QUANDO VORRAI, SOLO ALLORA
Quel lunedì l’ascensore non funzionava e Filippo salì le scale assorto nei suoi pensieri, cercando di capire dove avesse già visto quella signora.
Era convinto di averla già scorta altrove, al di là di quegli occasionali incontri settimanali davanti a quel portone; c’era qualcosa che lo richiamava ad altre situazioni, ma anche sforzandosi non riusciva a ricordare quali fossero state.
“Salve, signora!” Sentì la segretaria dello studio medico che la salutava, incrociandola sul pianerottolo del piano superiore; forse l’avrebbe incontrata lì e con una banale scusa le avrebbe rivolto la parola, e magari avrebbe capito dove si fossero già visti.
Fece le due rampe di scale di corsa ed arrivò in ambulatorio trafelato, guardandosi attorno, ma rimase deluso perché nella sala d’attesa c’erano soltanto una giovane donna con un bambino che giocava seduto a terra ed un anziano signore che, assorto, leggeva un quotidiano.
Della signora nessuna traccia.
Era una donna adulta, elegante e curata, con i capelli biondi raccolti in uno chignon, ed era ancora molto bella.
Quando la incontrava Filippo la guardava di sottecchi, quasi calamitato dal suo sguardo, e sperando di non apparire impertinente.
La immaginava da giovane, sicuramente aveva fatto perdere la testa a tanti uomini, e nonostante il tempo le imprimesse sul viso la storia con raffinata lentezza, riusciva tuttora a non passare inosservata.
Cercò di ingannare l’attesa del suo turno sfogliando una rivista, ma i sorrisi a trentadue denti che lo guardavano dalle pagine lo innervosivano ed in cuor suo sarebbe voluto scappare, uscire dallo studio per andare a bussare ad ogni porta del palazzo, per cercarla.
E poi? Cosa le avrebbe detto? Come si sarebbe presentato? Probabilmente la signora non gli avrebbe aperto, o forse impaurita avrebbe chiamato aiuto.
Eppure era scosso, quasi toccato dallo sguardo che lei gli aveva rivolto ogni volta, quando le aveva concesso il passo davanti al portone.
Era una coincidenza particolare, che lo lasciava scosso ed impotente di fronte all’ incapacità di trovare risposte alle sue domande.
Ma poi, perché si preoccupava così tanto per quegli incontri? Non poteva accettarli come semplici avvenimenti? Certo, poteva, ma anche impegnandosi non riusciva a distogliere il pensiero dalla signora.
C’era qualcosa di misterioso nel suo sguardo, qualcosa di singolare che lo spingeva ad indagare nei meandri della sua memoria.
Era comunque sicuro di non averla incontrata nel suo ufficio e neanche sull’autobus mentre si recava al lavoro; forse era capitato di incrociarla nel modo più banale, sì, forse si erano visti in coda alla cassa del supermercato.
No, Filippo era certo ci fosse qualcosa di più importante e preciso. Aveva un’ottima memoria per cui si sarebbe ricordato, con facilità, di un loro eventuale dialogo, semmai fosse avvenuto.
Uscì dallo studio ed anziché scendere verso l’uscita salì gli altri due piani, leggendo i nomi ai campanelli e sperando che nessuno aprisse proprio in quel momento. “Sto cercando il Signor Rossi” avrebbe detto eventualmente. Il Signor Rossi riesce spesso a togliere d’impaccio, si disse.
Non incontrò nessuno e nessun nome o dettaglio lo aiutarono a rendere meno nebulosa, sfocata ed ormai assurda, la sensazione che stava vivendo.
Decise di tornare a casa a piedi: camminare gli piaceva tanto, lo rilassava e lo aiutava a riflettere e trovare risposte armoniose ai suoi quesiti.
Gli piaceva osservare il mondo in silenzio, le persone che correvano per raggiungere dimensioni inesistenti ed irraggiungibili, i bambini, ormai sporadici, che ancora giocavano per strada e gli anziani, soli, che si trascinavano i piedi e l’inossidabile orgoglio per una forza ormai scemata.
Da quando era morto il padre Filippo entrava in casa quasi in punta di piedi, come se avesse paura di disturbare quella strana quiete. Era andato in camera una mattina per svegliarlo, impensierito per l’insolito ritardo e lo aveva trovato immobile, ormai freddo, abbandonato da ogni alito e da tutto quel che era stato.
Era rimasto solo, all’improvviso.
La madre era morta quando lui aveva poco meno di un anno e di lei non aveva ricordi; in casa non c’erano fotografie che la ricordassero e suo padre, nonostante fosse riuscito a dargli tutto l’amore possibile, aveva conservato nello sguardo una sorta di tristezza, un silenzioso rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere, e che non era stato.
Quella sera avvertiva la solitudine con maggior urgenza, sapeva che quello stato doloroso dove né amici né amanti riuscivano a colmare l’immensa voragine gli stava succhiando l’anima.
Vagava per tutta la casa, come un ospite a disagio e come se si sentisse ancora osservato dallo sguardo triste e severo del padre.
Stava vivendo una sensazione alquanto strana, sentendosi prigioniero di un qualcosa di astratto, di indefinito ma soffocante; doveva distrarsi e forse uscire sarebbe stato l’unico rimedio allo stato d’animo che lo stava sconvolgendo e a lui, fino a quel momento, sconosciuto.
Si precipitò verso l’ingresso, indossò la giacca e mentre si girava per uscire trovò il suo sguardo riflesso nello specchio.
Rimase immobile per un istante, e poi iniziò a tremare.
Il cuore iniziò a saltargli nel petto, pronto a prendere il volo e scappare ma Filippo cercò di ragionare, cercò soprattutto di non considerarsi pazzo.
Aveva capito, finalmente aveva capito.
Da quella mattina non entrava spesso in camera di suo padre ma si impose di farlo e nonostante sentisse di violare la sua storia aprì i cassetti del vecchio comò.
Ne estrasse indumenti che b
uttò spargendoli sul pavimento, vecchi documenti, le poesie che gli scriveva tenute legate da un nastro blu ed infine, quasi nascosto, un cofanetto di legno intagliato, un antico cimelio.
Seduto sul tappeto se lo appoggiò in grembo, indeciso se aprirlo e violare la riservatezza del padre.
Lo tenne stretto ancora per un po’, come a chiedergli scusa per la violenta intrusione, e poi lo aprì.
Le lacrime scendevano copiose, e nonostante offuscassero la vista, tutto appariva più nitido, delineato e forse ritrovato.
Fotografie in bianco e nero scorrevano tra le sue dite e con dolcezza accarezzava i visi di quella famiglia felice, ritratta sempre sorridente, e apparentemente vincente.
Sul fondo del cofanetto, per ultima, giaceva una busta ingiallita dal tempo.
La prese con delicatezza, sempre con la paura di disturbare le storie altrui, ed una fotografia scivolò sul pavimento, quasi avesse il bisogno impellente di respirare, o più semplicemente, di mostrarsi.
Ritraeva una bellissima donna dai capelli biondi raccolti in uno chignon, dallo sguardo interrogativo, in attesa di risposte da chi, dietro l’obiettivo, la guardava.
La osservò a lungo, e poi tremante, la girò e lesse: “Quando vorrai, solo allora.”
Non servivano altre parole per capire: Filippo aveva trovato, nell’arco di pochi istanti, la risposta ai suoi quesiti mai espressi, mentre al padre non era stato concesso il tempo per spiegare.
La fotografia da sola bastava, e lui finalmente si sentiva a casa.
Rannicchiato come un bambino si lasciò andare ad un pianto che gli toglieva il fiato, e mentre si faceva cullare dalla fotografia appoggiata sul cuore riuscì a sussurrare “Mamma…”
Millina Spina, 12 gennaio 2019
Voto: | su 3 votanti |
Complimenti
Grazie per i tuoi bei commenti.
Ciao!
Ciao!
È stupendo. L'hai scritto con l'anima ed è arrivato giusto dritto al cuore. Nn è il solito racconto rosa...c'è Molto di più.
Bravissima
bello e molto dolce come il bisogno di risalire sempre alle nostre origini...