Di quanti "vorrei ma non posso", è piena la mia vita finora trascorsa. Tanti bagagli disfatti nel mio passato. Vivo un oggi, in cui a malapena mi ci intravedo. Mi intrometto furtivamente nella mia vita; ma è come se non mi appartenesse mai completamente. A volte mi estraneo da tutto ciò che è mio: mi succede perché non posso vivere come vorrei. Tutt'intorno scorgo montagne colorate, dove desidero cogliere fiori, per poterli piantare nei miei enormi vasi, che rimangono purtroppo ancora vuoti. Mi perdo nei cieli azzurri e i miei occhi inseguono colombe che in stormo migrano: ne attendo il ritorno e mentre aspetto, passa il tempo. Vorrei che tutto corresse in fretta e non si fermasse mai e che quello che deve succedere poi,accadesse prima. In un'inesplorata natura incontaminata e su terreni vergini, langue il mio sguardo. Tramonti e libellule si librano virtuose nell'aria ed io convivo con un oggi che non mi consente di prendermi la mia vita. La vorrei tutta da vivere la mia vita. Incuriosita osservo l'andirivieni dei passanti. Quanto è forte in me il desiderio di seguirli, ma devo fermarmi sempre prima di svoltare l'angolo. Da una finestra, ferma su una seggiola o su un dondolo vivo tutto il mio limite. Non un convenzionale e ipocrita limite, ma il "mio" limite. A mezz'aria e prima che finisca il concerto, prima dell'ultima pagina di un libro, prima del finire del giorno, devo sempre fermarmi. Non posso procedere, né contare i miei passi, né lasciare impronte, perché io, non ci sono mai completamente. Sono la metà di tutto o un semplice albero piantato nel terreno. Dal mio tronco si dipartono forti braccia, che si ricoprono, nonostante tutto, di verdi foglie. Continuo a spingere la mia carrozzella per vedere meglio, ma non posso guardare oltre: la panoramica ristretta non me lo consente. Ma quando i miei occhi si assopiscono e sognano, allora libero tutte le mie fantasie. Fra fuochi d'artificio concludo il mio volo e lascio cadere la mia seggiola. Gioiosa vedo le lucenti rotelline roteare libere e allora vado. Mi introduco in un treno che mi invita ad entrare in un cilindro luminoso. È il mio treno. Chiedo al conducente di portarmi a vedere tutto ciò che è visibile e poi procedo. Vado dove posso leggere fino alla fine tutti i miei inizi, mai portati a termine. Ma poi apro gli occhi e la realtà mi si presenta severa e questo mi angoscia. Ritorno a quel brutto giorno e ci sei tu,quando rovisto nei miei ricordi. Viaggiavamo spesso, ed insieme ci sentivamo i conquistatori del mondo. I tuoi grandi occhi celesti, lasciavano che mi tuffassi in un mare di promesse. -"stavolta sarà magica, te lo prometto"- me lo ripetevi spesso ed io mi allargavo in un largo sorriso di approvazione. Poi su per le montagne e giù per le valli. Quante soste in nome del nostro amore -"fermiamoci" mi ripetevi. "Ho voglia di te" e così fra i cicalecci dei grilli e mille promesse ci amavamo. Durante uno dei nostri viaggi, decidemmo di piantare la tenda in un ameno spiazzo rurale e la notte come sempre, fu spettatrice e complice dei nostri commenti amorosi. Tu ed io felicemente innamorati e il mondo ai nostri piedi. Mi svegliai dopo un sonno stranamente profondo e tu non eri accanto a me. Uscii dalla tenda e ti trovai lì riverso per terra, con uno stupido ramoscello fra le mani e il fornellino da campo ancora acceso. I tuoi occhi chiari guardavano il cielo, ma tu eri altrove. Seguitavo a chiamarti ma eri andato via. Non c'eri più. E il nostro futuro? E tutte le promesse e i domani pieni di noi..? Mi conforta il saperti in un mondo parallelo, dove un giorno forse, continueremo ad amarci. Il mio enorme senso di colpa non mi lascia tregua. Continuo a rimproverarmi di non essere intervenuta in tempo. Se mi fossi svegliata prima, forse sarei riuscita a strapparti alla morte. Vivo in un appartamentino di periferia e Adelina, un'amica di famiglia si prende cura di me e mi esorta a reagire, ma io sono rimasta lì, accanto a quel fuocherello acceso. Talvolta, nel silenzio della mia stanza muovo qualche passo. Si cammino, ma continuo a farlo di nascosto. Le pareti e l'arredo tacciono ed io non potendo, né volendo fare null'altro, attendo che tu ritorni nei miei sogni, per poter continuare assieme a te il nostro viaggio. Nessuno ha notato di quanto mi si è arrotondato il ventre. Per quanto ancora potrò nascondermi? Prima o poi dovrò svelare a qualcuno il mio segreto! Ma una notte forti dolori mi strappano al sonno. Grido con tutto il fiato che ho in gola-:"Adelina presto, chiama un taxi e avverti mamma e papà, il bimbo sta per nascere" - "chi signora, cosa?" mi risponde la poveretta interdetta - "il bambino. Sto per avere un bambino!"- urlando e camminando m'avvicino alla porta e Adelina, guardandomi come fossi una miracolata, balbettando e con la voce rotta dalla commozione, a malapena riesce a dire: "Ma lei cammina signora. O mio Dio. Miracolo", ripete concitata, poi si profonde in confuse spiegazioni telefoniche; alternando preghiere a segni della croce e perdendosi a tratti, in mariane congetture. Poi sei nato. Tre chili e cento di maschietto. Amore mio. Non ti vedo ma so che sei qui: ti sento. Rammento il ramoscello fra le tue mani e solo ora ne comprendo il significato. Un giovane virgulto doveva prendere vita e la fiammella accesa era la speranza in un domani tutto da vivere. So che in questo momento mi sei accanto, con tutto l'amore di cui sei capace. Avverto un leggero soffio e mi pare di ascoltare quella parolina che tanto mi piaceva e che spesso mi ripetevi. Una sola, meravigliosa, stupenda parola, che mi rendeva orgogliosa e mi invogliava a dare il meglio di me stessa.Mi carezzo le orecchie e so che sto sfiorando le tue labbra: le sento vibrare e sussurrare uno stupendo, meraviglioso:"Grazie.
Opera scritta il 18/08/2016 - 19:12
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Commenti
Scusami: AFFETTO
Rocco Michele LETTINI 19/08/2016 - 08:52
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SENSAZIONALE SEQUELA DI LECITO AFFERRO...
IL MIO ELOGIO GIOVANNA.
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IL MIO ELOGIO GIOVANNA.
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Rocco Michele LETTINI 19/08/2016 - 08:50
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