Mi immagino
seduti, io e te, sulla pelle chiara di un sofà
che abbracciamo il quotidiano
come fa il vento e fa il suo richiamo
con le chiome dei boschi.
Mi immagino
di avvicinarti un posacenere
colmo delle idee che ho cestinato,
e cenare con la porta aperta
ad agosto per respirare il grano.
Mi immagino
le maniglie chiare delle tue valigie
accanto all'uscio, sulla porta,
sporche di strade percorse in due.
Mi immagino
La nuvola di un ferro da stiro
che scivola liscio sul mare blu di una camicia,
nel tramonto di una domenica
che si consuma in un rintocco di campane.
Mi immagino
piatti pieni di pasta al sugo
e una macchia rossa sulla curva del tuo labbro
che invocherà le mie cure
tiepide di baci morbidi.
Mi immagino
le lancette stanche dell'orologio in cucina
che mi avvicinano sempre di più al tuo ritorno,
mentre confondo i rombi delle macchine distanti
con il suono della tua voce piena.
Mi immagino
l'aroma del caffè nella tua tazzina
sul fondo di un silenzio d'affetti,
la ventiquattrore sul pavimento,
come litigi consumati in un'ora
appassiti e spenti, uccisi da una parola.
Mi immagino
noi sdraiati su un piumone foderato di storie
a precipitare l'uno nei racconti dell'altro,
mentre districhiamo le coltri notturne
e riveliamo sogni che si corrispondono.
Mi immagino
di osservare lo schermo piatto
e nero di un plasma spento
e di accenderlo poco dopo,
di crollare nelle carezze notturne,
intanto lenta e annoiata passa
la nota stanca del telegiornale.
seduti, io e te, sulla pelle chiara di un sofà
che abbracciamo il quotidiano
come fa il vento e fa il suo richiamo
con le chiome dei boschi.
Mi immagino
di avvicinarti un posacenere
colmo delle idee che ho cestinato,
e cenare con la porta aperta
ad agosto per respirare il grano.
Mi immagino
le maniglie chiare delle tue valigie
accanto all'uscio, sulla porta,
sporche di strade percorse in due.
Mi immagino
La nuvola di un ferro da stiro
che scivola liscio sul mare blu di una camicia,
nel tramonto di una domenica
che si consuma in un rintocco di campane.
Mi immagino
piatti pieni di pasta al sugo
e una macchia rossa sulla curva del tuo labbro
che invocherà le mie cure
tiepide di baci morbidi.
Mi immagino
le lancette stanche dell'orologio in cucina
che mi avvicinano sempre di più al tuo ritorno,
mentre confondo i rombi delle macchine distanti
con il suono della tua voce piena.
Mi immagino
l'aroma del caffè nella tua tazzina
sul fondo di un silenzio d'affetti,
la ventiquattrore sul pavimento,
come litigi consumati in un'ora
appassiti e spenti, uccisi da una parola.
Mi immagino
noi sdraiati su un piumone foderato di storie
a precipitare l'uno nei racconti dell'altro,
mentre districhiamo le coltri notturne
e riveliamo sogni che si corrispondono.
Mi immagino
di osservare lo schermo piatto
e nero di un plasma spento
e di accenderlo poco dopo,
di crollare nelle carezze notturne,
intanto lenta e annoiata passa
la nota stanca del telegiornale.
Vedo
seduti, io e te, sulla pelle chiara di un sofà
a ripetere il pretesto per cui ti ho portato qui,
tra le mura pericolanti del mio mondo,
mentre la vita intorno a me macina ed è macinata,
ma tu non mi guardi nemmeno.
Poesia scritta il 25/07/2016 - 14:52
Da Matih Bobek
Letta n.1078 volte.
Voto: | su 1 votanti |
Commenti
Originale scritto, molto affascinante. Ciaooo
Fabio Garbellini 26/07/2016 - 05:56
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Immaginazione fervida che spazia dalle casalinghe abitudini alle improvvise crisi, ben rappresentate da valigie davanti la porta, alla ferma volontà di far carriera (la ventriquattrore), fino al mesto pensiero dell'indifferenza.
Ma che bella poesia!
5*
Ma che bella poesia!
5*
salvo bonafè 25/07/2016 - 19:38
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Bella poesia...complimenti
Sildom Minunni 25/07/2016 - 19:15
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