Lì, un bambino davanti al vetro, appariva e scompariva con fare precipitoso. Lasciava quel suo posto innanzi al mondo per poi tornare lì, ancora, con il mento appoggiato e le braccia conserte. Non venne in me un'allucinazione, ma si dispiegò in quella notte il reale.
Il suo respiro formava un alone sul vetro, che sgombrava quand'egli scompariva. Per secondi, trentasette per l'esattezza. Li contai. Il bambino tornava alla finestra puntualmente, col far di colui che nell'assentarsi, avesse perso qualcosa di prezioso. Tornava a mirare le stelle. Ma che dico, non vi erano. Tornava a recuperare il buio forse. Allora stetti a guardare ancor di più. Sicuro che il suo sguardo non raggiungeva il mio, mi mossi cautamente al di fuori di quella villa, e immobile aspettai.
Lo ripetè ancora una volta, svanì precipitosamente, scese da una sedia appoggiata contro la finestra per poi risalirvi ed apparire di nuovo contro il vetro. Che occhi angelici. Che sguardo intenso. Ma cosa nei suoi iridi, ancora immersi nell'innocenza, riflettevano ogni qualvolta si assentava dal mio sguardo. Non resistetti. Aspettai ancora che il bambino svanisse per avvicinarmi. E lo feci fino al massimo a me consentito.
Cautamente alzai il mio volto,quasi appoggiandolo al vetro. Avrei saziato finalmente la mia curiosità. Allora vidi l'interno della casa. Oddio. Capii. Ogni volta, quella piccola anima, andava a prendere dal tavolino del soggiorno una pistola e con le sue piccole mani la sollevava sino ad infilarsela in bocca. Abbassai di scatto il mio volto dal vetro, ritirandomi contro i muri della casa, sotto la finestra.
Contai, inconsciamente, lo feci di nuovo. Uno, due, tre, quattro, nominavo i secondi uno per uno. Essi non terminavano più. Avrei dovuto fare qualcosa. Battere sul vetro e fermarlo prima che completasse l'insano gesto. Urlare di non farlo. Tredici, quattordici, quindici...ma non riuscii. La follia aveva mani in quella casa che trapassavano i muri e mi afferravano le spalle spingendomi sul terreno. Ventitré, ventiquattro, venticinque. Cercai d'alzarmi, feci forza su una gamba ma il piede mi scivolò sull'erba. Trentadue, trentatré, trentaquattro...un attimo. Se il mio numerare del tempo fosse esatto, in questo momento, il bambino da un pezzo, dovrebbe ora guardar sopra di me, fuor dalla finestra?
Mi sarei affacciato di nuovo alla finestra, avrei alzato lo sguardo a costo di scontrarmi col suo. Ecco allora, pensai. Lo spavento diverrebbe tale che avrebbe fatto correr lui via dalla stanza, dimenticando la pistola. Mi tirai su e nello stesso momento mi voltai. L'alone sul vetro era formato, la bocca del bambino vi respirava contro. Ci guardammo negli occhi. Mosse le labbra per dirmi qualcosa. Seguii il labiale: ti stavo aspettando!
Precipitosamente allontanò il viso dal mio, scese la sedia, corse verso il tavolino, mise la canna in bocca e premette il grilletto. La pistola fece uno scatto a vuoto. Battei i pugni sul vetro. Urlai contro. "Fermati ti prego!". Premette una seconda volta il grilletto. Un'altro scatto ancora a vuoto. "Ti scongiuro mettila giù!". Ancora, senza voltarsi premette. A vuoto un'altra volta. Piansi, battei con tutta la forza sulla trasparenza che ci separava. Sul vetro si era formato un'alone. Premette una,due,tre, quattro volte ancora. E poi l'ultima. E li si voltò verso me. Tirò fuori la canna dalla bocca e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
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