Ricordo come fosse ora, quelle tremende giornate cariche di torrido calore; che senza chiedere il permesso a nessuno rubavano quelle poche brezze, che miracolosamente si ponevano fra noi come mediatori per alleviare le sicure sofferenze causate da un afa che inesorabile e responsabile imperversava; mettendo a dura prova le nostre poche riserve di sparute frescure a dir poco rarefatte. La gente per ripristinare il maltolto cercava rifugio sotto i grandi portoni; dove per un momento, ma solo il tempo di un istante il forte calore veniva temporaneamente sottomesso dalle grandi mura di cemento; che data la loro ubicazione, facendo da paratia, assorbivano la gran parte di questa energia a dir poco esagerata. Mentre tutti o quasi, boccheggiavano come pesci sorpresi dalla bassa marea, in lontananza s’udiva il melodioso e prolungato suono, quale richiamo per manifestare la sua benvoluta presenza. Era la zia Francesca che stava arrivando con il suo variopinto carrettino spinto a mano, carico di ghiaccio e di bottiglie colorate da svariati gusti e sapori. Noi, piccoli muniti di caraffe e contenitori di sorta, nell’udire il melodioso richiamo accoravamo in tutta fretta uscendo dai maestosi portoni; per poterci ritrovare poi, ad assaporare in ogni sua parte, il delizioso ghiaccio tritato. Ad ogni portone era una festa, la gente componendo un cerchio intorno alla suo carrettino osservava con somma felicita al fare della macchinetta, che con dolce armonia accarezzava quell’enorme blocco di ghiaccio il quale andava assottigliandosi sempre più dopo innumerevoli colpi. Cosi colpo dopo colpo, il ghiaccio spariva dal carretto e prendeva forma e colore nei nostri bicchieri per dare sollievo a nostri corpi sofferenti per il torrido sovrano.
Racconto scritto il 21/10/2020 - 08:41
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