Tutte le mattine, da diversi anni, passava dal mio negozio anche solo per salutarmi. Era anziano, sicuramente vicino agli ottanta, un artigiano in pensione, un ex impagliatore di sedie. Un bel vecchietto, minuto di aspetto, dai pochi capelli ormai tutti bianchi e con un paio di baffetti sottili. Sempre in ordine e profumato anche se spesso indossava gli stessi abiti. Notai che ogni mattina era solito porre all'occhiello della giacca un garofano bianco. Era molto simpatico ed amava intrattenermi ogni volta con qualche storiella diversa. Mi aveva raccontato persino di quasi tutta la sua rocambolesca vita che, nonostante non fosse stata benevola nei suo confronti, aveva sempre apprezzato in tutte le sfumature. Mi parlò di quando all'inizio del 900, poco più che giovincello, era sbarcato in America con la sua famiglia, dei primi tempi terribili, una terra nuova, sconosciuta e con una linguaggio incomprensibile. Dei primi lavori umilianti e sottopagati, aveva persino fatto il lustrascarpe nelle stazioni. Si viveva in tanti nella stessa stanza, fredda d'inverno e calda d'estate e si accompagnavano le brodose minestre molte volte con solo del pane. Con il tempo le cose andarono migliorando, era riuscito a mettere da parte qualche dollaro ed aveva aperto un piccolo laboratorio artigianale, pochi metri quadrati, una piccola porta d'ingresso sulla quale una colorata insegna rettangolare mostrava il suo nome" Carlo Laface rush seating". Aggiustava le sedie di spago e non disdegnava anche se meno frequentemente di rappezzare qualche divano. All'interno una piccola scrivania sulla destra dell'ingresso ed in fondo un bancone con tutti gli attrezzi, li aveva trovati per pochi dollari al mercato dell'usato. Gli affari andavano bene e dopo pochi anni avendo messo da parte un bel gruzzolo decise di tornare in Italia. Era appena terminata la II° guerra mondiale e ricominciata la ricostruzione. Arrivato al suo paese d'origine, in provincia di Foggia e trovato prestissimo un piccolo negozio sfitto da tempo ne contattò il proprietario e dopo breve trattativa riuscì a comprarlo. Lo arredò e acquistò degli ottimi macchinari che gli consentirono persino di costruire in diversi formati le sedie e non solo di ripararle. Durante un viaggio d'affari per l'acquisto di legname conobbe una ragazza, Roberta, una signorina dalla corporatura esile ma di rara bellezza, dai lunghi capelli castani, gli occhi verdi e due labbra vellutate come pesca. Si innamorò e ne fu subito corrisposto, dopo pochi mesi divennero marito e moglie. Era talmente bella la Calabria e tra l'altro ricca di materia prima che pensò di spostare la sua attività. In breve tempo riuscì a vendere il magazzino in Puglia e ne acquistò uno nella zona centrale di Reggio Calabria. Erano gli anni del boom economico e tutto procedeva nel migliore dei modi. Gli affari andavano a gonfie vele. Il matrimonio procedeva felicemente anche se non ebbe la fortuna di avere figli. Era innamorato folle ed ogni giorno pareva sempre il primo giorno. Poi, verso la metà degli anni ottanta con l'avvento dei grandi centri commerciali che vendevano a prezzi molto inferiori e le nuove scuole di design le cose incominciarono a cambiare. Iniziò un lungo e debilitante periodo di crisi, forse in parte, dovuto anche alla sua incapacità di modernizzare l'azienda. Chiuse l'azienda, vendette per pochi spiccioli l'attrezzatura. Riuscì ad affittare il negozio e per fortuna, avendo sempre pagato i contributi, a ricevere una piccola pensione. Non era male comunque ed in fondo si sarebbe goduto qualche anno con la moglie. Aveva già fatto il progetto di un viaggio negli Stati uniti. Aveva parenti che lo avrebbero ospitato volentieri. Aveva già prenotato il volo e incominciato a fare programmi. Qualche mattina prima della partenza la moglie si sentì male e portatola d'urgenza in ospedale le fu diagnosticata una leucemia fulminante. Morì proprio il giorno stabilito della partenza. Tutte le mattine, prima di passare da me, andava al cimitero per portare un mazzo di garofani bianchi sulla tomba della moglie. Quel lunedì mattina alzai, come sempre, la serranda del mio negozio e vidi tra essa e la porta d'ingresso un piccolo garofano bianco, lo raccolsi, lo portai al naso per assaporarne il profumo. Pensai a Carlo, gli avrei detto del mio ritrovamento. Quella mattina non passò ed io guardando ogni tanto quel fiore mi chiedevo il perché. Era mio solito ogni mattina avvicinarmi alla bacheca degli annunci mortuari, vidi la sua foto, il suo nome. Il manifesto funebre portava il sabato come data della morte.
Racconto scritto il 04/01/2017 - 12:10
Da andrea sergi
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Voto: | su 5 votanti |
Commenti
Un racconto molto delicato e lieve, che passa leggero e malinconico. Bello.
Patrizia Bortolini 05/01/2017 - 12:20
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Anche questa è poesia, in prosam in racconto, ma conserva tanta poesia, il garofano bianco, la foto, una vita...bello
Sabry L. 05/01/2017 - 11:38
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Mi è piaciuto molto.Anche se triste , Carlo mi è passato accanto, col suo garofano bianco all'occhiello.
Teresa Peluso 04/01/2017 - 15:25
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Andrea
non "bella", sarebbe troppo poco
ma,meravigliosamente bella
non "bella", sarebbe troppo poco
ma,meravigliosamente bella
mi hai fatto incontrare Carlo
l'ho amato in queste righe...
ho pianto
laisa azzurra 04/01/2017 - 14:30
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Ben scritto e coinvolgente...con una chiusa un po' triste, 5*, buona giornata e buon anno!
Chiara B. 04/01/2017 - 13:44
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Molto triste e coinvolgente questo tuo racconto.
Giulia Bellucci 04/01/2017 - 12:56
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BEL RACCONTO ANDREA 5*
GIANCARLO LUPO POETA DELL'AMO 04/01/2017 - 12:19
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