UN ANNO ANCORA
Stamattina conto i passi, li centellino: quelli che mi conducono per l’ultima volta al portone d’ingresso, prima delle sospirate vacanze estive.
Fuori c’è un caldo infernale ed è piacevole ripararsi nell’antico palazzo: salgo la breve scalinata, percorro il corridoio appena lavato, che sa di fresco. Mi fermo prima di entrare in quella che è una delle stanze più grandi ed ariose dell’edificio, dove i pc sono ancora in funzione e la lunga scrivania, sgombra di libri, giace oramai solitaria. Entro in sala insegnanti e, guardandomi intorno come fosse la prima volta, mi rendo conto che un anno ancora è passato.
Un anno pieno di lavoro, di sacrifici, di emozioni, un anno pieno di voi, ragazzi.
A settembre le solite chiacchiere tra colleghi: “Chissà le classi quest’anno… Ah, tu sei in quella, buona fortuna, ne avrai bisogno!”, che già ti viene l’ansia e non hai neanche cominciato.
Poi, al suono della prima campanella, metto piede in aula e faccio la vostra conoscenza; catapultata sul palcoscenico, siete voi la mia platea, che mi osservate, mi scrutate. Accipicchia quanti siete, una classe davvero numerosa, di diciottenni agguerriti e ormai disincantati. Ma come, in quinta non si dovrebbe arrivare in pochi? E meno male che le classi “pollaio” dovevano sparire…
Siete vivaci e chiacchieroni. “Diamine, mi aspetta un bell’anno!”, penso e allora mi premuro di mettere i puntini sulle “i”: poche regole, ma ferree, da rispettare assolutamente, altrimenti come riuscirò a portare avanti quel po’ di programmone ministeriale?
All’inizio mi sfidate, certo, secondo il copione classico. Chi siede a gambe incrociate stile Toro seduto, chi impreca come al bar, chi comunica col compagno che si sbraccia dal lato opposto dell’aula. Allora sfodero le mie armi più efficaci, pazienza da vendere ed esperienza maturata sul campo, il tutto tenuto insieme da nervi saldi ed empatia che tante volte, da quando insegno, mi hanno salvato.
Durante l’anno scolastico le lezioni si susseguono, una dietro l’altra, scandite dal suono spietato della campanella, che segna le ore senza possibilità di appello. “Ragazzi continuiamo domani, oggi non c’è tempo!”. Quel tempo che a noi insegnanti non basta mai, cinquanta o sessanta minuti corrono come un treno Freccia rossa Roma-Napoli, dove prendi posto e sei già arrivato!
Ma il mio panorama siete voi: i vostri volti, a volte attenti, altre svogliati, e quegli occhi, spesso persi, oppure lucidi, i vostri umori, quasi sempre indecifrabili. Negli sguardi e nei volti mi ci sono persa, leggendovi domande a cui non sempre riesco a dare risposte. “Prof. perché lì fuori è tutto così ingiusto, perché oggi sto male, perché?”
Lo confesso, nonostante creda fermamente nel mio lavoro, qualche volta mi sono sentita inutile.
Poi inesorabile è arrivata la maturità: sotto la maschera di docente, apparentemente distaccata, anche se rassicurante, la commozione è stata grande e posso dire di aver vissuto con voi paure ed ansie, delusioni e gioie, come fossero le mie.
Ora arriva la parte più difficile, quella dei saluti.
Prima di tutto vi ringrazio per il calore e l’entusiasmo che mi avete trasmesso, permettendomi di entrare ancora una volta nel vostro mondo, da cui ogni anno imparo molto. Adesso che la scuola è finita, il mio augurio è quello che possiate disperdervi nei cieli della vita come tanti palloncini colorati e dipingerli con le sfumature più intense. Ma se un giorno nubi grigie e minacciose dovessero affacciarsi all'orizzonte, vi auguro che possiate attraversarle con la forza e l’ostinazione dei sogni e delle speranze di cui mi avete tanto parlato e che spero non vi abbandonino mai.
Un anno ancora è passato ed io porterò per sempre un pezzetto di ognuno nel mio cuore. Abbiate cura di voi…
Fuori c’è un caldo infernale ed è piacevole ripararsi nell’antico palazzo: salgo la breve scalinata, percorro il corridoio appena lavato, che sa di fresco. Mi fermo prima di entrare in quella che è una delle stanze più grandi ed ariose dell’edificio, dove i pc sono ancora in funzione e la lunga scrivania, sgombra di libri, giace oramai solitaria. Entro in sala insegnanti e, guardandomi intorno come fosse la prima volta, mi rendo conto che un anno ancora è passato.
Un anno pieno di lavoro, di sacrifici, di emozioni, un anno pieno di voi, ragazzi.
A settembre le solite chiacchiere tra colleghi: “Chissà le classi quest’anno… Ah, tu sei in quella, buona fortuna, ne avrai bisogno!”, che già ti viene l’ansia e non hai neanche cominciato.
Poi, al suono della prima campanella, metto piede in aula e faccio la vostra conoscenza; catapultata sul palcoscenico, siete voi la mia platea, che mi osservate, mi scrutate. Accipicchia quanti siete, una classe davvero numerosa, di diciottenni agguerriti e ormai disincantati. Ma come, in quinta non si dovrebbe arrivare in pochi? E meno male che le classi “pollaio” dovevano sparire…
Siete vivaci e chiacchieroni. “Diamine, mi aspetta un bell’anno!”, penso e allora mi premuro di mettere i puntini sulle “i”: poche regole, ma ferree, da rispettare assolutamente, altrimenti come riuscirò a portare avanti quel po’ di programmone ministeriale?
All’inizio mi sfidate, certo, secondo il copione classico. Chi siede a gambe incrociate stile Toro seduto, chi impreca come al bar, chi comunica col compagno che si sbraccia dal lato opposto dell’aula. Allora sfodero le mie armi più efficaci, pazienza da vendere ed esperienza maturata sul campo, il tutto tenuto insieme da nervi saldi ed empatia che tante volte, da quando insegno, mi hanno salvato.
Durante l’anno scolastico le lezioni si susseguono, una dietro l’altra, scandite dal suono spietato della campanella, che segna le ore senza possibilità di appello. “Ragazzi continuiamo domani, oggi non c’è tempo!”. Quel tempo che a noi insegnanti non basta mai, cinquanta o sessanta minuti corrono come un treno Freccia rossa Roma-Napoli, dove prendi posto e sei già arrivato!
Ma il mio panorama siete voi: i vostri volti, a volte attenti, altre svogliati, e quegli occhi, spesso persi, oppure lucidi, i vostri umori, quasi sempre indecifrabili. Negli sguardi e nei volti mi ci sono persa, leggendovi domande a cui non sempre riesco a dare risposte. “Prof. perché lì fuori è tutto così ingiusto, perché oggi sto male, perché?”
Lo confesso, nonostante creda fermamente nel mio lavoro, qualche volta mi sono sentita inutile.
Poi inesorabile è arrivata la maturità: sotto la maschera di docente, apparentemente distaccata, anche se rassicurante, la commozione è stata grande e posso dire di aver vissuto con voi paure ed ansie, delusioni e gioie, come fossero le mie.
Ora arriva la parte più difficile, quella dei saluti.
Prima di tutto vi ringrazio per il calore e l’entusiasmo che mi avete trasmesso, permettendomi di entrare ancora una volta nel vostro mondo, da cui ogni anno imparo molto. Adesso che la scuola è finita, il mio augurio è quello che possiate disperdervi nei cieli della vita come tanti palloncini colorati e dipingerli con le sfumature più intense. Ma se un giorno nubi grigie e minacciose dovessero affacciarsi all'orizzonte, vi auguro che possiate attraversarle con la forza e l’ostinazione dei sogni e delle speranze di cui mi avete tanto parlato e che spero non vi abbandonino mai.
Un anno ancora è passato ed io porterò per sempre un pezzetto di ognuno nel mio cuore. Abbiate cura di voi…
La vostra prof.
"Ai miei ex alunni di quinta – scritto nel luglio 2017".
Paola Salzano
Opera scritta il 01/06/2018 - 10:46
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Voto: | su 3 votanti |
Commenti
Ti ringrazio cara Margherita per le tue belle e sentite parole.
Ti abbraccio...notte
Ti abbraccio...notte
PAOLA SALZANO 04/06/2018 - 22:01
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Ho letto solo ora il tuo emozionante racconto... e mi ha affascinato nel profondo, ognuno di loro lascia tracce nel cuore e arrichisce il mondo interiore di una splendida Prof.sensibile e vera nella passione che scorre nel lavoro dentro la scuola!
Un abbraccio Paola... e complimenti di cuore.
Un abbraccio Paola... e complimenti di cuore.
Margherita Pisano 04/06/2018 - 13:12
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Ringrazio Rocco per l'apprezzamento e Grazia G. sempre gentile ed attenta...
Un caro saluto
Un caro saluto
PAOLA SALZANO 04/06/2018 - 12:51
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Ho vissuto la scuola solo dal banco della studentessa, con te, con questo tuo scritto ho sentito l'emozione di un'insegnante che sta sul palco e della platea cerca di carpire umori, sogni e problematiche.
Si sente l'amore per il tuo lavoro, per te qualcosa di più di un lavoro...
Bello,grazie, sempre, di tutto
Si sente l'amore per il tuo lavoro, per te qualcosa di più di un lavoro...
Bello,grazie, sempre, di tutto
Grazia Giuliani 02/06/2018 - 00:38
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Straordinaria sequela... Son ritornati i ricordi scolastici... Ed è nostalgia...
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Rocco Michele LETTINI 01/06/2018 - 13:33
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