e canne chinate al tramonto
lo stridio del ferro,
un ruggito di latta
sulla linea tenue che taglia
la terra
e la separa dal cielo,
guardo il riflesso
sul vetro,
mi conduce al vivo dei miei occhi
so di riconoscermi tale
solo se per caso mi ritrovo
a scrutarmi dentro,
come se a stento sapessi distinguermi
dalle figure che mi siedono accanto.
Riconosco te in un bagliore:
lo scintillio che mi balena
nel nero fino in fondo
se con la coda dell'occhio
mi metto a rincorrere
quel lapillo di sole
che fugge sul pendio.
Mi vivi dentro
Mi vivi ovunque
e se non dovessi più trovarti,
se mi mancassero i mezzi per cercarti
ti cercherei in me.
Le nubi sono bucce d'arancia
e in fondo in fondo la calura
s'appresta a salire,
la scia lontana del mare
si fa scura
come a preannunciare la notte,
il rame teso sulle curve
del cielo
accoglie l'arrivo del treno,
il mio riflesso si assottiglia
si fonde con la banchina
con il metallo che rallenta,
poi non c'è più,
e tu, vagabondo,
cerchi affitto in un altro
dei miei tanti spazi,
se non nell'occhio
o nella lingua,
allora ti fai voce,
ti fai pensiero ,
ti fai mio.
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