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Il limone nell'acqua

Non lo poteva soffrire, non lo aveva mai potuto soffrire. Quell’orribile ometto che tutte le mattine gli apriva la portiera della macchina cosicché lui potesse scendere e sfilare con aria di superiorità fino all’enorme cancello d’entrata. Non riusciva a concepire qualcuno di così insignificante né tanto meno perché il padre non si fosse ancora deciso a licenziarlo per rimpiazzarlo con qualcuno la cui vista di prima mattina sarebbe risultata meno deprimente.
Nel suo vestito, costato quanto un piccolo monolocale in centro, camminava per quei corridoi come se il mondo gli appartenesse. Non sapeva praticamente nulla di quello che accadeva in quell’impero che calpestava eppure se ne sentiva il padrone, il suo cognome gli donava tutti i diritti di cui aveva bisogno. Malgrado così inutile alla causa riusciva a fingersi indispensabile agli occhi di tutti. Era bello, giovane, forte, il figlio di uno dei più ricchi magnati dell’epoca, un Dio sceso sulla terra per far invidia agli uomini. Non si era mai sporcato in relazioni che non si addicessero a qualcuno del suo calibro, ovvero quello di chi poteva desiderare un aereo e riceverne due il giorno seguente. Neanche una volta, in quattro anni di servizio, aveva degnato di una sola parola la signora che al tempo riordinava il suo ufficio. Sempre ammesso che sia davvero possibile chiamarlo ufficio, quello era più simile al posto in cui era solito intrattenersi con una a caso delle tante segretarie che il padre aveva assegnato al suo dipartimento fantasma, così trasparente da risultare inesistente sulle carte. E’ incredibile quanta arroganza sia permessa ai ricchi, nessuno aveva la benché minima possibilità di opinione su nessuno dei suoi tanti deliri. Prendeva, o meglio gli veniva data, qualsiasi cosa si degnasse di desiderasse.
Godeva selvaggiamente nel vedere gli sguardi di tutti cadere a terra quando incrociavano il suo, freddo e ciecamente folle che avrebbe ordinato di comprare l’anima di chiunque si trovasse davanti se solo quell’anima avesse avuto un prezzo.
Era un mostro, un idiota, uno scarto umano a cui nessuno osava porre un freno.
L’ironia della sorte è che non ci è concesso sapere al risveglio se oggi saremo costretti a combattere per la nostra vita oppure se potremo starcene tutto il giorno sdraiati sul divano sorseggiando del whiskey. Tutto può accadere, ed è meglio essere pronti perché al destino non importa dei nostri castelli di carte, dei nostri sogni lasciati a morire, il destino è un bastardo tagliagole.
Mi piace pensare che la vita sia più forte di tutto, soprattutto dei soldi e che fu proprio la vita quel giorno a fargli trovare sua madre in sala da pranzo con il volto affondato nei palmi delle mani.
La casa era silenziosa, non si sentivano i soliti rumori tipici della servitù operosa che un manager aveva accuratamente assunto per la famiglia, nessun quotidiano delicatamente riposto sulla sedia, nessuna colazione fumante a decorare l’enorme tavolo in legno di mogano.
L’aria era gravida di tensione come negli istanti che precedono una tempesta, quello fu il giorno in cui il grande padre venne arrestato, il giorno in cui il mondo risputò indietro al mittente tutto il disprezzo che aveva ricevuto. A breve i suoi scheletri avrebbero insozzato e ridotto in macerie ogni cosa nel suo impero, riemergendo dalle loro tombe e distruggendo tutto fino a quando in piedi di concreto non sarebbe rimasto nulla se non la velenosissima prima pagina del giorno seguente che un sottopagato giornalista avrebbe scritto come fosse l’inno alla Divina Provvidenza.
Le rovine fumanti di una vita che ormai non gli apparteneva più tolsero il fiato al giovane figlio che fino a qualche minuto prima era tutto intento nel decidere a quale donna avrebbe concesso di entrare nel suo ufficio quella mattina.
Non credeva di poter provare così tanta rabbia. Come avevano osato? Come aveva potuto pensare la giustizia di colpire proprio loro che erano la crème de la crème di un mondo che, almeno ai suoi occhi, non meritava nulla.
Quella mattina finì la parte della vita in cui quel mostro credette di essere migliore, di essere intoccabile e ne iniziò invece una fatta di salite troppo dure per le sue gambe, di facciate a terra, la stessa terra su cui poco prima gettava sguardi di disprezzo. Era come un bambino che imparava i semplici meccanismi del mondo a lui ancora sconosciuti, un bambino di ventisette anni che per la prima volta fu costretto a realizzare che l’acqua non esce dal rubinetto già con gli spicchi di limone ma che qualcuno, fino a quel momento, ce li aveva appositamente messi dentro al posto suo.
Il mostro non si è mai più fatto vedere, da anni ha avuto la decenza di sparire tra la folta vegetazione della foresta della redenzione, annegando la vergogna dei suoi ultimi respiri in terreni ostili e paludosi. Dalla sua carcassa rinacque qualcosa di completamente diverso, rinacqui io che mi chiamo Roberto, ho quasi quaranta anni e lavoro come cuoco in un grazioso ristorante del centro. Ho due figlie, quattro e nove anni, sono la mia gioia, la mia più grande soddisfazione e speranza, rivedo in loro tutta l’innocenza e la purezza di cui l’uomo sa essere capace. Potrei dire che la mia vita dopo quella mattina sia stata tutta un crescendo di sofferenze ma non è così, è stato stranamente meraviglioso poter perdere tutto per poi ritrovare qualcosa di più grande, per capire realmente il significato dell’essere vivi. Me lo sento addosso quando, dopo una giornata di lavoro, ritorno a casa e trovo mia moglie e le bambine ad aspettarmi in cucina, mi fermo sulla porta e respiro forte lasciando che l’aria mi gonfi i polmoni perché sono vivo, sento la mia vita esplodere ovunque in quella cucina, nei loro occhi nei loro abbracci e mi piace, si, mi piace.
Magari sembrerà un po’ sciocco ma mi capita speso mentre lavoro al ristorante di tagliare il limone a fettine sottili per aromatizzare e decorare le bevande dei clienti, allora mi diverto a seguire il cameriere con lo sguardo sbirciando fuori dalla porta della cucina per vedere i volti delle persone a cui viene servita la bevanda che ho preparato, li osservo e non li invidio. Ripenso a me, al mostro, a quanto sia triste che per più della metà della mia vita abbia bevuto acqua frizzante aromatizzata per poi scoprire a trent’anni che a me neanche piace, io sono un tipo da acqua liscia, fresca e senza troppe pretese. Il limone, da un po' di tempo, me lo lascio per la bistecca.



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Opera scritta il 12/05/2014 - 23:06
Da Simone Coriandoli
Letta n.1488 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Complimenti, il racconto è bello e sorprendente anche se l'incipit è un po' forzato. Una vera lezione di vita. Ti invito a leggere il mio racconto e a commentarlo. Ciao. Franco.

Franco Di Michele 13/05/2014 - 22:16

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