Quand\'è che riusciamo a parlare un pò?
Tu ed io, magari un aperitivo, se vuoi….”
“e che c’è bisogno di andare a prendere un aperitivo?”
“beh, allora, dimmi tu….dimmi quando, come?”
“a mà e di cosa devi parlare?”
“di te, di noi, ma anche di qualche futilità…..insomma, cose di mamma e figlia, cose di donne”
“lo sai come sono, delle mie cose non parlo con nessuno”
“e fai male, tesoro, devi parlare….io non sono qui per giudicare, sono tua madre”
“mà, no!…se devi chiedermi qualcosa, fallo, ma non è detto che io ti risponda”
Ecco,
chi legge, legge di una madre che supplica una figlia alla parola. Non è proprio così.
Chissà quanti di voi ritroveranno un pò di sè in queste parole.
Sono una madre fortunata, ho una figlia splendida, ma di lei, dei suoi pensieri, so solo quel che percepisco...
Non è poi così raro e, ho imparato, neppure così "anomalo".
Diciamo che più generalmente, questo potrebbe essere il risultato di una vita sociale intessuta di falsa cortesia, che chiama 'rispetto della privacy' il disinteresse, e di glaciali silenzi tra le persone che si imbattono fisicamente le une nelle altre, accigliate e immerse nei propri pensieri (e nei propri cellulari).
Noi genitori siamo sempre meno capaci di raccontare ai nostri figli di noi perché non siamo più capaci di riflettere su noi stessi. Difficile è, certamente, rapportarsi con una generazione alla quale abbiamo così poche garanzie da assicurare, se non che da un presunto benessere, il percorso sarà, ora, di una strada senza certezze.
Scrivo di noi, 50enni oggi, con figli di 20-25 anni.
Oppure, non è neppure così, ma la fretta, quel circolo vizioso che tutti abbiamo giudicato, allontanato dalle nostre vite e temuto, ci ha risucchiati quasi senza ce ne accorgessimo proponendoci e propinando modelli di famiglie, di figli e genitori professionisti che abitano splendide case, belli e felici e, soprattutto, con tanto tempo a disposizione.
Ma noi, con i genitori? I nostri genitori?
Si parlava di tutto, di tutti, con quel giusto pudore, quelle giuste attenzioni, il rispetto. Insomma, davanti ad un piatto di minestra, la sera, si “parlava”...
già, questo verbo strano e in disuso “parlare……”
Ma per parlare con libertà e coscienza, bisogna sapersi educare al silenzio, ad una predisposizione all’ascolto di sé stessi e dell’altro. Il silenzio può essere come lo spazio di ascolto che prepara la parola quale capacità di accoglienza, recettività senza pregiudizi, disponibilità libera dalla presunzione di sé. Ed è il silenzio positivo ad essere capace di costruire una relazione, anzi, ne pone decisamente le fondamenta tanto quanto la parola "giusta" espressa.
Quindi, parlare non significa necessariamente comunicare. Si comunica con uno sguardo, con una carezza, con un abbraccio.
Ho imparato, con gli anni, che quegli abbracci che strappiamo ai nostri figli cuccioli e di cui ne abbiamo tanto bisogno per quel profumo amniotico che rilasciano, sono quelli, poi, che dovremmo continuare a elargire proprio a quei figli meno disponibili ad accoglierli. Sono proprio quelli, i ribelli, i figli che ne hanno più bisogno.
Insegnare ai figli l’approccio fisico, anche quando diventano adulti, insistentemente, senza demordere, fa bene a loro, fa bene soprattutto a noi.
Un abbraccio è: io ci sono e per te ci sarò sempre!
Un abbraccio è: terrò sempre la luce accesa affinchè ovunque tu sia, possa non perdere mai la strada di casa!
"Insomma, quand’è che riusciamo a parlare un pò?"
Io so, tu sai
sono nella stanza accanto...
Solo se vorrai...
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Il testo muove sentimenti sopiti
che bisogna esternare per sentirsi amore
nell'amore .
Molto apprezzata!
Ogni qualvolta si scrive di sé ed il cuore guida la penna, ci si conosce un po' di più, senza presunzione.
Una felice domenica a voi tutti. A Roma, ovviamente, piove
Testo per riflettere, bravissima Laisa
(Papa Francesco)
Ho tre figli, ti sono vicino...
Era solo per fornirti delucidazioni su quanto esposto.
Felice week
Ti rispondo così: nulla si pretende, nulla. Solo il rispetto dovuto.
E fidati, tutto torna
Forse nn sono stata chiara, scrivevo di difficoltà a parlare di sé, null'altro.
Il resto, i cellulari, li abbiamo immessi noi per primi.