Sono in stazione Centrale, a Milano, e vedo tante persone che corrono. Staranno mica scappando da qualcosa? Forse c’è una bomba che sta per esplodere dietro di me e io neppure me ne sono accorto. Oppure qualcuno le rincorre e allora giustamente decidono di darsela a gambe levate.
Col senno di poi, mi accorgo che così non è, e non capisco il motivo di tutta questa agitazione, dopotutto non è successo nulla… Milano è ancora Milano e cosi lo è la sua stazione.
E proprio mentre sto fermo su quello spazio un po’ rettangolare e un po’ obliquo, proprio di fronte ai treni, dove i più, trepidando, aspettano il ritorno della propria anima gemella, o di un fratello che non vedono da tempo, o magari dell’amica d’infanzia, io non aspetto nessuno. E nessuno aspetta me.
E le persone continuano ad agitarsi come molecole di una sostanza che cambia stadio troppo velocemente, e mi sembra di venir risucchiato da un vortice che incatena i pensieri e rilassa il corpo. Io sto sempre fermo, chi si muove.
Sono quelll’osservatore immobile a cui nessuno farà mai caso; io non aspetto nessuno e nessuno aspetta me.
Ma forse nemmeno tutti quelli che si incontrano aspettano realmente qualcuno, o qualcosa. Magari farlo è oramai abitudine, magari sono profondamente stanchi. Di quella stanchezza di cui, realmente, non ci si stanca mai.
Ma viviamo in mondi separati da universi inconciliti e mezzi vuoti.
E mentre i miei sguardi provano a toccarne altri, inutilmente, mi pervade l’indifferenza immonda, quasi come se la metamorfosi fosse completa e io fossi diventato come Loro. E allora fuggo, perché non aspetto nessuno e nessuno aspetta me, e incito il treno a scappare il più velocemente possibile da lì.
Col senno di poi, mi accorgo che così non è, e non capisco il motivo di tutta questa agitazione, dopotutto non è successo nulla… Milano è ancora Milano e cosi lo è la sua stazione.
E proprio mentre sto fermo su quello spazio un po’ rettangolare e un po’ obliquo, proprio di fronte ai treni, dove i più, trepidando, aspettano il ritorno della propria anima gemella, o di un fratello che non vedono da tempo, o magari dell’amica d’infanzia, io non aspetto nessuno. E nessuno aspetta me.
E le persone continuano ad agitarsi come molecole di una sostanza che cambia stadio troppo velocemente, e mi sembra di venir risucchiato da un vortice che incatena i pensieri e rilassa il corpo. Io sto sempre fermo, chi si muove.
Sono quelll’osservatore immobile a cui nessuno farà mai caso; io non aspetto nessuno e nessuno aspetta me.
Ma forse nemmeno tutti quelli che si incontrano aspettano realmente qualcuno, o qualcosa. Magari farlo è oramai abitudine, magari sono profondamente stanchi. Di quella stanchezza di cui, realmente, non ci si stanca mai.
Ma viviamo in mondi separati da universi inconciliti e mezzi vuoti.
E mentre i miei sguardi provano a toccarne altri, inutilmente, mi pervade l’indifferenza immonda, quasi come se la metamorfosi fosse completa e io fossi diventato come Loro. E allora fuggo, perché non aspetto nessuno e nessuno aspetta me, e incito il treno a scappare il più velocemente possibile da lì.
Racconto scritto il 14/01/2019 - 18:32
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Commenti
Bellissimo questo avvincente racconto.
Antonio Girardi 16/01/2019 - 10:46
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Assolutamente d'accordo
laisa azzurra 15/01/2019 - 13:18
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Grazie mille. Sono sempre Loro, gli indifferenti, quelli da cui tutti dovremmo scappare.
Alessandro Pellei 15/01/2019 - 01:22
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Molto particolare
Un punto di osservazione speciale
Bello e profondo
Un punto di osservazione speciale
Bello e profondo
laisa azzurra 14/01/2019 - 23:00
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