INCIPIT
Le istruzioni sono:
Partendo con questo incipit scrivi un racconto breve: Non lo poteva soffrire, non lo aveva mai potuto soffrire.
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Come un marchio nell'animo
Non lo poteva soffrire, non lo aveva mai potuto soffrire, sapeva bene che dopo di lui ce ne sarebbero stati altri, questo non le impediva di percepire quella forte sensazione di vittoria mista a raccapriccio insinuarsi, e allargarsi a macchia d’olio nella bocca dello stomaco.
Non era stata lei a volere quella guerra, ci si era trovata per caso, e ancora ne portava nell’animo i segni.
Tutta la vita condizionata da quell’unico episodio che l’aveva traumatizzata rendendola paurosa e insicura.
Era cosciente che non sarebbe mai riuscita a cancellarli tutti dalla faccia della terra, sapeva pure, che uno solo era il vero responsabile, ma l’orrore che aveva provato quel giorno, ancora dopo tanti anni le rimaneva appiccicato addosso come un marchio indelebile.
Tutta una vita a guardarsi intorno circospetta, perché aveva imparato a sue spese, che poteva trovarli dappertutto, anche dentro i buchi di un vecchio mattone, che lei bambina portava orgogliosa a suo padre: quel mattone, che geco il mostro aveva scelto come sua casa, e che lei inconsapevole teneva fra le mani, sino a quando non si era sentita qualcosa di appiccicoso nel collo, e abbassato lo sguardo aveva visto quell’orribile essere.
Per un secondo era rimasta come impietrita, poi aveva urlato; un urlo disumano, che aveva fatto accorrere il papà. La bimba non aveva lasciato cadere il mattone per paura che si rompesse, per non dispiacere il suo papà, solo dopo, quando la voce a lei cara le aveva urlato di buttarlo via, solo allora, lei ubbidiente lo aveva lasciato cadere, e con la sua piccola manina aveva scacciato quel terribile mostro dal suo tenero collo.
Ora il mostro dei suoi incubi, il mostro che la faceva svegliare di soprassalto urlando come un’ossessa, il mostro che la terrorizzava anche durante il giorno, era lì , non meno mostro di prima spiaccicato a terra, dopo che con una furia incontenibile lo aveva colpito brandendo una scopa. Poco più in là la sua coda ancora si agitava in un ultimo guizzo di vita, e lei ancora tremolante la guardava muoversi cercando di trattenere i conati di vomito.
La guerra non era ancora finita, di certo non sarebbe guarita da quella che oramai era divenuta una vera e propria fobia: quei mostri schifosi sarebbero sicuramente sopravvissuti a lei, ma non ora, non quella sera.
Non era stata lei a volere quella guerra, ci si era trovata per caso, e ancora ne portava nell’animo i segni.
Tutta la vita condizionata da quell’unico episodio che l’aveva traumatizzata rendendola paurosa e insicura.
Era cosciente che non sarebbe mai riuscita a cancellarli tutti dalla faccia della terra, sapeva pure, che uno solo era il vero responsabile, ma l’orrore che aveva provato quel giorno, ancora dopo tanti anni le rimaneva appiccicato addosso come un marchio indelebile.
Tutta una vita a guardarsi intorno circospetta, perché aveva imparato a sue spese, che poteva trovarli dappertutto, anche dentro i buchi di un vecchio mattone, che lei bambina portava orgogliosa a suo padre: quel mattone, che geco il mostro aveva scelto come sua casa, e che lei inconsapevole teneva fra le mani, sino a quando non si era sentita qualcosa di appiccicoso nel collo, e abbassato lo sguardo aveva visto quell’orribile essere.
Per un secondo era rimasta come impietrita, poi aveva urlato; un urlo disumano, che aveva fatto accorrere il papà. La bimba non aveva lasciato cadere il mattone per paura che si rompesse, per non dispiacere il suo papà, solo dopo, quando la voce a lei cara le aveva urlato di buttarlo via, solo allora, lei ubbidiente lo aveva lasciato cadere, e con la sua piccola manina aveva scacciato quel terribile mostro dal suo tenero collo.
Ora il mostro dei suoi incubi, il mostro che la faceva svegliare di soprassalto urlando come un’ossessa, il mostro che la terrorizzava anche durante il giorno, era lì , non meno mostro di prima spiaccicato a terra, dopo che con una furia incontenibile lo aveva colpito brandendo una scopa. Poco più in là la sua coda ancora si agitava in un ultimo guizzo di vita, e lei ancora tremolante la guardava muoversi cercando di trattenere i conati di vomito.
La guerra non era ancora finita, di certo non sarebbe guarita da quella che oramai era divenuta una vera e propria fobia: quei mostri schifosi sarebbero sicuramente sopravvissuti a lei, ma non ora, non quella sera.
Scrittura creativa scritta il 13/05/2014 - 12:57
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