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Pasta e speranza

- pensieri scritti un mese fa -


Pasta e speranza


Lo batto ritmicamente sul tavolo, facendolo rullare quasi con maestria, con decisione e vigore ma senza inutile irruenza.
Le mie braccia sembrano mosse da una forza che arriva da un posto lontano, un posto probabilmente a me sconosciuto e così lontano da giungere da quell’anello della mia memoria che si lega a quella degli avi e che riaffiora, tintinnante, in momenti cupi, come a proteggere e guidare i miei pensieri.
Sono chiusa in casa, come tutti, e in realtà non ne sto soffrendo affatto. Non so perché, forse sono talmente stordita da esserne rimasta instupidita e anche se capisco che siamo nel bel mezzo di una tragedia non riesco a crucciarmene.
Non conosco la noia ed ogni giorno riesco ad occupare il tempo in attività diverse: rivolto casa come un calzino, faccio il pane, intestardita finché non trovo la preparazione a me più congeniale, faccio i dolci, studiando abbinamenti insoliti ma proposti con autenticità dalla natura stessa, curo i fiori, ho fatto tre lezioni di russo online, quelle gratuite, ed ora, vista la carenza mi sto dedicando a cucire le mascherine per donarle a chi non le possiede.
Ho l’impressione che per i mesi a venire diverranno un accessorio obbligatorio.
So che dopo tutto questo insolito periodo mi troverò, come milioni di persone, ad affrontare giorni tormentati e a prendere decisioni tutt’altro che facili e piacevoli.
Il dopo sarà un’onda che si scaglierà sulla mia vita, ma per il momento è lontana e non riesco a pensare a come organizzarmi per arginarla.
Ieri sera hanno suonato il campanello e quando ho aperto ho trovato mio fratello che, con il braccio teso, mi ha donato una ricotta appena fatta, calda e cremosa, dolce come un gesto d’amore, saporita come la storia della mia terra, emozionante come la solidarietà.
Ho deciso di fare dei ravioli, e così ora mi trovo a stendere la pasta ed ogni colpo del matterello sulla spianatoia è un flash di antichi ricordi che mi fanno lavorare con un sorriso sulle labbra.
Stamattina io e mio marito siamo andati a controllare il locale, che si trova in un altro comune. Per effetto della strana regola lui guidava mentre io ero seduta dietro al sedile del passeggero: strano davvero che in pubblico dobbiamo tenere le distanze mentre a casa dormiamo nello stesso letto.
Gli ho chiesto di guidare piano, ché avevo bisogno di guardare la primavera. Ho aperto il finestrino ed ho fatto entrare l’aria tiepida e pura, i profumi ed i pollini, il silenzio e la ricchezza di quel che mi manca.
I prati verdi sono macchiati di splendidi ed intonsi colori, i mandorli hanno perso i fiori e al loro posto ci sono dei piccoli frutti di velluto verde, le pecore pascolano, incuranti dei miei sguardi, dei miei pensieri e delle mie paure. Ho capito che il mio passaggio dovrà essere lieve, silenzioso e discreto.
Eccoli lì, i vasi sul marciapiede sono tutti in fiore: le bouganville si stanno allungando, i gladioli sono sbocciati, come ogni anno, ma questa volta ero assente per festeggiare il loro aprirsi al mondo e per godere del loro semplice dono e nella veranda c’è un’esplosione di colori grazie alle petunie che avevo piantato qualche giorno prima della chiusura, perché tutto fosse pronto per accogliere i primi turisti stranieri; le erbe aromatiche sono verdi e profumate e le piante all’interno sono rigogliose e cariche di nuove gemme.
So che non andrà tutto bene, perché il rischio che le cose vadano a rotoli è molto alto, rendendo vano ogni sacrificio ed ogni rinuncia fatta, però mi guardo attorno e tutto mi parla di vita e di forza. E’ come se il locale fosse abitato da magiche entità, come se le pareti trasudassero calore ed energia e non posso che farmene travolgere e sperare che la batosta non sia troppo violenta, sperare che le cose imparate siano validi strumenti per non soccombere.
Avrei voluto allungare il percorso fino al mare, là vicino, ma non si può, non avremmo avuto una giustificazione valida per poterlo fare nel caso fossimo stati fermati dalle forze dell’ordine, ma mi manca, e quando tutto finirà cercare il suo eloquente movimento sarà la prima cosa che farò.
No, non cercherò la folla, gli abbracci ed il caos: sarà il silenzio la mia meta.
Giro decisa il matterello e quel ritmo e quella determinazione mi rassicurano, è un concerto armonico che mi riporta indietro nel tempo, quando le donne della mia famiglia facevano il pane, la pasta e i dolci e noi bambini, impregnati di fantasia ed innocenza fondevamo la nostra irruenza con il profumo del lentisco bruciato nel forno.
Oggi mi trovo sola nel legarmi ai fili della storia, senza risate e senza chiacchiericcio ma con le stesse aspettative nel futuro che avevano quelle donne, alcune delle quali hanno conosciuto la miseria e la guerra, quelle vere, che sono riuscite a superare con determinazione, senza sogni e con la pancia vuota, ma senza mai rassegnarsi.
E in questa strana sfida tra il passato ed il futuro mi vedo dentro un’immagine colorata dal blu del mare e dal verde dei ginepri, mentre con il mio profilo volitivo, piccola eredità delle donne del mio passato, osservo lontano, con rispetto e senza timore.




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Racconto scritto il 08/05/2020 - 20:35
Da Millina Spina
Letta n.759 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


L'ho letto con piacere!
Il pane è uno dei riferimenti più solidi nella vita...così almeno dovrebbe.
Ciao!

Grazia Giuliani 09/05/2020 - 19:11

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Ho divorato questo testo, scritto molto bene e che racconta pensieri e vita vera, come vorrei divorare le cose buone che cucini! Bravissima!

Anna Maria Foglia 09/05/2020 - 10:37

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Sempre brava Millina.

Antonio Girardi 09/05/2020 - 10:01

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Buongiorno Millina e bentornata con questi pensieri che raccontano piacevolmente momenti di vita tra passato e presente con un sguardo al futuro... mi sono trovata dentro l'anima dell'isola aspirando i vari profumi che il tuo scritto emana. Profumo di pane e profumo di vita!!!

Margherita Pisano 09/05/2020 - 09:49

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