Il destino però, o la sua poca attitudine, gli avevano consegnato, alla avvenuta messa in pensione anticipata del colonnello, la responsabilità di un gruppo di una ottantina di soldati acquartierati in un ex convento che fungeva da caserma sullo Stradone Farnese.
Niente prove ardimentose da dedicare a Dulcinea del Toboso o alla Patria. Solo lo stanco e routinario passare dei giorni.
Comandava, a ben vedere, solo un piccolo drappello di furieri che compilavano inutili moduli di permessi e permessini ciclostilati, un paio di autisti che scorrazzavano i piccoli papaveri del distretto e del consiglio di leva, il gruppo di tre soldati che si occupavano delle piccole manutenzioni della decadente struttura ed il reparto mensa. Il resto della truppa ospitata nella caserma in realtà riempiva gli uffici amministrativi sparsi per la città e dipendeva dai vari tenenti, colonnelli, capitani che ne avevano la gestione; a lui non restava che comandarli quando rientravano e controllarne le libere uscite.
Cercava di gestire il manipolo di sottoposti e gli ascari part time come poteva, interpretando il ruolo di comandante in capo.
Ne dava un audace esempio quando, una volta al mese, arrivavano i nuovi soldati provenienti dal CAR, ecco, lì dava il massimo.
Si preparava accuratamente per lo spettacolo come la signorina vanità.
“Un dì la signorina Vanità, più del solito volle farsi bella:” e lui tirava a lucido gli anfibi da paracadutista acquistati alla bisogna,
“mise una trina in fondo alla gonnella” mettendo il cinturone operativo e la pistola
“si strinse il busto senza carità,” indossando la mimetica più attillata,
“si profumò i capelli, li arricciò,” radendosi i capelli alla Bruce Willis
“di un gioiello si ornò non mai veduto,” mettendo in evidenza tutte le decorazioni che poteva mettesi addosso come un alberello di Natale.
Ed altero entrava in scena!
Saliva sul Fiat 900, che aveva più anni di lui, come capomacchina e partiva alla volta del suo teatro costituito dalla stazione centrale dove arrivavano le scimmie pazze. Lì, a contatto coi caporaletti di leva del genio Pontieri, si sentiva davvero il colonnello Mathieu. Ordinava, cazziava, rimproverava chiunque gli fosse a tiro, dando un'idea, a chi lo vedeva, di essere il padrone del mondo.
Finita la recita di un'ora, però, al rientro nella caserma fatiscente, tornava a girare nella ruota da criceto, stivando le ghiande in un angolo del suo ufficio inutile e angusto.
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