di vita striminzita,
fra gli stenti
raccatta miseria e sporcizia,
racimolate briciole di scarto.
Il povero coglie a fatica
come un uccellino affamato,
strisciando sulle strade del bisogno
implora disperato
amore non ricambiato.
Elemosina disprezzo
perché immondo
è quell'essere sporco
neppure degno del rispetto:
irriverente sguardo passa oltre
il muro dell'indifferenza
tra opposte e inconciliabili esistenze
che all'estremo bivio si dividono
incrociano sorti parallele
non per scelta
ma per volontà del cieco destino.
Lo chiamano barbone
per il puzzo di cane insopportabile
assimilato a un animale randagio
che vagabonda qua e là senza meta.
Così randagia è l'anima
un poco si arrangia in cerca di fortuna,
viaggia sbandata da una panchina a un'altra
stringendo a sè una bottiglia vuota
in cui riversare i propri mali
che per disgrazia son piombati.
Sotto un tetto di stelle trova riparo dalle maldicenze
il cielo compassionevole un po' consola,
ma ricolmo è il piatto della solitudine
a cui si accostano le labbra secche,
dal sole prosciugate.
E'la fame che divora e non sazia
quell'uomo macero
invecchiato prima del tempo,
trascina i passi sfiniti
le scarpe consumate
dal fango dei giorni ingrati
sulla radura deserta
sgombra di mani
che offrano aiuto,
l'umano conforto
che ci si aspetta.
Cammina schivando le pozze nere di pioggia
per non doversi riflettere in uno specchio di lacrime
e provar di sé vergogna,
della malcapitata sorte
che inveisce come implacabile punizione.
Scaricato come rifiuto umano
gettato in disparte,
non merita attenzione,
neppure di essere salvato
dalla mano di Dio
misericordiosa.
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