Sono sempre più numerosi gli studi e le ricerche che mostrano che il contatto fisico è sempre più raro.
Nonostante le relazioni si moltiplichino – siamo tutti sempre connessi, attenti al numero di follower e ai “mi piace” sui nostri post o sulle nostre foto, chattiamo, conversiamo, ci scambiamo video – quando si tratta poi di passare dal virtuale al reale, entriamo in uno stato di agitazione e ansia. Siamo talmente tanto abituati ad essere in contatto con le altre persone attraverso la barriera dello schermo o della tastiera dei nostri computer, dei nostri tablet e dei nostri smartphone che, quando ci ritroviamo poi di fronte ai nostri interlocutori, ci irrigidiamo, ci imbarazziamo, non sappiamo più bene come comportarci. E ora che faccio? Mi avvicino e gli stringo la mano oppure resto immobile e aspetto che sia lui o lei a fare la prima mossa? Gli do un bacio sulla guancia e lo abbraccio oppure non ci provo nemmeno?
Con le tastiere e gli schermi è tutto facile – niente odori, niente contatti fisici, niente corpo, appunto. Si possono stringere rapporti veloci ed efficaci senza l’imbarazzo di questo corpo che “siamo” e che “abbiamo” e che, sempre più spesso, viviamo come un peso. Basta riflettere qualche secondo, e una risposta da dare la si trova sempre. Al limite, se c’è una webcam, si può anche fare lo sforzo di abbozzare un sorriso, tanto non costa niente. Anzi, non costa affatto. Le tastiere e gli schermi ci proteggono e funzionano come delle maschere, che inesorabilmente cadono. Però quando dal virtuale e dall’immateriale si passa alla realtà – le mani indurite dal lavoro, le rughe di un dolore mai sopito, le occhiaie delle notti insonni, segni e tracce della nostra storia e del nostro passato – le maschere cadono e ci si scopre fragili.
Tra le condizioni che fanno sì che ciascuno di noi sia differente da tutti gli altri, il corpo occupa un posto d’onore. È grazie al corpo che ognuno è esattamente ciò che è: un individuo specifico che entra in relazione con gli altri; un “io” unico che riconosce nell’altro un “tu” altrettanto unico. All’origine della condizione umana, come scrive il filosofo francese Gabriel Marcel, c’è sempre «una specie di sconfinamento del corpo sull’io». Cosa resterebbe allora di questo “io” se cancellassimo il contatto fisico e ci accontentassimo di un corpo muto e assente? Senza un corpo che lo assapori e talvolta ne sia anche ferito, il mondo non finirebbe per essere privo di amore e, quindi, del tutto inabitabile?
Hetan
Voto: | su 0 votanti |
Nessun commento è presente