Che ad inebriarmi
Furono le tue carezze
Ritenni non necessario
Averne conferma
Perscrutandole con gli occhi.
Riversavo in uno stato febbrile
Già da qualche giorno
E presumendo che fossi tu
A farmi da veglia
Non capii
Nel mio delirio
Del perché lo facessi.
Azzardai sovrapporre il tutto
Al mio momentaneo
Degrado mentale
Eppure il tuo tocco materno
Alimentava se non pochi dubbi
Sulla sua reale tangibilità.
Ristabilitomi
Raggiunsi il sepolcro
Sotto l’acero secolare
Sulla collina
E a d’esso mi prostrai sconfitto.
Era palese
Che ogni cosa dispiegasse
In un’unica direzione:
Sapermi vivo e al contempo
Distante dall’esserlo.
Nel tacito più assoluto
Reclinai la parte posteriore del capo
Sull’erba
E feci del celeste ammanto
Il mio fulcro visivo
Tu avvolta dalle turbini del sogno
E dalle mie deleterie illusioni
Concedesti la tua solitudine
E la tua menzogna inestricabile
( penso che questa poesia si evolva a pari passo della lenta presa di coscienza del protagonista, ma resta il dilemma su cosa possa essere davvero reale, a volte non si riesce dare un volto a ciò che ci circonda )
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