Un più che decente marzo piacentino cominciato con l'alzabandiera con l'onore di comandare il plotoncino di una settantina di soldati.
Come caserma la “Cantore” lasciava molto a desiderare, era una sorta di accozzaglia di soldati che ricordava quelli di “Mediterraneo”: c'erano fanti, la maggiornaza, qualche paracadutista incappato in problemi di fumo o perchè scoppiato alla distanza, il bersagliere Silva ed uno proveniente dalla aviazione leggera, comandati da un tenente che sembrava uscito da un filmetto di Banfi, con tutte le decorazioni che poteva mettersi addosso. Un guerriero italico.
Visti tutti insieme eravamo variopinti: baschi neri, amaranto dei parà, fez del bersagliere e il basco azzurro dell'aviere leggero.
L'aviere leggero, come il Torre, era un raccomandato di Salsomaggiore ma aveva una golf cabliolet rossa con la quale, un pomeriggio, facemmo una puntata a Grazzano Visconti a berci un bianco dei colli piacentini con la macchina scoperchiata disquisendo di filosofia... Sembravamo Trintignant e Gassman ne “il Sorpasso”.
Alle 7,30 alzabandiera con il sergente imboscatore di vivande in proprio ed in conto terzi. Dall'alto delle camerate faceva gestacci il Rendinella ed il povero Pinto per il quale a seguito di una punizione, quello non sarebbe stato il giorno del congedo perchè doveva scontare una quindicina di giorni di punizione.
Poi la solita strada per l'ufficio.
In cosa consisteva il mio lavoro, perché ero stato destinato al “Consiglio di leva”?
Tutto avvenne perché il colonnello che dirigeva il “Consiglio di Leva” aveva bisogno, una volta andato in congedo il Chizzolini, un ingegnere di Parma, di avere qualcuno che potesse fungere da responsabile del gruppo di soldati che si occupavano delle pratiche riguardanti la selezione dei ragazzi.
Gli serviva qualcuno, magari laureato, di cui potesse fidarsi cui comunicare le cose da far sapere a tutti o a qualcuno senza doverlo fare sempre a tutti. Ero stato agevolato dal fatto che, provenendo dai ruoli di Marina, non avevo destinazione già assegnata, ero libero:
“Buongiorno Colonnello”
“Buongiorno Ballantini”
In questo ruolo mi sono sorbito anche i rimproveri che venivano fatti ai soldati, in quanto il colonnello mi chiedeva di essere presente, ma i rimproveri li sentivano tutti viste le pareti di cartongesso della stanza.
Il lavoro vero e proprio in realtà era una semplice compilazione che si faceva, standard, di tutti gli idonei alla visita dei due giorni, che erano la grande maggioranza.
C’era poi un’altra parte di lavoro che riguardava l’accoglimento dei ragazzi e la loro presa in carico controllandone i documenti d’identità e compilare la prima parte delle loro schede.
Infine la compilazione del verbale della seduta di leva con gli idonei, i rimandati, i riformati e ogni altra tipologia.
Cominciai la mia carriera con la parte dell’accoglienza, fatta direttamente in caserma, con i ragazzi che rispondevano all’appello e alle prime domande ai quali dopo aver preso i dati chiedevo spesso il significato del nome delle vie dove abitavano, specialmente quando non conoscevo il personaggio o la data. Oppure quando abitavano in vie come Togliatti, Mao Tse Tung, Che Guevara, Ho chi Minh...
Nella pausa pranzo, solitamente, non andava male, ma comunque eravamo obbligati a mangiare alla mensa. Non che ci fosse tanta scelta nelle pietanze, d’altra parte una parte delle vivande erano riservate agli ufficiali, altre portate a casa dai soliti noti e si sa, levi il cuore, ci rimane la testa e la coda….
Da un certo momento in poi, però, quando stavo per finire il servizio, con qualcuno del posto saltavamo il pranzo alla mensa, per andare in giro per ristoranti a prezzi modici, ma soprattutto alla “Pireina”, dal “Gnassu”, per un investimento sicuro in ingrassamento. Quattordicimila lire spese proprio bene.
Dopo il pomeriggio ed il rientro, l'ultima libera uscita alle 18.00, la sera, dopo le sei, non vedevamo l’ora di farci un giro e di non mangiare in caserma con gli orari ospedalieri; il nostro cuoco era in realtà un enorme pizzaiolo che la sera non voleva tirarla per le lunghe, dunque il “Carnacina” De Filippis ci proponeva “cordon bleu” o mozzarella e insalata.
Questa settimana mi ero portato la macchina fotografica per immortalare gli ultimi giorni del servizio. Il Tresconi, con il quale ci eravamo spinti fino a Cremona, era il fotografo addetto che mi immortalò in tutti i momenti più significativi: le foto dell'ultimo alzabandiera, dell'ultima guardia notturna alla De Sonnaz, quelle col maglione del colonnello, in ufficio ed in giro nel pomeriggio per Piacenza oltre che alla cena con alcuni invitati da un commilitone che aveva un ristorante sulle colline piacentine.
Per le cene, con alcuni colleghi, andavamo a una specie di mensa, dove mangiavano i ragazzi delle giovanili del Piacenza Calcio; un po’ asettico, ma dopo tanto sudicio patito nel locale di Falconara mangiando i buonissimi “Roscani all'anconetana” finalmente stavo nel pulito.
La pietanza, anzi le specialità vere e proprie erano i “pisarei e fasò” e “la picula ad caval” il primo e il secondo ideale, abbinato al barbera, per il clima invernale dell’alta pianura padana, specie a cena, con fuori la nebbia che ti lasciava gli indumenti inzuppati di acqua, e ti rendeva difficile ogni attraversamento di strada; ridotti come gatti mézzi ad attraversare alla svelta, perché le auto proprio non le potevi vedere che all’ultimo momento.
Dopo qualche cena alla mensa dei calciatori, cominciammo a variare il menù con pizze e birre. Il locale migliore, per la pizza, era uno vicino al “Passeggio Pubblico”. Ci andavamo spesso con il Grande Boss Brus, che aveva trovato un prete che gli faceva suonare l’organo di una chiesa, per rimanere in allenamento: il nostro musicista!
Pizze buone e prezzi modici.
Per bersi solo una birra dopo cena invece andavamo nei pressi della “Cittadella” dove c’era un locale che ne aveva una grande scelta, sullo stile inglese dei pub.
D’estate poi c’era anche la festa dell’Unità alla fine del “Passeggio” ad allietare le serate piacentine, che davano un’atmosfera familiare e ben conosciuta e una sera anche l’avvenimento dell’anno, il concerto di Fiordaliso, anche se dovemmo rientrare prima che finisse; ci sorbimmo solo, in piazza Cavalli, le canzoni in dialetto piacentino. Mancammo le hit in fondo al concerto, alle 23.00 dovevamo essere in caserma.
“Non voglio mica la luna”
Attraversato lo “Stradone Farnese”, vestiti da civili, eravamo pronti per la cerimonia dei congedi.
C'erano Matteucci da Lucca, Soriani da La Spezia e un paio di imboscati locali.
Fu ripristinata, col nostro scaglione, la cerimonia formale con la consegna dei congedi davanti a tutta la piccola caserma in abiti civili alla presenza del colonnello che voleva evitare goliardate che c'erano state in passato.
Insieme ai congedi del giorno dopo ci sarebbe stato dato anche il permesso per andare subito a casa. La cosa non fu fatta perchè il colonnello volle evitare rischi notturni. Potevamo andare via dalla mattina dopo.
Così ci salutammo fuori dalla “Cantore” accompagnati alla stazione dal Tresconi che avrebbe atteso l'arrivo del Colonnello Di Vita da Cremona.
“Treno diretto è in arrivo al binario sei ferma a: Fidenza, Fornovo, Pontremoli, Aulla, Santo Stefano magra, Carrara Avenza, Massa Centro, Forte dei Marmi, Pietrasanta, Viareggio, Pisa... e Livorno.
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