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Incontro Casuale

Il mese scorso mi trovavo a Napoli; tutta la giornata era stata caratterizzata da un sole pallido. Mentre camminavo, all’angolo opposto di fronte allo storico Bar Gambrinus, vengo fermato da una giovane donna senegalese di colore. La quale mi mostra dei libri contenuti in un panno grossolano, appoggiati al suo braccio e mi chiede di fermarmi ad ascoltarla. Insiste, come molti che come lei si trovano disperati senza un lavoro dignitoso, per mostrarmi i suoi libri e inizia con una rapida e sintetica recensione di tutti i titoli. Ne avevo preso uno proprio il giorno prima, da un altro giovane senegalese in giro per la città, sempre nella zona del centro. Glielo dissi e la ringraziai facendo per andarmene. Lei insistette e mi disse che ne aveva bisogno per vivere, insomma la solita tecnica dei senegalesi (che sono bravi venditori e certamente molto più sociali di altri cittadini provenienti dal Medio Oriente). Mi fermai e la guardai attentamente negli occhi, poi fuggevolmente diedi uno sguardo alle sue mani: screpolate e rivelatrici di una condizione di vita difficile. Mi disse – “Oggi non ho venduto neanche un libro, sono qui da stamattina ma la gente mi evita. Non ho un permesso di soggiorno e perciò non mi è permesso lavorare. Mio figlio è nato qui in Italia ma non ci hanno concesso la cittadinanza”.
Le chiesi allora: “ Dov’è nato in Italia?” Lei rispose – “A Napoli.”
-“In che ospedale è nato di Napoli?” E lei disse: “Policlinico Vecchio”
-“ Ah ok – gli dissi – conosco quell’Ospedale.
Come l’hai chiamato?” -“Amadou” (credo si scriva così).
Cominciò poi a raccontarmi della sua richiesta al Tribunale dei Minori di Napoli per ottenere che a suo figlio fosse riconosciuta la cittadinanza italiana. Dentro di me cercai se potevo fornirgli qualche indicazione (deformazione professionale) ma non mi venne in mente nulla di utile. La guardai superficialmente ed in quel momento pensai che dovevo andare, avevo fretta e mi aspettavano per lavoro; d’accordo, pensai, le offro quello che posso. Presi il portafoglio dalla tasca interna della giacca e lo aprii; come di consueto c’erano pochi contanti, ormai utilizzo perlopiù sistemi di pagamento elettronico. Sfilai una banconota da cinque euro e feci cenno per mettergliela in mano. Lei fece un gesto di rifiuto e disse: “No, così mi vergogno: Ti do un libro”. Mi piacque la risposta e perciò decisi di prendere un libro tra i tanti che aveva con sé. Ne scelsi uno di una scrittrice senegalese di nome Mariama Bà e intitolato “Amica mia”. Si tratta di una storia della corrispondenza fra due amiche e del loro stato d’animo scaturito dalla decisione dei loro mariti di sposare una seconda moglie. Le chiesi se anche lei è Muslim e mi rispose affermativamente. Presi il libro ma prima di andarmene le dissi: “ Personalmente credo in un Dio ma non nelle religioni. Le religioni sono state scritte da uomini e per uomini. Pensa se Dio fosse Donna. In fondo, seguendo la logica delle religioni, non sarebbe poi così blasfemo. Perché Dio è sempre rappresentato sotto sembianze maschili? E altra particolarità da non sottovalutare, perché in molte religioni la donna ha sempre ruoli di secondo piano e in molti casi è precettata ad essere sottomessa al marito? Non credo che ad un uomo farebbe piacere se sua moglie avesse il diritto di avere altri cinque mariti”.
I suoi occhi si illuminarono e sorrise.
Mi disse che le donne musulmane che lei conosce non sono molto felici che il marito abbia anche altre mogli.
- Le chiesi il suo nome.
-“Yacine” – Rispose.
-“Bene Yacine, ti auguro buona giornata e buona fortuna” – detto questo mi congedai da lei.
Mentre mi allontanavo ripensai alla questione dello ius soli (lett. diritto del suolo) e cercai di ricordare come veniva gestita la cittadinanza nell’antica Roma. Secondo le regole dello ius civile i figli avuti da iustae nuptiae seguivano la condizione del padre al momento della nascita, mentre in mancanza di iustae nuptiae seguivano la condizione della madre al momento del concepimento. (Non le avevo chiesto se era sposata, un lapsus… ).
Naturalmente la madre romana trasmetteva per ius sanguinis la cittadinanza al nascituro. In età arcaica a Roma la protezione giuridica degli stranieri dipendeva da un trattato internazionale, il cosiddetto foedus. Esisteva una figura ad hoc per dirimere qualsiasi controversia tra stranieri e romani: Il preator peregrinus. Grazie ad esso ed allo ius gentium veniva concessa comunque allo straniero protezione giuridica anche individuale anche in assenza di trattati internazionali.
Nei paesi sudamericani e negli stessi U.S.A. applicano lo ius soli automaticamente. Se nasci sul loro suolo, acquisisci la cittadinanza. Perciò viene spontaneo fare paragoni tra noi italiani membri dell’Unione Europea e loro. Anche se non si dovrebbe. Poiché il diritto positivo è anche condizionato da coordinate geografiche oltre che da fattori sociali, politici ed economici. In Europa si applica lo ius soli in Francia, Finlandia, Grecia, Portogallo e Regno Unito. A determinate condizioni.
Nello stesso giorno, arrivando a casa la sera, cominciai a dare un rapido sguardo al libro che mi diede Yacine, sulla copertina sul retro c’era il prezzo: €9,00. Rimasi per un attimo a pensarci su. Mi aveva dato quel libro al prezzo di €5,00 contro un prezzo di copertina di quasi il doppio. Non mi sentii felice per questo e pensai che nella fretta di andarmene non guardai il prezzo. Il pensiero stava innescando in me una serie di riflessioni ma mi fermai e cominciai a sfogliare il libro.
Sono 122 pagine suddivise in ventisette capitoli. Lo stile è abbastanza scorrevole e denota una buona preparazione, ma devo ancora leggerlo. Le prime cinque pagine mi sono piaciute. E’ accurata nelle descrizioni e spicca una sensibilità d’animo che solo il sesso femminile a volte riesce ad avere. Una donna prende in mano una penna e scrive una lettera all'amica di sempre. Per gettare un'ancora. Per capire, valutare, ritrovare. Ripercorrere la propria vita, annodata stretta a quella dell'amica. E, piano piano, con calma, ricorda. Due amiche diverse per temperamento ma sospinte dagli stessi sentimenti e animate dagli stessi valori. Due donne che, messe improvvisamente di fronte ad un avvenimento inspiegabile, la decisione dei loro mariti di sposare una seconda moglie, hanno compiuto ognuna la propria scelta.
Non avrei davvero mai pensato che questo breve romanzo in forma epistolare mi colpisse così tanto! Temi critici come la poligamia e la condizione della donna nella società musulmana, e in Senegal in particolare, sono trattati con una delicatezza tale da suscitare reale empatia.. ..un libro malinconico, ma pervaso di ottimismo e di fiducia nel futuro, sia a livello sociale, sia a livello intimo. “Une si longue lettre" in originale, frase conclusiva del libro, molto più significativa alla luce della storia del banale "amica mia". Un gradimento che va ben oltre le aspettative per questa sconosciuta e purtroppo sfortunatissima autrice africana che, con una scrittura estremamente concreta e diretta, sottoforma di una lunga lettera alla sua migliore amica, racconta se stessa con il dramma vissuto dell’abbandono, e contemporaneamente parla del suo paese, il Senegal, tracciandone un profilo storico sociale e valutando il ruolo e il peso della donna in questo contesto. Ed è appunto nel contesto di un paese a prevalenza musulmana, realtà che, anche se poco praticata, prevede comunque la possibilità per gli uomini di avere più mogli, avvia una lucidissima autocritica per capire il peso dei suoi sbagli, se ce ne fossero stati, nel rapporto con il marito che ha portato a questa scelta, ponendosi tutte le relative domande del caso.
“Amarsi! Se ognuno dei due partners potesse tendere sinceramente verso l’altro! Se provasse a fondersi nell’altro! Se ne accettasse non soltanto le vittorie, ma anche le sconfitte! Se esaltasse le sue qualità al posto di vederne soltanto i difetti! Se reprimesse le cattive inclinazioni senza appesantirle! Se entrasse nelle pieghe più remote del suo animo per prevenire i cedimenti e sostenere, curandoli, i mali sottaciuti! È l’armonia della coppia a determinare la riuscita familiare, così come l’accordo di molteplici strumenti crea una piacevole sinfonia”
È il ritratto di una donna orgogliosa e sicura di se, anche nella certezza delle difficoltà che dovrà affrontare, che chiederà al marito di abbandonare la casa e lasciarla sola nella sua amarezza, stemperata soltanto dai molti figli a cui dovrà badare e dando anche un forte segnale di intolleranza verso consuetudini che relegano la donna a puro oggetto.
“Chi decide della nascita e della morte? Dio! L’onnipotente! E poi, si è madri per comprendere l’inspiegabile. Si è madri per illuminare le tenebre. Si è madri per consolare, quando i fulmini squarciano il velo della notte, quando il tuono viola la terra, quando il fango sommerge. Si è madri per amare, senza inizio né fine.”
Ma c’è molto altro in queste pagine scritte, ripeto, in maniera concreta e lucidissima, con temi e realtà molto lontane da noi, che comunque non si fa fatica a recepire; ed è qui che parte il rimpianto per, come dicevo sopra, questa sfortunata scrittrice che dopo aver ottenuto i riconoscimenti per quest’opera non ebbe il tempo di pubblicare la seconda perché si ammalò e morì di cancro. Una sorte veramente beffarda per una donna già duramente colpita dalla vita, a conferma, ancora una volta, casomai servisse, dell’imperscrutabilità del destino. Per finire una considerazione sui libri, molto bella, espressa dall’autrice durante la narrazione e riferita all’immensa potenzialità di questo strumento di diffusione e comunicazione che non ha pari nella storia degli uomini e delle donne. “Potenza dei libri, invenzione meravigliosa dell’astuta intelligenza umana. Segni diversi, associati in suoni; suoni diversi che modellano la parola. Concatenazione di parole da cui scaturisce l’idea, e il pensiero, la storia, la scienza, la vita. strumento unico di relazione e di cultura, mezzo ineguagliato per dare e per ricevere. I libri saldano intere generazioni allo stesso lavoro continuo che fa progredire.”
Decisi di approfondire la biografia di Mariama Bà cercando su Internet. La trovai su Wikipedia. Cominciai a leggere e rimasi subito colpito dal fatto che ella fosse una femminista nonostante musulmana.
Nata il 17 Aprile 1929 e deceduta il 17 Agosto 1981 a Dakar, Senegal – la sua vita fu caratterizzata dalla critica al sistema tradizionale africano di accentuate diseguaglianze fra i sessi. Cresciuta dai nonni, dovette lottare per ottenere un’istruzione, poiché ai quei tempi non credevano che una ragazza dovesse essere istruita. Dimostrò ottime capacità come studentessa di Giurisprudenza. In seguito sposò un membro del Parlamento senegalese e divorziò prendendosi cura dei suoi nove figli. La sua frustrazione circa il destino delle donne africane è ben espressa dalla sua prima novella: Una così lunga lettera (mia libera traduzione dall’inglese del titolo). Con questo libro vinse il Premio Noma per l’editoria in Africa del 1980. Nel corso della sua vita fu profondamente convinta che sotto la forma mascherata di “tradizioni” e “cultura”, si celasse una forma di pensiero distorta circa la relazione tra uomo e donna; che uomo e donna sono stati sedotti ad accettare la continuazione di questi costumi; che le persone devono essere necessariamente persuase della complementarietà inevitabile e necessaria dell’uomo e della donna.
Mi alzai dalla scrivania dove poggiai il mio notebook pensando. Quella mattina dissi delle cose che sorsero spontanee dal mio cuore, che strana coincidenza pensai, un turbinio di pensieri mi colse assieme allo stupore. Grazie Yacine.
Ok si era fatto tardi, pensai di andare a riposare. Mi è venuta vicino e mi ha sussurrato in un orecchio.
- E tu scemo mi prometti che ci rivedremo?
- Te lo prometto!
Quando mi sono svegliato lei era andata via. Mi aveva lasciato un biglietto.



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Opera scritta il 04/09/2018 - 11:21
Da Savino Spina
Letta n.1891 volte.
Voto:
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Commenti


Molto bello il racconto, fluido e temi concreti

Carmela Ferraro 05/09/2018 - 03:30

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Ben scritto ed originale.

Sildom Minunni 04/09/2018 - 15:22

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