Profumavano, ancor di più, di futuro.
Ed era favoloso svegliarsi al mattino pieno d’energia, con la mente proiettata sui libri, certo, ma anche sulla musica.
L’Università e il pianoforte, il dovere ed il piacere: una contraddizione? No, solo la gioia di non avere un minuto libero.
Gli esami da preparare, gli spettacoli da programmare, gli amici da frequentare, le ragazze da scoprire.
Scrivevo, scrivevo moltissimo, scrivevo gli appunti alle lezioni, scrivevo testi di canzoni e la relativa musica.
Scrivevo rigorosamente con tratto-pen verdi, non so per quale motivo: scrivevo con una calligrafia decisamente minuta, su quaderni, agende, fogli volanti, che poi tenevo in un ordine talmente rigoroso da rasentare la maniacalità.
La scaletta dello spettacolo imminente sempre a portata di mano; le prove con gli altri componenti della “band” tre volte la settimana fino alle due di notte. La mattina era dura andare a lezione, ma l’incoscienza dei vent’anni superava ogni asperità.
La mia Ibiza bianca (come pure le auto degli altri) sovraccarica di strumenti, di casse acustiche, di spartiti, leggii e quant’altro… e via andare, con cadenza bisettimanale, anche fuori provincia, a suonare nei locali, nelle feste di piazza, nelle manifestazioni più disparate.
E c’era Silvia che profumava, profumava di primavera e d’estate, d’amore e d’avventura, di giorni spesi a fare programmi per il futuro e disfarli un attimo dopo, di baci timidi e spavaldi, di terra rossa e di spiagge dorate.
Oggi non gioco più a tennis, ho la pancia, la tastiera è appesa al chiodo e Silvia chissà che fine ha fatto. Scrivo ancora, ma forse scrivo per dimenticare… o, chissà, per ricordare… o magari per ricominciare?
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Il tuo racconto? Bello e nostalgico…