Neve, in primo piano
È un telefono vecchio, di alcuni anni fa. Prima che mio figlio andasse a vivere fuori dall'Italia non desideravo uno smartphone, che poi, ho comprato. Accorcia la distanza e le giornate sono più belle.
L'altro sta in un cassetto. Ci sono pensieri annotati sul memo, messaggi di persone che mi hanno lasciato e foto, tante. Non ho mai finito il lavoro di trasferirle o stamparle.
Le scorro sul cellulare, tutte mi sono familiari tranne due, con poca luce e colori tra il grigio e il bianco spento.
Apro la più nitida. È un ambiente chiuso, sullo sfondo un armadio, non riconosco alcun dettaglio. Immagino sia una camera. Il telefono è mio, la foto l'avrò scattata io, ma dove?
Mi inquieta non ricordare una camera dove sono stata. Allargo l'immagine e mi siedo, ci vuole tempo. Non sento niente in quei colori, la foto è scattata da un'altezza di media portata, da un letto. Ne intravedo la parte che va verso la sponda dove stanno adagiati i piedi, una coperta quasi bianca ha un cumulo, una piccola montagna di neve prima delle sbarre, al di là, l'armadio.
Sì.
Ti avevo dato il mio telefono quando eri in ospedale, perché potessimo chiamarti e tu, potessi chiamare noi, nei momenti in cui restavi sola. Forse volevi telefonare, che ti portassimo un gelato o nascondere la paura dietro un'altra buonanotte. Invece hai scattato due foto.
Le ho tenute tra le mani a lungo, hai immortalato la solitudine e lo smarrimento oppure mi hai lasciato un pensiero, una firma sul telefono.
Non sei più tornata a casa, da quella stanza.
Ma che brava fotografa mamma...
L'altro sta in un cassetto. Ci sono pensieri annotati sul memo, messaggi di persone che mi hanno lasciato e foto, tante. Non ho mai finito il lavoro di trasferirle o stamparle.
Le scorro sul cellulare, tutte mi sono familiari tranne due, con poca luce e colori tra il grigio e il bianco spento.
Apro la più nitida. È un ambiente chiuso, sullo sfondo un armadio, non riconosco alcun dettaglio. Immagino sia una camera. Il telefono è mio, la foto l'avrò scattata io, ma dove?
Mi inquieta non ricordare una camera dove sono stata. Allargo l'immagine e mi siedo, ci vuole tempo. Non sento niente in quei colori, la foto è scattata da un'altezza di media portata, da un letto. Ne intravedo la parte che va verso la sponda dove stanno adagiati i piedi, una coperta quasi bianca ha un cumulo, una piccola montagna di neve prima delle sbarre, al di là, l'armadio.
Sì.
Ti avevo dato il mio telefono quando eri in ospedale, perché potessimo chiamarti e tu, potessi chiamare noi, nei momenti in cui restavi sola. Forse volevi telefonare, che ti portassimo un gelato o nascondere la paura dietro un'altra buonanotte. Invece hai scattato due foto.
Le ho tenute tra le mani a lungo, hai immortalato la solitudine e lo smarrimento oppure mi hai lasciato un pensiero, una firma sul telefono.
Non sei più tornata a casa, da quella stanza.
Ma che brava fotografa mamma...
Opera scritta il 30/01/2020 - 20:11
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Voto: | su 8 votanti |
Commenti
Un bel racconto bravissima dove i ricordi rimangono sempre
Norastella Gamba 17/02/2020 - 20:57
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Complimenti Grazia.
Ragguardevole testo. Brava...
Ragguardevole testo. Brava...
Salvatore Rastelli 02/02/2020 - 09:52
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Molto trste! Sei brava Grazia, sai convogliare nel cuore di chi legge, i tuoi sentimenti.
Cari saluti
Cari saluti
mare blu 01/02/2020 - 19:06
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Un racconto emozionante.
Andando avanti nella lettura una profonda tristezza mi si è impressa sul cuore, sei stato brava a trasmettere quel senso di vuoto incolmabile...
Andando avanti nella lettura una profonda tristezza mi si è impressa sul cuore, sei stato brava a trasmettere quel senso di vuoto incolmabile...
PAOLA SALZANO 01/02/2020 - 18:26
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Un racconto che è molto sentito. Grazie ancora Grazia per i tuoi commenti ai miei testi. Per me è un onore
MARIA ANGELA CAROSIA 01/02/2020 - 15:38
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Un racconto che è pura poesia.
Mimmi Due 01/02/2020 - 09:20
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In parte ho rivissuto il mio dolore,un flash che vi ha riproposto un attimo a ricordare la vostra mamma,gli anni passano ma il dolore no.Sempre brava!!
Graziella Silvestri 01/02/2020 - 00:09
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Bel racconto, grande pathos e finale che commuove. Chi come me ha amato la mamma come nessun'altra persona, non può che apprezzare il contenuto di questo racconto, scritto anche assai bene.
Giacomo C. Collins 31/01/2020 - 17:49
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GRAZIA...Sei bravissima, una poetessa e scrittrice completa, in più hai una umanità che ti distingue e fa di te una bella persona. Ti mando un personale saluto. Ciao
mirella narducci 31/01/2020 - 11:29
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Ho sempre considerato Grazia un'autrice oltreché brava dotata anche di quella sensibilità che fa la differenza specie quando si affrontano delle tematiche che prendono in causa il cuore non inteso come muscolo ma i sentimenti che da esso scaturiscono.In questo racconto con graffiante delicatezza ha saputo tracciare e definire la vera natura dell'emozione che pure non avvalendosi della retorica, Grazia raramente la usa, riesce a dare all'insieme delle sensazioni che non si discostano molto dalla poesia come del resto viene giustamente sottolineato dal bravo Mirko.Ogni particolare di questo racconto,anche banale, viene esaltato e ridimensionato a quello che il lettore vuole sentirsi dire quando la commozione attanaglia il cuore.E qui di commozioni ce ne sono a iosa ed in questo l'autrice è maestra.Complimenti Grazia, anche per la brevità del racconto.D'altronde la vera emozione non ha bisogno di tante parole.
Antonio Girardi 30/01/2020 - 21:50
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"nascondere la paura dietro un'altra buonanotte"...non è una frase, quasi un verso. Forse è un pezzetto di vita.
E la frase finale...mi si è stretto il cuore
E la frase finale...mi si è stretto il cuore
Mirko D. Mastro(Poeta) 30/01/2020 - 20:49
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