“Questa non è la mia storia e non sono sicuro (o sicura) di volerla raccontare, né di avere voglia di parlare dei miei sentimenti con degli estranei su un sito web. Suonerebbe fasullo, in un certo senso, nient’altro che un espediente per attirare l’attenzione. Ma ho delle cose da dire e devo farlo.” (dall’incipit di “Non ti credo” di Sophie Hannah, un thriller pieno di colpi di scena in cui alla protagonista è successa una cosa terribile, umiliante e spaventosa, che ha giurato che non l’avrebbe mai rivelato a nessuno. Ma succede qualcosa di grave che si decide a non convivere più con i segreti.)
Io confesso
a distanza di trenta anni ho chiesto allo studio del notaio Di Giacomo, di rendere nota questa mia.
Tutti sappiamo della mia morte avvenuta per mano del regime che oggi ci tiene sotto il suo giogo. Spero vivamente che, a distanza di tanti anni, la dittatura sia finita attraverso la progressiva presa di coscienza della popolazione sulla natura del regime che oggi ci opprime.
La mia morte avrà certamente provocato un ampliarsi dei sentimenti di ostilità, che vedo oggi sempre più manifestarsi nella nostra città e nella nazione in generale.
Per rendere omaggio alla realtà, però, voglio confessarvi, anche se in maniera postuma, la realtà di questi giorni.
La causa della democrazia e del riscatto di tutto il nostro popolo, sono stati per me la pietra miliare, il faro a cui volgere sempre il mio sguardo, il fine da perseguire senza incertezze e con tutti i mezzi. Non è stato lo spirito machiavellico che mi ha spinto a progettare ciò che ho fatto, ma quello di rendere un servigio, di essere agevolatore, di dare un contributo alla fine della dittatura.
La sostanza della giusta causa, non può interferire con l’azione delle persone per mano delle quali procede, né con le loro motivazioni personali.
Vi confesso oggi che la mia uccisione, trenta anni fa’, non sarà stata opera del regime che combattevo, ma dei miei stessi compagni di lotta. D’accordo con me.
Il Danti, il Marchi e lo Scotti hanno eseguito ciò che io gli avevo ordinato.
Oramai mi restano pochi mesi di vita lucida, prima che la malattia mi renda estraneo a me stesso, così ho pensato di fare della mia vita una vita martirizzata per una causa superiore.
L’omicidio, lo sapete, avverrà nel bar in piazza, come previsto. Il Danti mi sparerà e gli altri due si occuperanno di testimoniare che l’omicida sarà scappato dal retrobottega, concordando con le caratteristiche somatiche non identificabili. La colpa del misfatto cadrà su un complotto del regime al quale mi sono sempre opposto.
La scelta dell’assassinio è stata mia, potevo scegliere di uccidere qualcuno, di preparare un piano per assassinare il dittatore, magari con l’aiuto degli amici, ma non eravamo in grado.
Era una questione pratica, non ci si può ingannare sulle proprie capacità al punto di rendere inutile anche il sacrificio. Non sarebbero stati capaci. Non saremmo stati capaci. In fondo siamo solo dei contadini; sarebbe stato difficile ordire un piano complesso, coordinarci senza tradirsi, usare le armi in maniera opportuna, magari anche contro altri. Ci saremo bloccati, e avremo fallito.
L’orrendo crimine sarà, lo spero, comunque ascritto al regime, a maggior ragione non trovandosi un colpevole.
Non mi dilungo oltre. Da ultimo sollevo, esplicitamente, il Danti, il Marchi e lo Scotti, che non sono a conoscenza della presente, da ogni responsabilità, se sono ancora vivi, e li saluto con affetto, certo che il mio sacrificio non sia stato comunque vano.
Saccaccini Olindo, 9 settembre 1936
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5* e lieta serata. Aurelia