Le tessere del mosaico
Paolo è un poliziotto, sta per vivere un'avventura strana e un po' surreale.
Il turno era finito.
All'imbrunire la città si veste di magia, il sole che tramonta trasforma le facciate delle case in torrioni colorati di tutte le tonalità del rosa, dal più chiaro per quelle a intonaco bianco, al più scuro per quelle con i mattoni a vista.
Le luci di lampioni e negozi che iniziano ad accendersi creano bolle luminose alternate a zone d'ombra, fantasticando si può immaginare di tutto: un castello con sfarzose sale rutilanti di colori e passaggi segreti oppure una scogliera illuminata dalla luna e da stelle multicolori, con anfratti e caverne.
Così Paolo viveva la sua città quando, al termine del lavoro, percorreva la via di casa.
In borghese, con quel viso da ragazzo, nessuno avrebbe creduto a cosa facesse per vivere.
Eppure per lui il lavoro non finiva mai, anche se non era più in servizio si sentiva sempre in dovere di svolgere il compito che si era assunto: difendere la gente onesta dai malfattori.
“Se sei un poliziotto, lo sei sempre” si diceva.
Poco importava che avesse una fantasia sfrenata, anzi in alcuni casi gli era servita per cavarsi d'impiccio.
Delle voci attirarono la sua attenzione, venivano da un vicolo poco illuminato.
Quattro giovinastri si burlavano di un vecchio che, a prima vista, sembrava un mendicante.
“Dai vecchio raccontaci una storia, poi ti daremo un euro”.
“Ve ne ho già raccontate tante, quell'euro mi serve per un panino”.
“No, no, ne vogliamo ancora e poi sappiamo che ti serve per il vino, non per mangiare”.
“Vi assicuro che ho fame”.
“Anche noi ma di storie, se non ne racconti altre ciao ciao euro”.
Ridendo si lanciavano la moneta l'un l'altro mentre il vecchio, malfermo sulle gambe, cercava invano di prenderla.
Paolo decise che doveva intervenire: “Ehi, che state combinando?”
I quattro interruppero il gioco pronti a fronteggiare l'intruso: “E tu che vuoi?” lo apostrofò il più baldanzoso.
“Che la finiate, altrimenti dovrete vedervela con me”.
“Oh, ragazzi è arrivato Batman, è vero che sei grosso, ma noi siamo in quattro”.
“Quattro moscardini come voi con me ci rimetterebbero, ma non voglio ammaccarvi, forse questo vi farà ragionare” disse estraendo il tesserino.
“Ragazzi, è un poliziotto!” in men che non si dica si volatilizzarono così velocemente che nemmeno Mago Merlino avrebbe saputo far di meglio per farli sparire.
Il vecchio si avvicinò per vedere il suo salvatore e quando l'ebbe squadrato per bene, con il viso che s'illuminava dalla gioia, esclamò: “Giorgio, ma sei proprio tu, dopo tutti questi anni, che piacere rivederti!” e abbracciò il ragazzo.
“Si sbaglia, mi chiamo Paolo, lei deve avermi confuso con un altro” liberandosi dalla stretta.
“No, non mi sbaglio, sei il mio migliore amico, tale e quale a come ti ricordo, non dirmi che tu hai dimenticato quanto ci siamo divertiti insieme” un'ombra di rammarico era apparsa sul viso del vecchio.
“Le dico che mi chiamo Paolo ed è la prima volta che ci vediamo, in più non abbiamo nemmeno la stessa età”.
“Eh già, sei rimasto quello di allora, non vuoi svelare al tuo amico Giacomo quale elisir segreto hai scoperto per non invecchiare?”
Impresa disperata, non c'era modo di convincere quel tale che si sbagliava, anche perché sembrava non avesse tutte le rotelle al posto giusto, con i matti si sa, è impossibile ragionare; decise di assecondarlo.
“Beh è un segreto, la strada non è il luogo adatto per rivelarlo, qualcuno potrebbe sentire” l'aria era quella del cospiratore.
“Non sei cambiato proprio per niente, li sai tenere i segreti tu! Ricordi quando frequentavo quella ragazza e nessuno doveva saperlo?”
“Chi, la Luisa?”
“Macché Luisa, la Nives, quella con due...” il gesto era inequivocabile.
“Ah, quella!”
“Già, tu lo sapevi ma non hai mai detto una parola, muto come una tomba, il mio grande amico Giorgio. Ricordi? G e G ci chiamavano, sempre insieme”.
La situazione stava complicandosi non poco, cercando di uscirne Paolo cercò una scappatoia: “Ho sentito che hai fame, ti andrebbe di andare a mangiare qualcosa?”
“Bella idea, così potremo rivangare i vecchi tempi!”
Ecco, frittata fatta, rassegnato ma deciso ad aiutare il suo interlocutore, si avviò verso un noto fastfood la cui insegna rossa e gialla si vedeva poco distante; l'altro lo prese sottobraccio e sincronizzando il passo con quello di Paolo continuò: “Proprio come quando andavamo alle feste di paese, una bella sbafata e poi magari una bella scazzottata, ricordi quella volta che eravamo due contro sei, li abbiamo stesi tutti e...”.
“Eh no, quei tempi sono finiti, mangiamo tranquilli e non scazzottiamo nessuno!”
“Io ormai sono vecchio, ma tu potresti stenderne tre con una sola mano, senti qui che muscoli, ma come hai fatto a tenerti così in forma?”
“Ho detto che non scazzotteremo nessuno!”
“Va bene Giorgio, d'altra parte sei tu quello che ha avuto sempre più giudizio, non dimentico, sai, quante volte mi hai tirato fuori dai guai”.
Inutile smentirlo, sarebbe stato Giorgio per tutta la sera. Erano arrivati, con un sospiro di rassegnazione guidò Giacomo a un tavolo “Che prendi?” “Quello che prendi tu, per me va bene”.
Fra un boccone e l'altro Giacomo non smetteva di parlare, con gli occhi sognanti raccontava la sua giovinezza iniziando ogni descrizione con: “Ti ricordi?” ogni volta Paolo sostenendo la parte, annuiva o s'inventava qualche nome che inevitabilmente era smentito dall'altro con l'indicazione del nome corretto come: “Ma no, Luca il macellaio, quello con cui ci siamo sbronzati dopo che tu, al palo della cuccagna, eri riuscito ad arraffare il premio più grosso, un prosciutto intero” “Ah già, Luca, ma non era quello che partito per il militare non è tornato?” l'espressione dell'altro gli fece capire d'averci azzeccato, “Lo vedi, che ti ricordi? Certo per i nomi non sei un granché, ma per le situazioni la memoria non ti fa cilecca”.
“Povero ragazzo, eravamo al fronte, nella stessa compagnia, quando sono tornato ho dovuto essere io a dare la notizia ai suoi genitori, poi sono venuto da te e tu dal grande amico che sei, mi hai portato a divertirmi per farmi dimenticare quel brutto momento, queste sono cose che non si dimenticano, Giorgio!”.
Paolo ci stava prendendo gusto, era un piacere sentire l'uomo raccontare, ma ancora più piacevole era l'entusiasmo che traspariva da quegli occhi chiari, non se la sentiva di deludere quella persona che stava vivendo un momento di felicità anche se fittizia, domani sarebbe cambiato tutto e da quel matto che era, forse non avrebbe nemmeno ricordato la serata, ma ora... si era illuso di avere ritrovato il suo migliore amico e sarebbe stato un peccato negargli quel piacere.
Finita la cena, all'uscita del locale l'inevitabile domanda:
“Che dici se domani ci vediamo? Così possiamo farci ancora una chiacchierata, io abito al di là del parco, potremmo vederci magari nel pomeriggio e goderci il sole su una panchina mentre riviviamo i bei momenti passati insieme”.
Come dirgli di no? Inoltre il giorno dopo sarebbe stato quello di riposo, non gli costava nulla accontentarlo, in più Paolo era incuriosito, voleva approfondire la conoscenza di Giacomo, lo affascinava il poter sapere quale fosse stata la vita dell'uomo e voleva capire come mai gli avesse dato di volta il cervello; perché non si spiegava altrimenti come avesse potuto scambiarlo per il suo amico Giorgio, a occhio e croce, se quel tale fosse stato ancora vivo, avrebbe dovuto avere almeno trentacinque anni più di lui, un coetaneo dell'uomo che aveva di fronte.
“Si, mi va bene, ci vediamo alle quindici, alle panchine che sono intorno al chiosco delle bibite”.
“Non ti smentisci mai, sempre preciso tu, ricordi quante volte mi hai sollecitato perché ero in ritardo?” altro bluff: “Tu eri sempre in ritardo!” “Eh sì, è più forte di me, l'orologio e io non andiamo d'accordo” con una risatina chioccia Giacomo si avviò per andarsene a casa, non prima di aver esclamato: “Ciao amico mio”.
“Ciao vecchio” la risposta di Paolo però si perse nella notte.
L'indomani, tutti e due sulla panchina stavano rimirando la giovane cassiera del chiosco e Giacomo esordì: “Ti ricordi Beatrice? Quella ragazza le assomiglia molto, tutti e due ne eravamo innamorati, quando l'abbiamo scoperto per poco non ci accapigliavamo, ma poi tu hai deciso di partire, ora puoi dirmi la verità, l'hai fatto perché avessi campo libero, non è vero?”
Doveva trovare una risposta convincente, non doveva essere l'immediata ammissione, non poteva permettersi di perdere qualche altro particolare della vita di Giacomo.
Si sentiva come uno di quegli artisti che compongono i mosaici, tessera dopo tessera l'immagine prende forma e lui stava facendo proprio questo: ricostruiva la vita dell'uomo attraverso i suoi racconti, così: “Ma no, sono partito perché mi avevano fatto una proposta vantaggiosa”.
“Non me la conti giusta, amico! Ricordi cosa mi dicesti prima di imbarcarti? Sii felice con lei, ecco cosa mi dicesti, ma avevi gli occhi lucidi”.
“Come è andata?” cercando di glissare sul momento commovente e al sacrificio che allora Giorgio aveva sicuramente fatto.
“L'ho sposata! Sono stati anni felici finché è durata, poi quel maledetto male se l'è portata via!” con la fragile mano si colpì il ginocchio mentre due lacrime sgorgavano dagli occhi azzurri.
“Mi dispiace, non lo sapevo”.
“Come potevi? Eri in giro per il mondo, ricordo come parlavi di tutti quei paesi che volevi visitare, ero sicuro che saresti tornato per raccontarmi le tue avventure, mentre io non mi sono mai mosso da qui, sono sempre stato pigro, quante volte hai dovuto pungolarmi per andare da una parte o un'altra. Tutte le domeniche venivi sotto casa e chiamavi a gran voce, finché non scendevo e ce ne andavamo a zonzo a fare le cose più pazze”.
“Eh sì, ne abbiamo combinate delle belle!” immedesimandosi sempre di più nel personaggio e con la convinzione che il “suo” mosaico si stava completando.
Gli sembrava di aver capito da cosa derivava la follia dell'uomo: prima la perdita dell'amico che gli aveva lasciato il campo libero con la ragazza dei suoi sogni, poi la perdita di lei; si domandò come avrebbe reagito lui nelle stesse circostanze.
Con il suo carattere, avrebbe reagito con rabbia, non avrebbe permesso che i fatti della vita lo facessero soccombere come era capitato a Giacomo, verificarlo era impossibile, la sua vita fino a quel momento era stata diversa; amici? Sì ma nessuno considerato il migliore. Donne? Sì ma nessuna per cui perdere la testa; si trovò a invidiare un poco quell'uomo che annegando nei ricordi, viveva degli attimi di vera felicità.
“Delle belle, dici? Altro che belle, se penso a quella volta che ci siamo intrufolati nella stalla del vecchio fattore: avevamo deciso di mungere la vacca prima che lo facesse lui, solo per vedere che faccia avrebbe fatto, ma ci ha scoperto e che corsa facemmo mentre ci rincorreva urlando, se ci penso mi viene ancora il fiatone!”
A quel racconto, Paolo non poté trattenere una risata, accompagnata da quella di Giacomo, chi stava passeggiando sul viale in quel momento li guardò sbalordito, vedendo le facce stupite dei passanti, ai due l'attacco di riso si fece ancor più forte, fino ad avere le lacrime agli occhi.
Anche la giovane cassiera li stava guardando incuriosita, accortosi delle sue occhiate Giacomo esclamò: “Signorina, questo è Giorgio, il mio migliore amico, l'ho ritrovato e ora stiamo ridendo delle nostre malefatte di ragazzi”.
Con un sorriso accondiscendente la ragazza girò lo sguardo, pensando che probabilmente quei due erano matti da legare, avevano come minimo trent'anni di differenza e si raccontavano di quando erano ragazzi insieme, “Ce n'è di gente strana in giro” fu il suo pensiero e si disinteressò di loro.
Dopo il momento ilare, si accorsero che era arrivata l'ora di accomiatarsi.
Giacomo si alzò per primo e guardando l'altro negli occhi esclamò: “Grazie Paolo, per questi bei momenti, non sai quanto bene mi hai fatto e quanto contino per me!”
Stupefatto, il ragazzo lo guardò: “Ma...?”
“Sai, quando non hai più nessuno con cui parlare, l'unico modo per farti ascoltare è fingere di essere matto. Grazie ancora di tutto!” con queste parole il vecchio gli prese la mano, la strinse, poi gli girò le spalle e con un passo un po' meno strascicato si allontanò lungo il viale, scomparendo fra le ombre della sera che stava sopraggiungendo.
Paolo, rimasto seduto lo guardò allontanarsi e con un sorriso esclamò: “Vecchio malandrino, me l'hai proprio fatta!”
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