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Quella volta che non fui buona

Avevo già la nausea e presto sarebbe arrivato il sudore freddo tra i capelli, quando imboccammo la terza curva della strada, che dalla mia cittadina saliva verso Aramo. I finestrini dell'auto di Marcello erano tutti aperti in quella vigilia di Natale e io, con il viso spinto all'esterno guardavo il bosco infittirsi e farsi più buio tra i rami che calavano sulla via. L'aria pizzicava sulle labbra bagnate che continuavo a leccare, mentre con la manica del cappotto mi asciugavo il naso. Quella era la sola macchina in paese e Marcello ne faceva un taxi nei rari casi in cui le persone non potessero prendere il pullman. Noi ci permettevamo quel lusso nelle feste natalizie. L'auto ci portava ai piedi del paese, alla Madonna, così si chiamava l'entrata sotto la porta, prendendo il nome dalla chiesa davanti alla quale si doveva per forza passare. Sarà che Marcello sfrecciava sulle curve a gomito finendo spesso sulla corsia opposta, che la mamma non amava andare al paese nativo del babbo, ma per un motivo o l'altro i miei diventavano sempre più nervosi. Man mano che ci avvicinavamo il nostro natale sembrava allontanarsi.
Arrivati, fui la prima a scendere dall'auto e respirare il vento che ripuliva i vestiti dall'odore di benzina. La mamma insisteva che dovevo darmi i pizzicotti sul viso per riprendere colore, prima che i parenti iniziassero a sottolineare quanto fossi pallida.
Per salire il lastricato, verso la piazzetta in alto, il babbo mi prese sulle spalle.
Ondeggiai come i trampolieri, stringendomi al collo di lui infilai le mani tra la lana della sua sciarpa, guardavo gli alberi di natale trasparire dalle finestre delle case.
Ad Aramo i bambini mi chiamavano “la cittadina”.
Eppure, vivevo nelle case popolari circondate dai campi, ma avevo il bagno in casa e la stufa a legna in cucina, questo bastava a fare di me la straniera. Mi presero in giro quel pomeriggio della vigilia di natale perché giocando in piazza dissi: «Mi tiri la pa-pallina», e se la risero, anche Claudia.
Abitava nella casa con la scala più bella che si potesse avere. I gradini si susseguivano in una curva ampia, il corrimano in legno lucido terminava in una testa di leone scolpita e accanto l'albero di Natale. La punta di vetro sfiorava il soffitto, i fili argentati dall'alto scendevano fino a coprire il tronco, disegnando cerchi sempre più larghi. Lasciai la piazza con il viso che bruciava di rabbia.
Al portone di casa di Claudia bussai. Nessuno chiudeva la porta a chiave. Mi avvicinai all'albero togliendo due fili d'argento, bucandomi le mani con gli aghi dell'abete ne presi anche un terzo.
Corsi via dalla testa di leone, imboccai il cunicolo scavato nella terra durante la guerra, che dal centro del paese portava alle cantine, feci quel tratto senza respirare per non sentire l’odore di umido che mi si appiccicava addosso. Passai davanti al circolo e agli uomini già ubriachi a metà pomeriggio e finalmente uscii dal paese. Corsi ancora fino al cimitero appena fuori dalla porta, i fili d'argento volavano come una bandiera tra le mani e così continuai tra le statue delle tombe, dove in estate andavamo tutti insieme a giocare, là dove i morti a me non facevano paura.



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Racconto scritto il 13/12/2024 - 22:29
Da Grazia Giuliani
Letta n.75 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Direi che, sulla scia dei ricordi, hai saputo creare un pezzo davvero piacevole e scorrevole nella lettura.
Si sa che quando si prende per mano l'autobiografia si riesce a trasmettere emozioni difficilmente raggiungibili con diverse categorie di racconti, ma di contro si può finire per scrivere un qualsiasi articolo di cronaca che rischia di essere lasciato a metà dal lettore.
In questo caso , l'ho letto con piacere ma....alla fine sono rimasto un po' a bocca asciutta.
Si comprendono le emozioni della protagonista e la sua inevitabile "vendetta" e la sua "riappacificazione" nel luogo dei silenzi eterni, ma,forse il finale avrebbe potuto avere un po' di mordente in più.
Ad ogni modo hai scritto il racconto con parole sincere e mai annoianti.

Paolo Guastone 16/12/2024 - 07:55

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Ciao Grazia
Ti leggo in un racconto emotivo che, probabilmente, ha dell'autobiografico, scritto con grande maestria. Emozionante.

Felicissima di rileggerti


laisa azzurra 15/12/2024 - 15:21

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Partendo dal titolo, un quasi gioco di parole, il racconto è molto poetico, grandi immagini e prosa scorrevole in cui mi immergo e leggo rialzata da terra, poi quel correre al cimitero, mi ricorda tanto quando spesso vi facevo passeggiate solo per immergermi in un mondo di silenzio e pace! Bravissima, complimenti davvero tanti!!

Anna Cenni 14/12/2024 - 08:21

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