C'erano tutti.
La sera del giorno di Natale.
Da sempre il Natale, o il secondo giorno, eravamo da lei ad Antignano; stavolta le condizioni di salute la relegavano in ospedale ma quasi per un accordo c'eravamo dato appuntamento tutti in quella stanza. Ancora una volta nonna Albertina riusciva a passare il Natale con noi, nipoti, figlie e parenti prossimi. Ci aveva tacitamente convocato.
Che differenza c’è tra una stanza piena e una vuota? Enorme. E la sua era colma, e poi noi continuavamo a parlare di cose varie, non solo di lei, era una riunione familiare. Per lei, l’osservazione dal suo letto, l’immagine della vita che sarebbe continuata.
L'ultimo atto non poteva che essere così, davanti a se aveva tutte persone che, in sua mancanza, non ci sarebbero state o comunque non si sarebbero mai conosciute tra loro.
Non eravamo più all’ospedale, anche gli odori del Natale ce li eravamo portati da casa, li avevamo sui vestiti, sui capelli e sulle facce tristi. Ma li avevamo.
Era il giorno dell’ultima volta, e meglio non avrebbe potuto essere.
Quando mi sono avvicinato per salutarla le ho dato un bacio sulla fronte. Non glielo avevo mai dato.
“Poi torno a trovarti” le dissi
“Ciao.” – mi disse piano.
“Come nonna?”
“Ho detto ciao.”
Io non lo sapevo, ma lei sì, che sarebbe stato l’ultimo.
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Cinque stelline! Bravo!
Righe colme di afflato, che arrivano al cuore, peraltro fornendo al lettore un qualcosa di partecipato, un vigore drammatico ma mai eccessivo, del resto i pre-commiati sono l'anticamera della malinconia. Confermo che gli elementi primari del costrutto trovano una giusta collocazione.
(segue)