che questo sarebbe stato
il suo ultimo Natale.
Sentiva dento di sé
che era arrivato il tempo di salire
le sue ultime, poche, faticose, scale.
Quelle che simboleggiano
le difficoltà oramai abbandonate,
le giornate ombrose, le assolate,
quelle fredde gelide
del tutto dimenticate.
Finalmente era arrivato il tempo
della sua ultima, definitiva, partenza,
quella da troppo tempo
da lui tanto aspettata.
Presentiva d’essere liberato adesso,
per sognare, spaziare in quella
sua destinata e finale meta,
vista in lontananza.
Non aveva più tempo nemmeno
di salutare chicchessia,
neanche un bimbo
che passava innocente per la via.
Solo desiderava concentrarsi e recitare
con inteso amore,
la sua ultima, preziosa, Ave Maria.
Il suo sguardo,
l’animo rigonfio d’amore,
erano già protesi tutti nell’infinito.
Si sentiva sereno e lieto, perché
questa vita terrena, oramai
non lo sfiorava più,
nemmeno con un dito.
Diceva, a modo suo, Addio a tutto
ciò che lo aveva non poco deturpato dentro,
sfiancato, logorato, sfinito.
In compenso,
lasciava intatto dentro di sé, quell’estro
con cui s’era sempre consolato.
Percepiva d’essere più leggero,
come l’ultima foglia gialla d’autunno,
quella pronta per baciare
la sua premurosa
Madre Terra in una fossa;
per ricoprirsi poi, finalmente,
della polvere incantata,
dando in cambio di sé tutto,
finanche le sue ossa.
Oramai le parole le ha disperse tutte
Al vento e dall’alto di un monte innevato.
Vivrà finalmente lassù,
in quell’eternità
che ha da sempre desiderato.
Quel compagno presto se ne andrà
verso la sua definitiva destinazione,
senza chiasso,
ricordando a tutti,
che non c’è miglior amico
che se stesso.
(L’immagine allegata al presente brano è un disegno ad acquerello dello stesso autore)
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