A passi uniti,
marciamo sul dorso nudo
e aguzzo di rocce
di questo nostro monte.
La cima svetta candida,
squarcia un sentiero di nuvole.
Dista, dista ancora
e ancora di più se ti volti
a guardar fugace
ogni impronta lasciata dietro.
Tra i pendii si aprono brecce
di roccia fresca; è il monte
ad offrirci la dimora.
Quando il primo fiotto di luce
al mattino colora la vastità
della cupola che ci ammanta
di roseo candore, io sono sveglio
a vegliare sui nostri corpi impavidi.
senza far rumore, mi trascino
di fronte alla bocca di un burrone:
la vastità dell'assoluto
si estende dinanzi alla mia umanità
trascinandomi in un' impotenza
senza confini.
Raccolgo le mie piccole cose:
quelle che mi piegano il capo
in vorticose spirali di sabbia;
che impastano i miei sogni
in pozze di nulla;
che ci impongono
di condurre a stenti
un'esistenza misera e vana
sepolta tra i passi incerti
di quest'arida gente.
Raccolgo le mie grandi cose,
quelle che mi tengono distante
da te, e dal tuo spirito d'aria
che sfugge alle correnti;
che mi tengono distante da me
e dalle mie pure astrazioni
cristallizzate in gocce
d'armonia; che mi obbligano
a restare qui, dove sono ora:
in bilico tra gli abissi dei miei limiti
e apici di ignota beatitudine.
Raccoglo le mie cose, e le getto
nel buio del baratro.
Le sento schiantarsi sulla
ruvida roccia nuda,
frantumarsi nell'urto
con le aguzze lame
della pietra dura,
sgretolarsi in un fumo
sabbioso e toccare buie
il fondo, senza alcun suono.
Tutto questo, affronto io
prima che il sole baci il tuo volto:
ricompongo me stesso
e mi stendo di nuovo
e ancora al tuo fianco.
Ora e così.
Ed essere qui,
ad un passo dalla cima,
al riparo dalle intemperie
della nostra realtà,
solo
con te
è la mia beatitudine.
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