L'incidente
Ricordo che ero in un letto d'ospedale. Immobilizzato, non ero in grado di parlare, né di connettere efficacemente. Sentivo vagamente delle voci provenienti dalla stanza, dove ero ricoverato, che parlavano di un’emorragia cerebrale localizzata ma devastante. Credo stessero parlando di me, a qualche mio parente o amico, (penso Claudia) ma non so o non ricordo a chi. Sono stato trasportato al Pronto Soccorso, dove sono rinvenuto per pochi secondi, paralizzato completamente; dopo di che sono svenuto ed entrato in coma. E poi, credo di essere morto. Comunque se sono morto, non ho provato alcuna sensazione speciale. Non mi è apparso Dio, non ho visto luci celestiali, non ho sentito voci ultraterrene. Dopo un periodo di tempo mi sono svegliato e la prima impressione fu che ero ancora in un letto d'ospedale. Perfettamente sveglio, perfettamente a posto, e in grado di muovermi. Tant'è che mi alzai sul letto stesso, reggendomi sui gomiti. Non mi accorsi subito di essere completamente nudo. Mi accorsi però di non essere in un ospedale, il letto duro come il marmo, e coperto da un lenzuolo bianco. Non avevo cuscini, né indumenti, né alcunché intorno a me; non c'erano altri letti, né infermieri. Assolutamente niente e nessuno. Di certo non ero più il Ciro Imperiale geniale, con la somma potenza creatrice per virtù innata dal talento eccezionale che mi ha permesso di giungere a straordinarie altezze nell’ambito dell’arte e della scienza e di essere stato al contempo inventore, scrittore, poeta, pittore, anatomista, e in ogni campo ai massimi livelli. Non ero più un’atleta dalle prestazioni senza paragoni e non avevo nemmeno la forza sovrumana che mi permetteva di sollevare con le sole braccia, un peso pari a 850 volte il mio peso corporeo. Non so per quale sortilegio, ero divenuto un uomo normale e il mio ingegno e il mio vigore, mi avevano abbandonato e questo lo percepivo, per mancanza di energia vitale. Ero in una stanza ampia, pressappoco, sei metri per cinque, pulitissima, dalle pareti grigie, con una luce densa che non proveniva da nessuna fonte. Vuota e senza finestre e senza una porta. Non c'era nient'altro nella stanza, nulla per intenderci, non un battiscopa, non un lampadario, non un filo elettrico, non una macchia per terra, un graffio a una parete, una chiazza al soffitto; un qualunque segno insomma che dimostrasse che ci fossero stati, altri esseri viventi a parte me. Stavo in un enorme spettrale scatolone grigio, adagiato su un letto di marmo e con un lenzuolo addosso. Mi stupii di essere così calmo e non c'era motivo per esserlo e la cosa mi sorprendeva non poco; a un tratto udii una voce dirmi: — Sei in grado di intendere? La voce era forte, echeggiante e proveniva da una direzione imprecisata, non aveva accento, robotica e mi chiesi da dove, chi o cosa poteva essere. — Cosa? Chiesi.
— Sei in grado di intendere? Riprese la voce. — Sì. Risposi senza esitazioni. — Sono in attesa di esaudire richieste, disse la voce. — Prego non capisco? — Sono in attesa di esaudire richieste ripeté la voce. E andammo avanti così per un pezzo. A qualunque domanda io facessi, la voce rispondeva. Sono in attesa richieste, solo questo e nient'altro che questo. Se chiedevo di parlare con un medico, oppure dove sono? O qualunque altra richiesta ragionevole, rispondeva: Richiesta non pertinente. Non avevo traccia del giorno o della notte, anche se c'era un alternarsi della luce, non potevo definire un bel niente! Inutile che vi dica che ho avuto paura e rapidamente sfociare nel panico. Dov'ero finito? Cos'era quella stanza? Una prigione? Non era evidentemente una stanza d'ospedale, nonostante la prima impressione. Ma cos'era? Un laboratorio sotterraneo per esperimenti sugli esseri umani? Chi l'aveva costruito un posto così, senza finestre, senza porte, senza illuminazione riconoscibile, con una voce che ripeteva ossessivamente quelle frasi senza senso? Nei momenti in cui non ero preso dal panico, cercavo di capire dove mi trovavo e come ottenere le risposte alle domande che mi frullavano per la testa e soprattutto di aggirare alla risposta: "Richiesta non pertinente"; nei momenti invece in cui il panico la faceva da padrone urlavo disperato, oppure singhiozzavo rincantucciato nel letto, sotto il lenzuolo. Alla fine del quarto periodo di variazione di luce, i morsi della fame e della sete si fecero sentire e dopo una serie di domande regolarmente rigettate dalla voce, esplosi. Bastardo! Ho fame! Ho sete! Dammi qualcosa da mangiare! — Di che tipo? Rispose la voce. Mi fermai spalancando gli occhi! Come sarebbe a dire di che tipo? — Che tipo di cibo — rispose. Pane e salame, risposi risoluto, con la prima cosa che mi era venuta in mente. — Che tipo di pane? Che tipo di salame? Non so pane qualunque, salame napoletano, ribattei. — Salame napoletano disponibile. Quantità? Centocinquanta etti. — Che tipo di pane? Qualsiasi tipo di pane! Urlai alla voce, al nulla. — Che tipo di pane? Ripeté imperterrito. — Baguette! Ripetei ad alta voce. — Disponibile. Quantità? Una! — Servito, disse. Mi guardai intorno e sul bordo del letto, alle mie spalle trovai la baguette al salame. Poggiata in un vassoio, di plastica, dai bordi leggermente rialzati e con maniglie ai lati. Una cosa assolutamente normale che in quel situazione
era incongrua ed assurda quanto al contesto. Mi gettai sulla baguette e la divorai. Cominciavo forse a capire. Voglio acqua, dissi ad alta voce. — Liscia o gasata? Rispose. — Gasata. — Quantità? Un litro. E una bottiglia d'acqua gasata apparve dal nulla proprio sotto i miei occhi, esattamente nel vassoio, dove erano stati fino a poco prima la baguette al salame. Insomma cominciai così a capire. È proprio vero: la fame aguzza l'ingegno. Chiunque fosse dietro la voce era disponibile a fornirmi praticamente di tutto o quasi. Dapprima chiesi altro cibo, abiti, coperte, oggetti di tutti i tipi. E mi resi subito conto che ogni richiesta doveva essere dettagliata il più possibile, per evitare successive domande dirette a identificare con esattezza maniacale il tipo di oggetto richiesto. Avevo capito di aver a che fare con un meccanismo di qualche tipo, sia pure molto evoluto, era pur sempre una macchina, anche se disponeva di una gamma di scelte infinita per ogni oggetto. Ma niente informazioni; non dava ragguagli di alcun tipo, sul come, il perché, il dove, il quando, eccetera, che mi potessero aiutare a capire dove ero e perché. Poi all'improvviso uno squillo del cellulare! Claudia che mi racconta: "quella mattina ero stato investito da un auto e tutto mi riviene in mente". Mi ero alzato presto, preso il caffè e sono uscito in bici; non avevo allacciato bene il casco, che all'urto vola via; sbattendo la testa sullo spigolo del marciapiede. Il giorno dopo mi dimettono dall'ospedale e mano nella mano con la mia adorata Claudia, ci rechiamo nella nostra dolce casa.
— Sei in grado di intendere? Riprese la voce. — Sì. Risposi senza esitazioni. — Sono in attesa di esaudire richieste, disse la voce. — Prego non capisco? — Sono in attesa di esaudire richieste ripeté la voce. E andammo avanti così per un pezzo. A qualunque domanda io facessi, la voce rispondeva. Sono in attesa richieste, solo questo e nient'altro che questo. Se chiedevo di parlare con un medico, oppure dove sono? O qualunque altra richiesta ragionevole, rispondeva: Richiesta non pertinente. Non avevo traccia del giorno o della notte, anche se c'era un alternarsi della luce, non potevo definire un bel niente! Inutile che vi dica che ho avuto paura e rapidamente sfociare nel panico. Dov'ero finito? Cos'era quella stanza? Una prigione? Non era evidentemente una stanza d'ospedale, nonostante la prima impressione. Ma cos'era? Un laboratorio sotterraneo per esperimenti sugli esseri umani? Chi l'aveva costruito un posto così, senza finestre, senza porte, senza illuminazione riconoscibile, con una voce che ripeteva ossessivamente quelle frasi senza senso? Nei momenti in cui non ero preso dal panico, cercavo di capire dove mi trovavo e come ottenere le risposte alle domande che mi frullavano per la testa e soprattutto di aggirare alla risposta: "Richiesta non pertinente"; nei momenti invece in cui il panico la faceva da padrone urlavo disperato, oppure singhiozzavo rincantucciato nel letto, sotto il lenzuolo. Alla fine del quarto periodo di variazione di luce, i morsi della fame e della sete si fecero sentire e dopo una serie di domande regolarmente rigettate dalla voce, esplosi. Bastardo! Ho fame! Ho sete! Dammi qualcosa da mangiare! — Di che tipo? Rispose la voce. Mi fermai spalancando gli occhi! Come sarebbe a dire di che tipo? — Che tipo di cibo — rispose. Pane e salame, risposi risoluto, con la prima cosa che mi era venuta in mente. — Che tipo di pane? Che tipo di salame? Non so pane qualunque, salame napoletano, ribattei. — Salame napoletano disponibile. Quantità? Centocinquanta etti. — Che tipo di pane? Qualsiasi tipo di pane! Urlai alla voce, al nulla. — Che tipo di pane? Ripeté imperterrito. — Baguette! Ripetei ad alta voce. — Disponibile. Quantità? Una! — Servito, disse. Mi guardai intorno e sul bordo del letto, alle mie spalle trovai la baguette al salame. Poggiata in un vassoio, di plastica, dai bordi leggermente rialzati e con maniglie ai lati. Una cosa assolutamente normale che in quel situazione
era incongrua ed assurda quanto al contesto. Mi gettai sulla baguette e la divorai. Cominciavo forse a capire. Voglio acqua, dissi ad alta voce. — Liscia o gasata? Rispose. — Gasata. — Quantità? Un litro. E una bottiglia d'acqua gasata apparve dal nulla proprio sotto i miei occhi, esattamente nel vassoio, dove erano stati fino a poco prima la baguette al salame. Insomma cominciai così a capire. È proprio vero: la fame aguzza l'ingegno. Chiunque fosse dietro la voce era disponibile a fornirmi praticamente di tutto o quasi. Dapprima chiesi altro cibo, abiti, coperte, oggetti di tutti i tipi. E mi resi subito conto che ogni richiesta doveva essere dettagliata il più possibile, per evitare successive domande dirette a identificare con esattezza maniacale il tipo di oggetto richiesto. Avevo capito di aver a che fare con un meccanismo di qualche tipo, sia pure molto evoluto, era pur sempre una macchina, anche se disponeva di una gamma di scelte infinita per ogni oggetto. Ma niente informazioni; non dava ragguagli di alcun tipo, sul come, il perché, il dove, il quando, eccetera, che mi potessero aiutare a capire dove ero e perché. Poi all'improvviso uno squillo del cellulare! Claudia che mi racconta: "quella mattina ero stato investito da un auto e tutto mi riviene in mente". Mi ero alzato presto, preso il caffè e sono uscito in bici; non avevo allacciato bene il casco, che all'urto vola via; sbattendo la testa sullo spigolo del marciapiede. Il giorno dopo mi dimettono dall'ospedale e mano nella mano con la mia adorata Claudia, ci rechiamo nella nostra dolce casa.
Opera scritta il 12/07/2019 - 18:59
Da Savino Spina
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