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Giorni Difficili

Eva scrive sul diario di papiro con la piuma d’oca e la intinge nella boccetta del calamaio; era stata appena cacciata dal paradiso terrestre. La prima pagina riporta: “Alle prime luci dell’alba scende il silenzio. Fuori mi appare un territorio spoglio, incolto ed è pieno di fili di rame, cocci bianchi di piatti in frantumi, pietre, scanni, un giradischi. Adamo afflitto e stanco si trascina con passo pesante, svogliato. E’ un uomo sfinito, allo stremo delle forze, un bambino stordito dentro un luogo non familiare in cui ogni oggetto lo stupisce o finge di stupirlo, e col quale cerca di giocare. Mi giudica, una donna apparentemente spavalda, sbarazzina, frivola, una donna bambina, saltellante e traballante insieme, e mi ripete spesso, che sono la parodia della spensieratezza portata male, consumata, cinica ed esasperata. I nostri giorni fragili trascorrono in un dramma a tratti ilare e grottesco, concitato, altisonante, che enfatizza ancora di più il disagio, il silenzio, la quotidianità di una coppia arrivata a un capolinea che non accetta, dal quale fa marcia indietro costante, sopraffatta dalla pesantezza dei giorni che passano, dai dubbi di una vita, bugie dette male e paura della solitudine. E’ un incontro-scontro tra ombre disegnate sul muro e sfondi mutevoli che scandiscono, il nostro scorrere, capitolo dopo capitolo, annunciato da una voce sospesa, sommessa e profonda, frammenti di tempo, albe e tramonti, notti. Io non ricordo più e Adamo dimentica, è un continuo fuggire non fuggire, è un rincorrerci e interrogarci, accusarci a vicenda, allontanarci per poi cercarci di nuovo. È la maledizione prima, dalla quale non c’è via d’uscita, mai, e dalla quale non si può morire. Siamo due corpi in uno, un corpo in due, scindibili, complementari ma mai autonomi del tutto. Dal sudore della fronte di Adamo traspare tutta la fatica e la rassegnazione di questa situazione senza risposte, ma altrettanto impassibile e duro nell’esprimere i sentimenti. Sono una malinconica, fanciulla e tristemente romantica; ragazzina leggera e svampita, donna severa all’evenienza ma sempre con dolcezza, paziente, come lo è ogni donna col suo uomo. Offriamo uno spaccato lucido e arido di due mondi, da sempre, in eterno conflitto e in costante ricerca l’una dell’altro. Come eravamo. Come siamo. Come siamo ridotti. Ed è anche il succo del frutto del peccato, un frutto non più lucido che invece di sedurre offrendo la conoscenza e punendo con la mortalità, oggi offre dubbi. Dubbi poetici, a volte filosofici, ma pur sempre dubbi. Sapevamo maramaldeggiare in modo surreale nel giardino dell’Eden a seconda del momento in cui uno domina sull’altro, sino ad inferire all’inverosimile, che francamente la dice lunga. L’alba è sempre rosa, il tramonto è sempre rosso, ci si annoia, si prova a romperci un ginocchio, a storcere l’equilibrio per vedere cosa succede. Adamo si chiede se non sarebbe giusto che io andassi con un altro. Se ci fosse, un altro. Un territorio così ampio, popolato di sibilanti insidie e dove l’orizzonte è una sfida. Noi siamo i progenitori e capostipiti di un perduto Eden per l’umanità. Il tempo è un abisso, profondo come infinite notti. Gli anni trascorrono inesorabilmente, ma non avere il coraggio di cambiare è terribile. La morte non è il male peggiore. Ci sono cose molto più terribili della morte. Nemmeno lontanamente riusciamo ad immaginare. Dio creò Adamo a sua immagine (a immagine di Dio lo creò) e dalla sua costola, per non lasciarlo solo, creò la donna (me). Fu un epopea da giganti e meravigliosa quella lunga estate all’Eden (all’alba della creazione) la nostra stagione più felice. Tentata dal serpente, scelsi poi di violare l’editto divino e cogliere il frutto proibito della conoscenza, che feci assaporare anche al mio Adamo, che dapprima era restio, ma poi si lasciò convincere. La cacciata dal paradiso e la caduta nel tempo, ci ha condannati e siamo stati la prima coppia, che hanno reso la vita faticosa e mortale. Quella coppia aggravata da un incrinatura insediata nei suoi organi, preda vana dei rimpianti. Da allora quell’incrinatura ci costringe a vivere sempre lo stesso giorno, il giorno del ricordo incrostato, alla ricerca del balsamo dell’oblio. Tra una cena, un gioco per ammazzare il tempo e l’ascolto di dischi in vinile, viviamo in un territorio dell’anima, in cui tutto ciò che accade suggerisce metafore della vita psichica di una coppia. Ci riconosciamo, discutiamo del caso che ci ha fatti coesistere, ci desideriamo, ci doniamo, ci trascuriamo e ci perdoniamo sperimentando la fragilità del vivere. Ogni qualvolta Adamo è insofferente, mi rimprovera di averlo indotto a mangiare la mela ed io devo prodigarmi a fargli capire, che le due piante che erano al centro del giardino, “l’albero della Conoscenza del Bene e del Male” e “l’albero della Vita”, rappresentano due modi di essere, due mondi diversi, ognuno dei quali ha dei vantaggi o dei svantaggi. E a lui sembrava assurdo, che io preferissi quello della Conoscenza del Bene e del Male”. Difficile fare entrare in quella dura testaccia, che la soluzione dell’Albero del Bene e del Male, è osteggiata da Dio perché è la più impegnativa. Egli conosce le gravi conseguenze che possono scaturire dalla mancata corretta gestione delle proprietà dell’albero. La via proposta da questo albero è la più gravosa, ma nella continua lotta per la sopravvivenza consente di evolversi, migliorarsi, e soprattutto permette di produrre sostanza spirituale per diventare un Dio, o una sua parte. Il termine “conoscenza” non deve essere, solamente, inteso come capacità di distinguere cosa, come, quando è Bene o Male, ma è molto più impegnativa perché l’uomo per conoscere veramente il Bene e il Male lo deve vivere sulla propria pelle, con tutte le conseguenze che ne derivano. Conoscenza significa anche sapienza, intelligenza e discernimento. Quest’albero è come una medaglia con due facce. Il Bene e il Male si contrappongono tra loro, ma a volte sono sfumati e si scambiano di posizione. L’uomo deve saper distinguere e valutare correttamente in ogni occasione il bene dal male e scegliere il Bene. Adamo questo non lo vuole proprio capire; anche se apparentemente, gli da l’impressione di una lunga storia, dove è necessario reinventarci per sfuggire alla trappola dell’abitudine, che svuota inesorabilmente il segno senza fine della creazione.



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Opera scritta il 05/07/2018 - 12:03
Da Savino Spina
Letta n.1944 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Cosa si può dire di una scrittura così ben articolata e ricca di riflessioni? Solo fare i complimenti sinceri al bravissimo scrittore.Ciao Savino

Anna Rossi 10/07/2018 - 05:10

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