RACCONTI |
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Autore |
Akenafis e Sut antica tragedia d'amore Rapito dall'amore per la bellissima Sut (Sacerdotessa del Tempio di Sefor) Akenafis s'abbandona nella perdizione per lei.
Irraggiungibile come una Dea per lui diviene ossessione d'amore. Nessuno, nemmeno il gran sacerdote del tempio, può sfiorare la purezza di Sut. La perdizione eterna nel mondo dei non morti attende chi oserà violare questa sacralità. La vicinanza con questo tormento diviene sempre più insopportabile per Akenafis che affida allo scrittura la sua violenta passione. L'occhio dal cielo. Scruta l'occhio dal cielo i segreti degli amanti e d'essi accoglie i lamenti nelle notti gelide dei deserti. ![]() ![]() ![]()
Notte senza tempo Ore senza tempo e tempo senza ore nelle anfore segrete dei ricordi volavano trasportate dal bizzoso Eolo che con l’ausilio dei suoi venti raccontava storie ed emozioni.
Esse si rincorrevano sui fili sottili dei pensieri e delle immaginazioni arrivando a rasentare il reale per sconfinare nell’irrealtà di mondi immaginifici. Gli orologi erano divenuti sostanze appese alle caverne del mai e un popolo di giganti li usava come segnali per convertire le ragioni in illusioni. Potrà mai la forza della poesia superare le barriere e mischiarsi nei racconti tanto cari ai quattro venti che d’ogni vita son padroni... «Se dovessi rincorre la solitudine d'una luce accesa, Se avessi la forza di graffiare le infinite trame tessute Se la malinconia d'un vascello in fuga verso l'orizzonte, ![]() ![]() ![]()
In Lete vo sognando In Lete vo sognando
Tacere in core mira Se antro divinatorio Chieder puote colui che non è? In tal guisa m’apprestai io E fui tal immerso Presi a bastone ![]() ![]() ![]()
A spasso col fumetto Scuro, matita nera sul foglio che non sa cosa disegnare... ed ero prigioniero di me stesso, vagavo nei campi deserti dei fiori morti, quelli che li disegni come ti pare.
Cercavo il tuo sguardo, mentre un gelo arido ricopriva ogni singolo lembo di pelle. Non esisteva l'esistenza, ognuno nella terra poteva vedere le vene aperte e scorrere il proprio sangue verso l'ignoto orizzonte del corpo umano. Dal fango spuntavano mani in rivolte al cielo e tornando indietro alla sguardo ognuno ci può stampare il proprio foglio sopra e va bene che a tirarti la lingua non diresti mai di chi sono quegli occhi. Nenie di sciacalli e cani accompagnavano i passi confusi, bevevo acqua dalle radici dei cactus, ma non basta a placare l'ira dei rimpianti, pensavo d'essere un fumetto, avrei superato quel posto d'inferno grazie al mio autore. «Ehi, non vedi che sto morendo, per favore disegnami una pozza d'acqua buona, dai sbrigati!» ![]() ![]() ![]()
Dighe e panchine La strada lasciava intravedere la banchina del porto, in una giornata plumbea e fredda, il vento accarezzava la pelle rendendola rigida e rossastra mentre le figure umane apparivano e scomparivano con l'alternarsi delle onde che andavano a infrangersi sulla diga, costruita a protezione dell'insenatura.
L'inganno era chiaro solo per l'occhio e una via, passando sopra la costruzione, portava al vecchio castello aragonese. Osservando da lontano il mare si aveva l'impressione che tutto fosse al di sotto delle sue spume biancastre, io poi ho sempre avuto uno strano timore quando camminavo su quella strada costruita in tal posizione... Eppure ero lì quando il tempo chiamava, tempesta e vento il mio soprannome interiore. Di fronte alla diga, dal lato opposto, un piccolo bosco con un parco giochi ospitava i sogni dei bambini. Dipingevo questa tela nelle notti insonni e i ricordi scuotevano l'animo rendendolo inquieto come una bufera infernale, il volo si infrangeva poi nell'immaginare il ... (continua) ![]() ![]() ![]()
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