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Le istruzioni sono:

Partendo da questo incipit scrivi un racconto breve: "Perché volesse ucciderlo è un problema che esula dall’ambito di questa storia."


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Lettera a un amico

Perché volesse ucciderlo è un problema che esula dall'ambito di questa storia ma ripensandoci bene, dato il tempo a disposizione, ora non ne sono più tanto sicuro, caro Alessandro, e vorrei avere il conforto di un tuo parere considerato che sei, oltre che amico, un noto psicologo.
Intendiamoci subito, Marina non l'avrebbe mai fatto. E' troppo al di sopra di queste meschinità, troppo indolente e remissiva per prendere iniziative e certamente non è un'assassina.
E' vero l'aveva detto una volta in un attimo di disperazione quando la storia di una vita, apparentemente felice, era miseramente naufragata.
Come ricorderai ora ho sessantadue anni ma l'avevo conosciuta quando eravamo giovanissimi tra i banchi di scuola. Era la più bella della classe o almeno così la vedevo con gli occhi del primo amore. Eravamo inseparabili, abbiamo frequentato lo stesso liceo e lo stesso corso di laurea e studiavamo insieme parlando anche del futuro, di un progetto di vita da costruire, di casa e di matrimonio.
Con l'aiuto delle nostre famiglie ci sposammo appena trovato un lavoro dopo la laurea (erano altri tempi) e subito realizzammo il nostro primo progetto; offrimmo al mondo una bellissima bimba. Marina aveva ottenuto un impiego che l'impegnava solo al mattino e le consentiva di sentirsi realizzata non solo come madre e casalinga. Io lottavo con le mille difficoltà e problemi dell'ambiente ospedaliero per raggiungere certi traguardi ed assicurarci un tenore di vita migliore.
Eravamo una famiglia come tante altre, si discuteva, si litigava anche ma poi bastava un contatto, un sorriso o a volte anche un gesto banale e tornava l'armonia. Riuscii ad ottenere l'incarico di primario del reparto medicina di un ospedale in una cittadina umbra, dove iniziò la nostra amicizia, però mi accorsi subito che il nuovo lavoro assorbiva tutto il mio tempo e le mie energie. Lentamente l'umore in famiglia mutò, cominciammo con lunghi silenzi, evitavamo gli scontri, ci stavamo lentamente logorando cercando di fare apparire il tutto come una cosa normale.
Poi diciassette anni fa è tutto finito. Una sera di fine estate che ho ancora scolpita nella memoria, Marina mi rivelò che aveva conosciuto Carlo, l'uomo dei suoi sogni. "Una persona brillante, intelligente, interessante" diceva lei "Ed anche ricca" aggiungevo io con malignità rivelatasi fondata.
Era stato il caso a farli incontrare, un banale incidente sul raccordo anulare. Lei aveva sfasciato la propria utilitaria tamponando il suo Cayenne. Mi disse che non si era neppure arrabbiato anzi la sua prima preoccupazione fu di accertare che lei stesse bene e da questo capì di aver finalmente incontrato l'uomo perfetto, che si interessava e dedicava tutto a lei. "Si" mi precisò "E' vero che ha quasi dieci anni più di me, ma dove la trovi una persona a cui hai rovinato la macchina che ti aiuta e ti invita anche a pranzo in un ristorante di classe?"
Mi raccontò che Carlo era l'amministratore delegato di una grande azienda; che aveva alle spalle un matrimonio senza figli e viveva solo in una bella villa all'Olgiata. "Non preoccuparti" continuò "Ho già pensato io a tutto; ti lascio il nostro appartamento e mi trasferisco a casa sua con mia figlia. In cambio desidero solo il divorzio perché vogliamo sposarci".
Chi si è trovato in situazioni del genere avrà reagito con rabbia o chiudendosi nella propria rassegnazione o provando un immenso dolore. Io, nell'immediato, provai un senso di disgusto che mi portò ad accettare il tutto con indifferenza; non seppi o non volli o potei reagire a quella che era la disfatta della mia esistenza. Lentamente però si introdusse in me il desiderio di vendetta ma non riuscivo a determinare se contro Carlo o contro mia moglie. Di chi era la colpa di quello che era successo?
Poi tutto passò; frequentai altre donne, mi buttai ancora di più sul lavoro. Mi restava la consolazione di vedere mia figlia in alcuni fine settimana quando non aveva impegni con le amiche. Sembrava serena, anche lei aveva superato il trauma ed a volte mi parlava dei suoi coetanei, delle sue simpatie, chiedendomi consigli. Mi faceva sentire importante perché queste confidenze personali creavano un'affinità emotiva che ci avvicinava. Dopo qualche tempo però anche questo mi venne a mancare, si era inaridita la via di comunicazione che ci legava, non mi parlava più dei suoi problemi. Pensai che si sentisse ormai una donna matura e sicura.
Poco dopo la fortuna girò di colpo a mio favore; ricordi, te ne avevo parlato. Fui invitato a tenere una relazione ad un simposio medico a Firenze e tra i presenti vidi Marina. Ci salutammo e l'invitai a cena dove, parlando dei vecchi tempi, avvertii una vena di nostalgia e forse di rimpianto. Tornammo a piedi, sotto braccio, in albergo; si appoggiava dolcemente a me, con fiducia quasi remissiva. Dormimmo nello stesso letto continuando a vederci di tanto in tanto.
Mi disse che Carlo era cambiato, sempre impegnato, che non si interessava più a lei anzi spesso era scontroso e teso. Io cercavo volutamente di difenderlo adducendo le motivazioni tipiche che gli uomini usano in queste circostanze ma lo facevo perché più trovavo attenuanti al suo comportamento e più Marina si adirava con lui; era la mia vendetta!
Inaspettatamente un giorno mi annunciarono che era venuta in ospedale e desiderava parlarmi con urgenza; non l'aveva mai fatto, non si era mai scoperta fino a questo punto. Subito pensai che avesse qualche grave problema di salute.
Era agitatissima! Nel mio studio mi ha rivelato che nostra figlia, che negli ultimi tempi si era chiusa in un mutismo ed apatia non abituali, messa alle strette le aveva confessato che Carlo aveva cercato di molestarla. Piangendo mi disse: "Ho sbagliato tutto, SE POTESSI L'UCCIDEREI, ho barattato la mia felicità per una vita di ricchezza e benessere, per favore riprendimi con te".
Ho cercato di consolarla anche se mi ribolliva il sangue al pensiero di quello che era accaduto a mia figlia che mi sono dichiarato subito disposto a riaccogliere a casa mia. Quanto a lei ho detto che avevo bisogno di tempo per pensarci e le ho consigliato di non parlare con alcuno della vicenda e di non iniziare subito le pratiche di separazione. "Dammi solo una decina di giorni per riflettere; in questo momento mi è difficile cancellare dalla mente il male che mi hai fatto" le dissi.
Era una frase ad effetto che usai perché le parole di mia moglie avevano fatto riaffiorare in me il demone della vendetta. Marina aveva espresso il desiderio di ucciderlo in un momento di disperazione, io invece meditavo seriamente di eliminarlo e stavo già escogitando come fare.
Pensaci bene! Oltre ad aver riavuto la mia famiglia avrei anche potuto godere di parte delle sue ricchezze a compenso del danno che mi aveva arrecato.
Il resto della vicenda ti è noto ma ti confesso che quella frase detta da Marina ebbe un grosso peso per me e ciò mi ha tormentato per molto tempo.
Mi rimane solo da dirti che ora sono malato e sto per lasciare questo mondo senza rimpianto per quello che ho fatto; in fondo ho reso felice Marina, il mio primo e unico amore.
Ti ricordo con affetto.


Francesco



Rebibbia 18 luglio 2014




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Scrittura creativa scritta il 19/07/2014 - 16:01
Da Gaetano Antonioli
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