Le valigie stavano sul letto, disfatte, lascive
e uno sprazzo di sole si proiettava dentro la stanza,
giocando alle ombre cinesi sul muro
Un pianoforte ristava muto con tutti i tasti nudi,
nell’angolo e la mia governante mi aveva appena abbandonato.
Quanto mi manchi, cara, non lo puoi sapere.
Nutro sentimenti di vendetta e acrimonia
Che raramente ho percepito come miei.
Cerco di stivare più roba che posso in questa valigia,
ma starò via poco, non preoccuparti,
l’edera è cresciuta e ora adorna il nostro balcone.
C’è solo un impianto di refrigerazione che funziona,
lo tengo al massimo per rinfrescare questa casa calda,
proietto pensieri vuoti e sterili
che non fanno caso al fatto che tu manchi.
Sulla strada aspettano l’ora del pranzo e del riposo pomeridiano,
accecati, fuorviati, posti in fondo alla fine di un tunnel,
a riordinare vecchi manoscritti ormai sgualciti.
Mi capita tra le mani una tua vecchia spazzola
prendo qualche capello e lo osservo in filigrana,
è biondo, come quelli che porti attualmente;
mi manca l’odore dei tuoi capelli bagnati
costretti da una cuffia per non bagnarli.
Scriverei lettere piene di ardore e poesia,
ma non riesco a concentrarmi, sento la mancanza
di un senso in tutto questo.
E quella mancanza la puoi riempire soltanto tu.
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