UNA PERSONA STA CORRENDO TRA LA FOLLA
Le istruzioni sono:
Una persona sta correndo tra la folla in un posto caotico. Scrivere dove sta andando e perché
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Una giornata esplosiva
Hai presente la fatidica domanda: “hai spento il gas?” A quel punto se l’era fatta. Così aveva iniziato a correre con le lacrime agli occhi ed il cuore in gola.
Era il loro secondo anniversario e Marta si era alzata alle 5.00, aveva spezzettato la cipolla, l’aglio, la carota, preparato il soffritto, aggiunto la carne poi il sugo. Un buon ragù, le avevano insegnato, più cuoce, più è buono. Allora aveva preparato il caffè, le fette biscottate con burro e marmellata e le aveva disposte su un vassoio insieme ad un mazzetto di gelsomini. Quel giorno doveva essere un giorno speciale, il loro giorno, ma al mattino non immaginava fino a che punto lo sarebbe stato. Solo adesso, ora che tutta la quinta strada di New York, come per incanto, si riversava su via Prenestina, ora che mentre correva l’amuleto le volava nella culla di un bambino e le rose si sparpagliavano tra le tende di un accampamento rom, adesso le era chiaro quanto aveva presagito l’oroscopo: “Gemelli: giornata esplosiva, non lasciatevi sopraffare dalle emozioni”.
Marco si era svegliato con la solita calma, l’aveva teneramente accarezzata, aveva bevuto il caffè e mangiato le fette biscottate, aveva preso la merenda che lei gli aveva preparato, l’aveva baciata ed era andato a lavoro con la promessa che sarebbe tornato per pranzo.
Marta, come ogni giorno, si era rimboccata le maniche, aveva rassettato, scopato, lavato, cucinato, cucinato ed ancora cucinato, fatto la lavatrice. Da un anno si era trasferita a Roma, da lui, rampante uomo in carriera, venditore porta a porta di contratti telefonici, e aveva iniziato la sua nuova vita da casalinga, moglie, puttana. Certo, di tanto in tanto vomitava e le mancava l’aria, ma come diceva Giovanni, illustre tuttologo amico di lui, di certo quel malessere doveva attribuirsi a fattori chimico-fisici, alle troppe sigarette o alla sua incapacità di adattarsi.
Quella mattina la perfezione era alle porte, una donna, le avevano insegnato, si riconosce dalla sua capacità di badare alla casa. Un unico dettaglio le era d’intralcio: quei vetri che filtravano la luce in modo così sconveniente per via delle manate. Marta fece allora mente locale: il Vetril era finito, ma aveva un negozio di casalinghi a cinque minuti da casa, avrebbe potuto abbassare la fiamma al minimo andare e tornare in un lampo. Una volta a casa avrebbe quindi lavato i vetri, gli specchi, cambiato la cappa della cucina ed ordinato il ripostiglio. Si! Non le avevano insegnato che si lasciano i fornelli incustoditi, ma per una volta si poteva fare. Così legò i capelli, abbandonò le ciabatte per le Hogan che Marco le aveva regalato, chiuse la porta di casa ed uscì.
Era emozionata, non aveva mai passato due anni insieme alla stessa persona, né aveva mai goduto di cotanta condivisione. Fuori la primavera esplodeva come un quadro di Pollock, i ciliegi erano in fiore e le rondini volavano nel cielo. Era felice, forse come mai prima, il mondo era buono e sorprendente. Comprò il vetril, 5 rose da un bangladesh ed un talismano da un’africana. Accarezzò un randagio che le fece le fusa e decise di seguirlo dietro l’angolo della strada, magari l’avrebbe portato a casa. Lì i palazzi cambiarono colore.
Vide prima le scarpe che aveva lucidato, poi l’orlo che aveva cucito, il pantalone che aveva stirato, il cappotto smacchiato tante volte e quella faccia da cazzo che sorrideva. Era Marco e non guardava lei. La sua attenzione era tutta rivolta ad una donnina di classe, di quelle da tacco dodici e giacca a doppio petto, aggiungerei piena di rughe e di trucco per dissimulare. Lei lo guardava con un sorriso falso che faceva pendant con la collana di perle che esibiva al collo insieme a tutte le grazie che madre natura le aveva dato. Il cuore le si bloccò. L’evidenza face tremare il sole e cadere le foglie dagli alberi. Ah no scusa, fu Marta a sentirsi male, le si appannò la vista, e per non cadere stesa per terra sradicò un ramo da una siepe. Comunque, dettagli a parte, Marta fece per la seconda volta nella stessa giornata quello che non si fa: decise di pedinarli. Così vide gli amanti entrare in una gioielleria dove lui le comprò un diamante (i regali che faceva a lei, invece, erano tutti presi online, sai per risparmiare), in una libreria dove lei gli regalò un libro (eppure in due anni non l’aveva mai visto leggere), infine finirono alla mostra di Guttuso (da quando s’interessava d’arte?!).
Marta era scioccata. Aveva lasciato tutto per lui: famiglia, studi, amici. Aveva persino cambiato look, aveva frequentato solo gli amici di lui, beh quelli di lei erano dei “bambacioni sfigati”, l’aveva assecondato, servito, riverito, aveva fatto tutto quello che le avevano insegnato essere necessario per tenersi un uomo e poi…poi se l’era preso in culo in tutti i sensi! In quel gomitolo di sentimenti, il filo spinato della rabbia le perforava lo stomaco. Si odiava. Era stata un’illusa, una stupida, come aveva fatto a non vedere? Lei gli aveva donato due anni della sua vita, l’aveva messo al centro di ogni cosa, si era umiliata per lui, non aveva dato retta a niente e a nessuno tranne che al suo amore. Ed ora? Entrare nel museo, beccarli davanti a tutti, tirare un cazzotto a lui ed i capelli a lei. Mostrare al mondo quella coppia di bugiardi, un uomo senza parola ed una puttanella di certo. Ucciderlo ecco cosa. Marta lo voleva morto lì ed ora. Si sentiva malissimo, ma non doveva essere l’unica per la quale quella giornata era un inferno, anche lui doveva soffrire. Stava per entrare nel museo quando venne bloccata da un quindicenne che le chiese l’accendino. Il fuoco avvampò negli occhi di lei quando la sigaretta di lui si accese, la rabbia le bruciò, così come l’orgoglio, il dolore e...aveva lasciato il gas aperto oramai da quattro ore! Si catapultò alla fermata del tram, ma non riuscì a salire, così decise di correre in fretta verso casa, chissà cosa stava succedendo! Correva correva e correva non glie ne importava. Correva così come le avevano insegnato che non si fa, con la disperazione che le metteva le ali, senza bisogno di una Red Bull. Correva tra gli sconosciuti, in una folla che non ne sapeva niente di lei, della sua vita, dei suoi perché, eppure ciascuno di loro se si fosse fermato non avrebbe esitato a giudicarla una stupida. Correva nel mondo attento alle buone maniere ed all’impeccabilità della forma, ma stavolta lei urlava, si dimenava, piangeva. Stavolta non compiaceva il prossimo, stavolta lo scontrava. E allora mentre si dimenava correndo, travolse un signore che perse l’equilibrio, sbatté contro un albero da cui cadde una mela che mangiò. Mentre scalciava correndo, calciò il piattino delle elemosina di una mendicante scalza che finì su un tetto, il piattino, non la mendicante. Lì dentro gli uccelli fecero il nido, mentre Marta nell’urto perse le scarpe che vennero prese dalla donna senza piattino. Mentre piangeva correndo, le si sciolsero i capelli che presero a roteare violentemente e così si trasformarono in una frusta che allontanò gli smartphone dalle mani dei fidanzati che stupiti finalmente si videro e si baciarono. Correva e mentre correva scivolò sulla cacca di un cane, cadde per terra e liberò il Vetril che finì su un’antica statua romana annerita dallo smog che improvvisamente riprese a brillare. Si rialzò, ricominciò a correre più forte e più veloce, oramai aveva iniziato e nulla poteva arrestarla. Quando finalmente giunse sotto casa le lacrime erano ormai finite era sudata e sporca, ma leggera. Osservò indifferente il suo vecchio nido d’amore. Dall’appartamento in fiamme volavano strofinacci, spugne, scope, candeggine, sgrassatori. Marta fece un rutto, si tolse i calzini logori quanto lei, li buttò nel falò, girò le spalle ed andò via camminando.
Era il loro secondo anniversario e Marta si era alzata alle 5.00, aveva spezzettato la cipolla, l’aglio, la carota, preparato il soffritto, aggiunto la carne poi il sugo. Un buon ragù, le avevano insegnato, più cuoce, più è buono. Allora aveva preparato il caffè, le fette biscottate con burro e marmellata e le aveva disposte su un vassoio insieme ad un mazzetto di gelsomini. Quel giorno doveva essere un giorno speciale, il loro giorno, ma al mattino non immaginava fino a che punto lo sarebbe stato. Solo adesso, ora che tutta la quinta strada di New York, come per incanto, si riversava su via Prenestina, ora che mentre correva l’amuleto le volava nella culla di un bambino e le rose si sparpagliavano tra le tende di un accampamento rom, adesso le era chiaro quanto aveva presagito l’oroscopo: “Gemelli: giornata esplosiva, non lasciatevi sopraffare dalle emozioni”.
Marco si era svegliato con la solita calma, l’aveva teneramente accarezzata, aveva bevuto il caffè e mangiato le fette biscottate, aveva preso la merenda che lei gli aveva preparato, l’aveva baciata ed era andato a lavoro con la promessa che sarebbe tornato per pranzo.
Marta, come ogni giorno, si era rimboccata le maniche, aveva rassettato, scopato, lavato, cucinato, cucinato ed ancora cucinato, fatto la lavatrice. Da un anno si era trasferita a Roma, da lui, rampante uomo in carriera, venditore porta a porta di contratti telefonici, e aveva iniziato la sua nuova vita da casalinga, moglie, puttana. Certo, di tanto in tanto vomitava e le mancava l’aria, ma come diceva Giovanni, illustre tuttologo amico di lui, di certo quel malessere doveva attribuirsi a fattori chimico-fisici, alle troppe sigarette o alla sua incapacità di adattarsi.
Quella mattina la perfezione era alle porte, una donna, le avevano insegnato, si riconosce dalla sua capacità di badare alla casa. Un unico dettaglio le era d’intralcio: quei vetri che filtravano la luce in modo così sconveniente per via delle manate. Marta fece allora mente locale: il Vetril era finito, ma aveva un negozio di casalinghi a cinque minuti da casa, avrebbe potuto abbassare la fiamma al minimo andare e tornare in un lampo. Una volta a casa avrebbe quindi lavato i vetri, gli specchi, cambiato la cappa della cucina ed ordinato il ripostiglio. Si! Non le avevano insegnato che si lasciano i fornelli incustoditi, ma per una volta si poteva fare. Così legò i capelli, abbandonò le ciabatte per le Hogan che Marco le aveva regalato, chiuse la porta di casa ed uscì.
Era emozionata, non aveva mai passato due anni insieme alla stessa persona, né aveva mai goduto di cotanta condivisione. Fuori la primavera esplodeva come un quadro di Pollock, i ciliegi erano in fiore e le rondini volavano nel cielo. Era felice, forse come mai prima, il mondo era buono e sorprendente. Comprò il vetril, 5 rose da un bangladesh ed un talismano da un’africana. Accarezzò un randagio che le fece le fusa e decise di seguirlo dietro l’angolo della strada, magari l’avrebbe portato a casa. Lì i palazzi cambiarono colore.
Vide prima le scarpe che aveva lucidato, poi l’orlo che aveva cucito, il pantalone che aveva stirato, il cappotto smacchiato tante volte e quella faccia da cazzo che sorrideva. Era Marco e non guardava lei. La sua attenzione era tutta rivolta ad una donnina di classe, di quelle da tacco dodici e giacca a doppio petto, aggiungerei piena di rughe e di trucco per dissimulare. Lei lo guardava con un sorriso falso che faceva pendant con la collana di perle che esibiva al collo insieme a tutte le grazie che madre natura le aveva dato. Il cuore le si bloccò. L’evidenza face tremare il sole e cadere le foglie dagli alberi. Ah no scusa, fu Marta a sentirsi male, le si appannò la vista, e per non cadere stesa per terra sradicò un ramo da una siepe. Comunque, dettagli a parte, Marta fece per la seconda volta nella stessa giornata quello che non si fa: decise di pedinarli. Così vide gli amanti entrare in una gioielleria dove lui le comprò un diamante (i regali che faceva a lei, invece, erano tutti presi online, sai per risparmiare), in una libreria dove lei gli regalò un libro (eppure in due anni non l’aveva mai visto leggere), infine finirono alla mostra di Guttuso (da quando s’interessava d’arte?!).
Marta era scioccata. Aveva lasciato tutto per lui: famiglia, studi, amici. Aveva persino cambiato look, aveva frequentato solo gli amici di lui, beh quelli di lei erano dei “bambacioni sfigati”, l’aveva assecondato, servito, riverito, aveva fatto tutto quello che le avevano insegnato essere necessario per tenersi un uomo e poi…poi se l’era preso in culo in tutti i sensi! In quel gomitolo di sentimenti, il filo spinato della rabbia le perforava lo stomaco. Si odiava. Era stata un’illusa, una stupida, come aveva fatto a non vedere? Lei gli aveva donato due anni della sua vita, l’aveva messo al centro di ogni cosa, si era umiliata per lui, non aveva dato retta a niente e a nessuno tranne che al suo amore. Ed ora? Entrare nel museo, beccarli davanti a tutti, tirare un cazzotto a lui ed i capelli a lei. Mostrare al mondo quella coppia di bugiardi, un uomo senza parola ed una puttanella di certo. Ucciderlo ecco cosa. Marta lo voleva morto lì ed ora. Si sentiva malissimo, ma non doveva essere l’unica per la quale quella giornata era un inferno, anche lui doveva soffrire. Stava per entrare nel museo quando venne bloccata da un quindicenne che le chiese l’accendino. Il fuoco avvampò negli occhi di lei quando la sigaretta di lui si accese, la rabbia le bruciò, così come l’orgoglio, il dolore e...aveva lasciato il gas aperto oramai da quattro ore! Si catapultò alla fermata del tram, ma non riuscì a salire, così decise di correre in fretta verso casa, chissà cosa stava succedendo! Correva correva e correva non glie ne importava. Correva così come le avevano insegnato che non si fa, con la disperazione che le metteva le ali, senza bisogno di una Red Bull. Correva tra gli sconosciuti, in una folla che non ne sapeva niente di lei, della sua vita, dei suoi perché, eppure ciascuno di loro se si fosse fermato non avrebbe esitato a giudicarla una stupida. Correva nel mondo attento alle buone maniere ed all’impeccabilità della forma, ma stavolta lei urlava, si dimenava, piangeva. Stavolta non compiaceva il prossimo, stavolta lo scontrava. E allora mentre si dimenava correndo, travolse un signore che perse l’equilibrio, sbatté contro un albero da cui cadde una mela che mangiò. Mentre scalciava correndo, calciò il piattino delle elemosina di una mendicante scalza che finì su un tetto, il piattino, non la mendicante. Lì dentro gli uccelli fecero il nido, mentre Marta nell’urto perse le scarpe che vennero prese dalla donna senza piattino. Mentre piangeva correndo, le si sciolsero i capelli che presero a roteare violentemente e così si trasformarono in una frusta che allontanò gli smartphone dalle mani dei fidanzati che stupiti finalmente si videro e si baciarono. Correva e mentre correva scivolò sulla cacca di un cane, cadde per terra e liberò il Vetril che finì su un’antica statua romana annerita dallo smog che improvvisamente riprese a brillare. Si rialzò, ricominciò a correre più forte e più veloce, oramai aveva iniziato e nulla poteva arrestarla. Quando finalmente giunse sotto casa le lacrime erano ormai finite era sudata e sporca, ma leggera. Osservò indifferente il suo vecchio nido d’amore. Dall’appartamento in fiamme volavano strofinacci, spugne, scope, candeggine, sgrassatori. Marta fece un rutto, si tolse i calzini logori quanto lei, li buttò nel falò, girò le spalle ed andò via camminando.
Scrittura creativa scritta il 15/10/2014 - 17:15
Da Lili Marlene
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Commenti
Non mi sono mai distratto un momento, vuol dire che ho letto un racconto attraente.
Ugo Mastrogiovanni 16/10/2014 - 18:19
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Grazie Lory per aver commentato!! :) E' la prima occasione in cui metto online qualcosa di mio, quindi qualsiasi cosa abbiate da dire, positiva o meno, è accolta con piacere!
Lili Marlene 16/10/2014 - 18:00
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Uaaaaaooooo letto tutto d'un fiato!! complimenti..a rileggerti!
Lory C. 15/10/2014 - 20:48
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