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Marco aveva sempre amato il mare, fin da bambino, quando provò a tuffarsi da quelle grosse barche da pesca, le cosiddette cianciole: la prima volta, a dire il vero, prese una bella panciata sull’acqua e ne ebbe un dolorino non indifferente. I tuffi dalle scogliere però erano la sua estrema impresa, quando riusciva a immergere il capo evitando gli scogli aguzzi, i più pericolosi: l’ingresso in acqua gli dava un’emozione indescrivibile, soprattutto quando il suo corpo raggiungeva quasi il fondo: laggiù sentiva la freschezza dell’acqua mista ai venticelli sottomarini, più frequenti quando l’autunno era ormai alle porte. Per lui andare al mare significava viverlo fino in fondo, nuotate e battute di pesca subacquea, anche se quando arpionava un pesce o un polpo provava un senso di colpa che gli prendeva tutto il cuore: in fondo lui che amava tanto il mare non avrebbe dovuto togliergli le sue creature, per giunta innocenti e forse anche con un’anima migliore della sua. Ma vivere il mare era per lui nuoto, pesca, e quando ne aveva la possibilità lunghi giri in barca per raggiungere le spiaggette sassose e selvagge che amava tanto. Marco crebbe con questa passione viscerale per il mare, e anche in età adulta lo considerava un elemento indispensabile nella sua vita; anzi, come lui amava dire: “imprescindibile”.Era il senso della sua vita, forse l’unico motivo per cui valeva la pena vivere, vederlo e viverlo fino in fondo. Un pomeriggio Marco raggiunse, camminando lungo la strada, una spiaggetta piena di grossi sassi, e in acqua c’erano scogli che sul fondo erano talmente grandi da fare impressione: erano pieni di buche dove i polpi più operosi costruivano la loro inconfondibile tana ricoperta di piccoli sassi e di conchiglie vuote, essendosi prima saziati con il loro frutto. Amava le lunghe nuotate, con la maschera, per ammirare la straordinaria vita sul fondale, qualche volta aveva nuotato per due o tre chilometri, ma non di più.
Ma ora, stesosi a prendere il sole dopo qualche bracciata, balenò nella sua mente un’idea, un proposito: vedendo l’epico promontorio di cui anche Virgilio aveva scritto nella sua grande opera, vedendolo proprio davanti a sé, perché in effetti sembrava vicino ma non lo era, gli si ficcò come un chiodo nella mente la convinzione che lo si potesse raggiungere a nuoto, senza mai fermarsi; ovviamente per l’impresa era necessaria una barca che lo affiancasse, perché era mare aperto e in caso di malore ci sarebbe salito. In seguito si informò da un suo amico sulla distanza, e seppe così che il Capo, sul quale dalla sera fino al mattino girava e lampeggiava un faro, era a circa 20 miglia marine. Propose all’amico di compiere l’impresa assieme a lui, così si sarebbero allenati insieme: perché ci volevano molte e lunghe nuotate per prepararsi all’epica traversata. L’amico gli propose di trovare degli sponsor, così da mettere, se possibile, anche dei premi in palio, ed eventualmente si sarebbero aggiunti altri nuotatori ben allenati. Entrambi si trovarono d’accordo sul fatto che la cosa era davvero originale, non avendo mai nessuno prima di loro tentato una traversata in mare aperto, ma tutti avevano raggiunto la meta “rasentando” la costa. Marco e l’amico diffusero la voce e tutti gli abitanti del borgo furono entusiasti ribadendo l’originalità dell’impresa. Senonchè una sera al bar mentre discorrevano si resero conto di una cosa: la stagione volgeva ormai al termine e non ci sarebbe stato tempo sufficiente per gli allenamenti e tutta l’organizzazione. Decisero così di rimandare la traversata all’estate successiva, avendo così tutta la stagione a disposizione.
Marco ora era solo in terrazza, era sera, guardava il Capo in lontananza, che chiudeva il golfo nel quale veniva a trovarsi anche il suo paesello, prima c’erano i resti di un’antica città greco romana.
Già immaginava l’estate successiva, si vedeva in mare aperto, scuro, quel mare dove hai paura a guardar giù perché è tanto profondo che non si vede nulla. Con poderose bracciate, senza mai fermarsi, ce l’avrebbe fatta di sicuro a raggiungere il promontorio del nocchiero di Enea. Era ora il suo obiettivo, il senso del suo esistere. Ed era sicuro che sarebbe arrivato primo.



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Opera scritta il 31/03/2016 - 17:46
Da ERMANNO SCARPA
Letta n.1292 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Grazie, eh si Capo Palinuro ha un fascino intramontabile

E. SCARPA 02/04/2016 - 18:08

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Bel racconto, molto ben scritto pure. per chi ama il mare come me queste parole sono poesia in prosa...5*. un saluto.

Gesuino Faedda 02/04/2016 - 08:12

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Che bel racconto! Che profumo di salsedine e di bellezze della natura! Capo Palinuro, immagino quanto sarà un luogo magico ed affascinante! E mitologico! Complimenti!

Patrizia Bortolini 01/04/2016 - 23:05

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Bello!5*

Teresa Giulino 01/04/2016 - 14:49

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