QUANDO LA VITA VALE NIENTE
Altro che!
Accadono pure nei nostri tempi moderni, ve lo posso assicurare, e questa storia sui generis, la voglio pure cominciare, perché no, con quella solita, logora, quanto antica frase: “Cera una volta…”.
Se volete, potete pure crederci… anche se, all’apparenza, potrà sembrarvi strana, surreale, inventata da chi, a forza, vuol costruire, come un abito su misura, una storia con un “incipit” ben preciso, prestabilito…
Comunque deciderete voi se questa è una fiaba o la realtà, non tanto rara, nei nostri tempi.
Stavo dicendo… c’era una volta, o sarebbe meglio dire, era arrivata da qualche anno in città, una prostituta di nome Veronika, bellissima ragazza proveniente da uno dei paesi dell’est.
I tratti del viso si presentavano amorevolmente regolari, aggraziati, con quell’espressione straordinariamente bella da donna, apparentemente, irreprensibile.
Veronika, dalla pelle rosea e delicata, gli occhi intensamente celesti e limpidi, si faceva ammirare da tutti e poi, pure quel decolté scollacciato, metteva in bella mostra quel grembo dal colorito latteo e morbido, ben tornito privo, come sempre, del reggiseno.
Quella bella ragazza, con quel fisico mozzafiato aveva attirato, com’è facile immaginare, gli appetiti, i pensieri morbosi insaziabili degli uomini, soprattutto dei giovani disposti a fare qualsiasi cosa pur di trascorrere un’ora d’amore intenso, sfrenato, proibito.
Nelle fantasie erotiche di quei giovanotti, Veronika perciò era diventata “oggetto assoluto del desiderio”, per questo occupava già il primo posto nella loro immaginazione sconfinata, lasciata a ruota libera.
Su di lei si vociferava in certi ambienti loschi, che fosse una donna abile ed esperta durante gli amplessi d’amore, più di chiunque altra finora conosciuta e immaginata in quel circondario.
A questo punto è facile identificare in questa ragazza l’ambita donna squillo, cui molti squallidi individui ricorrevano per soddisfare le loro esigenze virili represse, insaziabili, magari perché mortificati, secondo loro, dalla solita, avvilente routine.
Come tutte le prostitute, era nata vergine, innocente e nell’adolescenza aveva sognato di incontrare l’uomo della sua vita, di sposarsi e di avere dei figli e una bella casa…
Certo… era naturale che avesse simili candidi pensieri, normali aspirazioni, sogni comuni a quell’età…
Quale giovinetta al suo posto non li avrebbe fatti!
Costituivano irrinunciabili ideali su cui crogiolarsi e immaginare il futuro roseo.
Si sa poi che la realtà è ben diversa, tanto più Veronika doveva fare i conti con l’indigenza, con la povertà della famiglia d’origine, per cui, poco per volta, l’innocenza cedette il passo alla praticità, alla sfrontatezza alla scortesia, perfino alla volgarità, agli atteggiamenti ambigui e indecenti, complice la sua bellezza, resa ancora più irresistibile dalla giovane età.
Indussero in breve tempo Veronika, o meglio dire, la portarono a esercitare un mestiere, anzi “quel mestiere” tanto antico.
Si avviò, poco per volta, al mondo corrotto, depravato, degenerato, pervertito della prostituzione.
Quella, davvero, costituisce un’infima realtà, se non addirittura l’illusione di vivere nella società perché diventa, senz’altro, un tunnel senza via l’uscita; un modo di sopravvivere da reietti ai margini della collettività e rende l’esistenza della prostituita spoglia, privata della propria identità, non solo d’essere umano ma essenzialmente di donna.
Come se non fosse più se stessa, come se quel mascheramento, quel trucco appariscente non facesse assolutamente parte del proprio essere donna, ma servisse per occultare la vera identità, sottraendosi in quel modo, alla vista dei suoi profittatori.
Così lei imbrattava il volto, come a volersi sdoppiare, camuffare, rinnegare se stessa, anzi estrapolarsi, occultare la sua originaria innocenza, proteggerla da quell’ambiente degenerato, diventando un’altra persona caduta nel più basso degrado tanto da offrire, come mercanzia, il proprio corpo in cambio della sopravvivenza…
Sì davvero quella poteva definirsi “misera esistenza” perché Veronika svendeva il bene più caro, quello personale, intimo, sacro, che mai nessuno dovrebbe contaminare con l’abuso, con la sopraffazione, pagando denaro sporco.
Il pagamento stesso del cliente, costituisce pur esso un abuso, perché il corpo non dovrebbe mai essere oggetto di mercanzia perché sede dell’anima, dello spirito, dell’immortalità.
Accettava, subiva gli eventi della svendita di se stessa, che a volte risultavano violenti, sanguinari con smodatezze, eccessi, stravizi, costrizioni, sottomissioni indicibili.
Veronika forse non se ne accorgeva, ma scivolava, giorno dopo giorno, nel disonore, nell’immoralità senza via d’uscita.
Intanto passavano gli anni, pur non di meno Veronika manteneva intatti quei lineamenti e quel fisico eccezionali.
I clienti la ritrovavano di sera o di notte, lungo quel marciapiede e sotto quel lampione in quel solito posto alla periferia della città.
Non era raro vederla con qualche livido in corpo, con tumefazioni varie che lei stessa tentava nascondere, di superare, pur di guadagnare la serata e mettere i soldi da parte per la vecchiaia e per gli imprevisti vari della vita.
Oramai non badava più chi fossero i suoi clienti frequentatori e certe volte, neanche li voleva guardare in viso perché aveva deciso e promesso a se stessa che qualunque uomo, per lei, poteva andare bene, purché pagasse e pure profumatamente.
Sembrava che la vita di Veronika scorresse in apparenza “normalmente” in quell’ambiente depravato, tra alti e bassi, con i rischi connessi, messi in debito conto, se non fosse stato per la presenza di quel delinquente, quel suo sfruttatore di nome Giovanni, individuo che ai primi incontri con la ragazza, si presentò gentile, cortese, garbato e rispettoso.
Nella realtà, dopo averla ingannata, circuita con false promesse di un possibile, probabile matrimonio, poi con l’assicurazione di una casa tutta sua e la prospettiva di una famiglia per bene come tante altre normali… Veronica, pur ritenendosi esperta delle cattiverie del mondo perché donna di grande esperienza, cadde purtroppo nel tranello ingannevole di quell’apparente fidanzato innamorato.
Così si dichiarava all’inizio quel furfante, proprio “fidanzato”, perfino amorevole e premuroso.
Ben presto invece rivelò la sua perfida natura di sfruttatore incallito, violento, pretenzioso e inflessibile; un mantenuto, un vero protettore o meglio dire un pappone, un avvoltoio di prostitute.
Era questo in realtà il mestiere che quell’infido uomo svolgeva nella vita, un perfetto delinquente parassita.
Intanto passava impietoso il tempo e Veronica cominciava sentirsi davvero stanca di quella vita che non le permetteva mai sosta e nemmeno un giorno di riposo a causa di quel vessatore che la obbligava a turni di prostituzione continui giacché la ragazza era ben “quotata”, perciò costituiva inesauribile fonte del suo ingordo guadagno.
Quella mattina però, appena l’alba la ragazza, terminato il suo lavoro, stanca, avvilita, distrutta per quell’attività che cominciava a pesarle e che considerava non più sostenibile anzi repellente, ebbe il coraggio di dire chiaramente a quel magnaccio:
- Ascoltami Giovanni, mi sono davvero stancata e non ce la faccio più a sostenere questo lavoro che comincia a disgustarmi.
Ho bisogno di riposo, d’allontanarmi da questa misera realtà.
Mi sento sfruttata e oltre ad essere maltrattata soprattutto da te, ho capito che è meglio che ritorni nel mio paese.
Tu trovatene un’altra.
Voglio cominciare respirare quell’aria pulita che ho lasciato nella mia città d’origine quel giorno maledetto in cui mi sono trasferita qui.
Non ebbe nemmeno il tempo di finire quella frase che Veronica fu aggredita da quel violento, prima da insulti e, subito dopo, da una sberla, scagliata con tutta la sua forza distruttrice che deturpò crudelmente quel bellissimo viso, ancora mantenuto fresco dalla giovane età.
Quella violenza sfrenata, improvvisa, ingiustificata procurò a Veronika la fuoruscita di molto sangue dal maso e dalla bocca.
Quel malefico individuo non si placò, anzi s’inalberò talmente da iniziare a gridare a squarciagola come un ossesso sfrenato.
Cominciò a inveire, a picchiarla con brutalità e con tutta la rabbia in corpo, per aver osato meditare liberamente.
Proprio così, perché secondo il suo convincimento, Veronika non aveva diritto, non doveva pensare, tantomeno prendere alcuna decisione che spettava solo a lui.
Non soddisfatto, inveì poi con pugni e mentre la ragazza cadeva per terra tramortita, quel disgraziato degenerato, continuava a dare calci, colpendola in qualsiasi parte del corpo capitasse.
Si contorceva la ragazza dal tremendo dolore e mentre quegli continuava a imprecare e minacciare con quel tono pauroso, di scatto aprì la porta aggiungendo i suoi ultimi avvertimenti.
- Ascoltami puttana da quattro soldi!
Io ti ho permesso finora una vita agata e se mi farai incazzare, ti rovinerò in qualsiasi modo, anche a costo di sfigurare quella tua faccia rimasta angelica ma corrotta da questa tua vita da prostituta.
Ricordati che sono io che comando, decido, e non permetterò mai che tu possa usare il cervello senza il mio permesso, perché alla tua vita ci penso io che sono il tuo padrone assoluto.
Sono io che la governo e la gestisco a mio piacimento.
Ricordatelo.
Hai capito bene adesso?
Se non lo hai ancora compreso, ti accontenterò col resto di legnate!
Chi saresti senza di me?
Proprio nulla.
Preparati piuttosto che stasera dovrai darti da fare perché da qualche tempo stai rallentando il ritmo del mio guadagno.
Me ne sono accorto sai?
Non metti più quella completa disponibilità necessaria per lasciare soddisfatti i clienti che altrimenti cambieranno parrocchia.
Mi hai inteso?
In caso contrario farai la fine che meriti e stavolta, bada bene che non scherzo!
Rammenta queste parole.
Lo vedi questo coltello?
Lo farò parlare su quel tuo corpo da puttana.
Giovanni batté dietro le sue spalle la porta con impeto e minacciando ancora, scomparve.
Scese quelle scale beatamente come se quella tremenda e terrificante sceneggiata l’avesse fatta da copione.
Raggiunto l’androne di quel vecchio palazzo vetusto e poco decente, si fermò di scatto; estrasse dalle tasche tranquillamente la sigaretta e l’accese con grande soddisfazione, convinto d’aver rimesso nel giusto ordine quella stupida, insensata ribellione di Veronika.
Proprio lei, la ragazza ancora stesa per terra e tramortita, cercava di tamponare il sangue che usciva dalle ferite, con pezzi di stoffa racimolati qua e là per la casa.
Fece uno sforzo enorme per rialzarsi e sedersi su una sedia. Volle guardarsi allo specchio per rendersi conto delle sue condizioni.
Era veramente irriconoscibile e gonfia a causa di quelle tumefazioni, sul viso, sul corpo.
Stavolta prese una decisione davvero seria, quella di fuggire e ritornare nella sua città, Ploiești, in Romania, capoluogo del distretto di Prahova, nella regione storica della Muntenia con più di duecento mila abitanti.
Abitava alla periferia di quella città nella “Strada Pielari”.
Racimolò poca roba e prelevò i soldi che aveva ben nascosti sopra quel vecchio armadio.
Si accorse che erano davvero tanti, non avendo mai avuto modo di contarli perché il suo unico pensiero era stato sempre di accantonarne più che poteva.
Dopo essersi fatta la doccia e camuffato al meglio i lividi, sistemò i denari addosso nella parte interna del vestito e usci di corsa da casa.
Si diresse in tutta fretta alla fermata dell’autobus che l’avrebbe condotta direttamente in Romania, lasciando dietro di sé quella vita balorda, violenta, degradante, davvero inadatta a chi si considera essere umano.
Neanche quando l’autobus si mise in moto, Veronica volle voltarsi, pur col cuore spaventato che le batteva a cento all’ora.
Le uscirono lacrime non certo di dolore o di rammarico ma di felicità per essersi finalmente liberata da quella schiavitù infame.
Cercava di cancellare quel suo passato tutto da dimenticare; tentava, desiderava ricostruirsi mentalmente un’altra vita, possibilmente improntata sul vivere civile, nella semplice normalità della gente comune.
UNA VITA FRANTUMATA DA RICOMPORRE
Veronika ritornò nella sua famiglia e cercò in tutti i modi di non pensare più a quell’esistenza da prostituta.
Passò del tempo e riprese i soliti lavori in casa, la spesa da fare, l’aiuto in cucina, le faccende di casa con sua madre alla quale mai rivelò come si guadagnava da vivere prima di rientrare nella sua comunità.
Un giorno, decise di andare liberamente a zonzo, di girovagare per le strade della sua città.
Così fece.
Passò a salutare suo padre che lavorava in un negozio di riparazione di biciclette la cui insegna riportava appunto “Bike Workshop Ploiesti Atelier Biciclete Ploiesti”; salutò il suo vecchio e proseguì poi verso quell’ampio corso, diretta in piazza. Pochi passi ed entrò in uno dei tanti bar, ordinando un caffè.
Si sedette lì fuori, godendosi, rilassata, il viavai caotico dei passanti, quando all’improvviso, proprio mentre sorseggiava lentamente il suo aromatico caffè appena servito dal cameriere, inciampò sul piede del suo tavolino, uno strano individuo, un signore sicuramente maldestro, occhialuto, dall’aria distratta, insomma un tipo intellettuale.
Stava per cadere per terra, se non fosse stato per quelle braccia aperte che gli impedirono di sbattere la faccia.
Lui rialzandosi le sorrise con quell’espressione serafica e automaticamente si sedette accanto a lei, su quella sedia libera, come avesse fatto il gesto più spontaneo del mondo.
Lei apostrofò:
- Ci conosciamo per caso?
Non credo.
E allora perché non racimola i suoi libri e se ne vai via?
- Se disturbo mi scusi.
Io mi chiamo Walter, me ne vado subito però…
Giacché che mi sono presentato, perché non mi dice qual è il suo nome?
- Mi spiace che questo tavolo sia stato la causa della sua caduta a dir poco buffa.
Ok…
Mi chiamo Veronika.
Bene, adesso può sederti però, per punizione, pagherà il caffè che mi ha fatto versare per terra.
- Con piacere!
Arrivo da un’altra città e insegno in una scuola qui vicino.
Ho appeno terminato il mio orario delle lezioni.
Possiamo darci de “tu”, se vuoi.
Può farmi compagnia lungo il viale?
- Perché no!
Volentieri.
Strano a dirsi, i due si rividero in quel solito bar e poco per volta s’innamorarono.
Con Walter finalmente Veronika provò i primi palpiti del cuore, i sentimenti veri d’amore; le sembrò finalmente di rivivere, recuperare il tempo perduto dopo quel triste mestiere di prostituta.
Voleva raccontare quel giorno tutto al suo amato, ma quegli glielo impedì, mettendo la mano sulla bocca trattenendola nel discorso e poi…
Accostò la sua bocca e le baciò con passione le labbra, gli occhi, il collo e poi giù…travolto da quello che anche per lui era diventato il vero amore.
Così si rifugiarono in un albergo vicino a fare l’amore..
Il giorno dopo si erano dati appuntamento alla stazione di Ploiești
Walter era lì ad aspettarla, con un mazzo di rose rosse e gli occhi inondati di luce. Veronika trasalì perché non se l’aspettava, lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia.
Poi s’incamminarono verso l’uscita.
Pensò che quell’uomo l’aveva conosciuto tutto sommato da poco, che aveva fatto l’amore con lui solo il giorno prima, che era stato sposato due volte e che non tutte le credenziali erano impeccabili.
Ma non si chiese ciò che accade dopo che la scritta “fine” è apparsa sullo schermo di questa storia simile a un film.
Se un giorno qualcuno le avesse chiesto di raccontare la sua storia gli avrebbe soltanto domandato di iniziarla come una favola, con le parole…c’era una volta.
Proprio come adesso io ho fatto al posto suo.
Un racconto che è simile a una favola, a un romanzo in parte drammatico o magari chissà, forse, si riferisce a un fatto realmente accaduto?
Voi non credete possa essere vero?
Rifletteteci un po’!
Adesso, col vostro permesso, l’aggiungo io la parola “FINE”.
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