Infamia violenta
Una rivoluzione lenta
Mossa dalla fame
Accende il suo fuoco
In un uomo vero
Di indissolubile speranza
Schiacciato dall'ignoranza
Di un dittatore autoritario
Con il disprezzo del proletario
Repressione espressiva
Della natura espansiva
Patita da soli pensatori
I solitari fautori
Di un paradiso terrestre
Truculenta la vendetta
Sarà sull'oppositore
Del paternalistico orrore!
Capro espiatorio del silenzio
Di animi infiammati come assenzio
Lacrime del popolo
Il quarto stato
Ormai prostrato
O miei cari festeggiate in tranquillità
Ma se siamo a tavola nulla cambierà
È il ventisette di febbraio
Il freddo giace sul granaio
Il Neva scorre inerme
Le ciminiere tossiscono fumo nero
Ma tra le strade di Mosca un verme
Trasforma lo scenario in un teatro
Di orrore e disperazione
E si agiti il fiume a quell'azione
Si rivolti la terra a quella pistola
Così fredda così macilenta
Con violenta
Convinzione
Ha fatto tacere quell'uomo
Distruggendo sogni e parole
Di un grande amore
Dedito al popolo
Illustre onore
E piange la sua miseria
Anche Dostoevskij in Siberia
Nessuno ha ragione!
Ma meno di tutti chi schiavizza la nazione
Ma adesso affermo con certezza che
Miei cari!
È morto il
Capitalismo del popolo.
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Ciao VERA. Hai ragione, e purtroppo quell'ideale era guidato da un'esigua e sottomessa minoranza. Ormai credo che si possa parlare di utopia
il verso finale dove si esprime il capitalismo del popolo, mi ha fatto andare in "corto circuito"!
Componimento d'ampia portata!