varcai il confine che delimita il ponderabile dall’imponderabile,
agitando sciarpe e aggrappandomi all’ultimo
lembo di terra rimasto.
Gli alberi, alti calici fluorescenti, brillavano nella notte,
e il mio io sconquassato tintinnava come bicchiere contro bicchiere.
Era la notte e poi fu di nuovo il giorno
mentre l’acqua mi saliva alla gola.
I pochi proseliti rimasti intonavano canti pastorali,
le loro ugole stridevano e i loro passi rimbalzavano sul cemento.
Ascoltai il loro canto come se fossero le ultime note che avrei sentito.
Le campane scivolavano nell’aria come zoccoli di legno.
Vittima di un raggiro o più semplicemente di uno sbaglio
provai a cambiare la testa con la croce,
ma ottenni solo un picchetto di protesta sotto casa,
tutto questo mentre l’acqua mi saliva alla gola.
Ancora euforico e sbadato piansi come un neonato
mi accinsi a dare gli ultimi saluti ai miei compagni
indossando una maschera di pudore e mestizia,
rallegrandomi di aver perduto.
Stanco e spossato dipinsi qualcosa sul selciato,
prodromo di quello che m’aspettavo accadesse,
e zufolai un lieve motivetto che ammorbò l’aria,
mentre l’acqua mi saliva alla gola.
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o piuttosto un incubo?
l'ultimo giorno di vita?
o piuttosto di una vita che ti accingi a cambiare?
che tu abbia perso e ne sia felice
è comunque, il risultato di un cambiamento.
complessa, articolata, diversa, intelligente...come tt le tue