.
Il fuoco doveva essere potente ma costante e per evitare che il calore si propagasse subito in tutto il cilindro venne posta una pietra a parziale chiusura del buco.
Del fumo denso uscì dal tetto disegnando ghirigori e scarabocchi che nella luce del crepuscolo salirono in cielo per unirsi alla scia delle comete.
In poche ore il cuore di pietra della carcara emise scintille e zolfo come un piccolo, umile vulcano dalla corazza a forma di testuggine.
Quando l'oscurità avvolse la campagna anziani e bambini tornarono a casa e gli uomini e le donne stabilirono i turni per la notte. Era necessario restare almeno in quattro per tenere viva la brace e occuparsi della legna.
La provvista bastava per un solo giorno e prima che l'alba tornasse a risplendere bisognava fare nuovamente scorta.
Si decise per due uomini e due donne, il resto l'indomani sarebbe andato nei campi e a sera avrebbe dato il cambio ai primi quattro.
La compagnia si sciolse tra sorrisi di soddisfazione e rughe di stanchezza, il lavoro andò avanti e le fiamme volteggiarono sospinte da una lieve brezza che portava con sé il profumo delle cose.
La notte trascorse serena e luminosa sotto il manto puro delle stelle e delle scie dei pipistrelli in giro fino a tardi per fare indigestione di zanzare.
Due gufi passarono sui lati della colonna di fumo inseguendosi e intrecciando le loro traiettorie come a voler formare un otto rovesciato sulle teste dei lavoratori. Ora il fuoco al centro della carcara si era distribuito equamente sul resto del cilindro e le prime pietre alla base stavano cambiando colore e consistenza: dal grigio scuro alla grafite, dalla grana fine all'avorio. Quando avrebbero raggiunto l'aspetto di un chicco di sale grosso allora sarebbero state pronte.
Un furetto mostrò il suo musetto vispo sbucando dai cespugli, si fermò alzandosi sulle due zampe posteriori, fiutò l'aria e sparì rapidamente tra le ombre in movimento proiettate dalle fiamme.
Il tetto si era trasformato gradualmente in una bocca rovente e il luccichio che filtrava nelle fessure tra le pietre rischiarava l'intera collina.
"Quando le fiamme saranno al massimo ci vedranno a chilometri di distanza. Anche nostro Signore ci vedrà: gli scalderemo la sedia".
La luna si nascose dietro una soffice nuvola giunta da est, abbassò le luci e prima di uscire di scena fece un inchino di riverenza ai suoi stanchi spettatori.
L'alba arrivò puntuale e le foglie, i fiori e le piante si ricoprirono di un sottile strato di brina che si sciolse non appena i primi, tiepidi raggi investirono la campagna.
Due dei quattro, un uomo e una donna, tornarono a casa per preparare la colazione.
Al loro ritorno, gli altri due rimasti di guardia si sarebbero occupati di procurare altra legna.
L'intera giornata trascorse nella dolce indolenza di una routine preventivata secondo i calcoli dei giorni precedenti.
Una volta avviata, la carcara diventò un automa dotato di una sorprendente vitalità, quasi fosse il parto di una mente divina con le sembianze e i desideri di un essere vivente a tutti gli effetti.
Gli uomini e le donne presero ad adorarla, a coccolarla, a viziarla e quando vi inserivano altra legna da ardere lo facevano con la cura amorosa di una madre e con il diletto di un amante.
Nel pomeriggio il vento fresco che saliva dal fiume e accarezzava i rami degli alberi agì da mantice naturale, così che i lavoratori poterono riposarsi sotto le fronde di una quercia.
Dormirono e la campagna restava sveglia.
Dormirono e la campagna popolava i loro sogni.
Arrivò la sera e come d'accordo ci fu il cambio turno e gli uomini e le donne si salutarono e si scambiarono impressioni e racconti della giornata.
Settembre è il mese dei fichi, delle mele, delle pere, delle pesche tardive e delle mandorle. Ma è anche il mese in cui si seminano barbabietole, bieta, carote, cavoli, cicoria, finocchi, lattughe, rape, ravanelli, rucola e spinaci.
"Settembre o porta via i ponti o secca le fonti".
"Aria settembrina, fresco la sera e fresco la mattina".
La seconda notte di fuoco iniziò nel segno dei vecchi detti popolari e dello scirocco di terra che annunciava le prime piogge autunnali. La pioggia sarebbe arrivata sì, ma non prima di una decina di giorni e avrebbe spazzato d'un colpo l'afa estiva.
I gufi e le civette cantarono un'ode alla campagna e il lavoro proseguì, instancabile e fiero come la vanga che solca i campi e la falce che recide il grano.
Il terzo giorno fu annunciato da un sole che sembrava inspirare a pieni polmoni le ultime esalazioni della carcara, soffiando sulla terra un vento caldo e ostinato.
Il fuoco aveva ormai consumato l'intera pira di pietre e l'odore di zolfo e cenere si era intensificato così tanto che a tratti pareva di stare nelle vicinanze di una fonte termale. Gli uomini e le donne erano provati e le loro mani livide e ricoperte di pustole da ustione; i nonni e i bambini erano tornati a giocare insieme all'ombra degli alberi e i vicini stavano trasportando a mano un gran calderone di rame.
Il lavoro era quasi finito, ora non rimaneva altro che far raffreddare le pietre e in un secondo momento frantumarle e portarle con la carriola in magazzino. Uno dei quattro lavoratori tolse la pietra dal buco della carcara, dal quale uscì immediatamente uno sbuffo nerastro, e con una pala iniziò a tirare via la brace rovente. Il calderone venne sistemato su un ampio treppiedi, sotto venne messa un po' della brace e altri legnetti e fu riempita con dei secchi d'acqua fresca che i vicini avevano preso al fiume. Per l'occasione i vicini avevano portato anche pane e frittata e preparato le lagane fresche, una pasta lunga e arrotondata fatta semplicemente con acqua e farina da cuocere insieme ai fagioli.
Lagane e fagioli era il piatto della festa.
E quella era un'occasione di festa, perché in campagna, tra i contadini, il frutto del sudore e della fatica è sempre qualcosa che va celebrato e condiviso con tutti.
Un uomo o una donna, da soli, con i calli alle mani e la schiena rotta sono un uomo e una donna disperati; un uomo e una donna insieme ad altri uomini e ad altre donne hanno già sconfitto la disperazione e la loro forza è come il fuoco che buca la pietra.
La calce sarebbe servita a tutti e tutti avrebbero potuto utilizzarla, così come il resto dei beni della terra.
I lavoratori svuotavano la brace, la ammucchiavano e la coprivano di terriccio umido; il vento divenne più sottile e l'aria si riempì del dolce profumo dei fagioli e delle risate gioiose dei bambini. Le donne con i fazzoletti in testa tagliavano il pane a fette, lo inzuppavano nel calderone e lo offrivano ai nonni. Un passerotto volò di fianco al tetto della carcara, cinguettò e proseguì in direzione del mare per unirsi alla sua famiglia.
"Non c’è un solo frammento isolato in tutta la natura, ogni frammento fa parte di un’unità armoniosa e completa".



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Racconto scritto il 21/02/2023 - 14:16
Da Marco Mitidieri
Letta n.926 volte.
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