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IL TUNISI EXPRESS

Stazione di Tunisi.
Ore 8,30 locali.
Sole del primo mattino eppure gią un'immensa folla si accalca tra i binari, ad aspettare di partire, magari solo per un'ora, magari per sempre.
Stazione di arrivederci, addii, lacrime, folla, sudore, qualche risata... malinconia.
Stazione di giovani ad attendere un treno che chissą dove cazzo li porterą, lontani dalla beffarda quotidianitą che li ha tenuti rinchiusi nelle loro case inzuppate di povertą, violenza, ignoranza.
Basta, basta piangersi addosso.
Via di qui, alla svelta.
Un cieco mendico č relegato in un angolo, emarginato, lasciato negli stenti dall'indifferenza pił totale dei passanti.
Tra i volti, una donna piangente, disperata; cerca di nutrire il suo bambino, ma invano: da quel seno non uscirą neppure una goccia disperata di latte.
Facce di Europei Occidentali si riconoscono tra la folla: magari sono qui in vacanza, magari per lavoro... magari chissą.
E di lontano il fischio del vapore si avvicina sempre di pił.
Ed ecco il treno.
Il Tunisi Express.
Il treno dalle mille sfaccettature, di tante vite accatastate l'una sull'altra, il treno soltanto ad una classe, senza alcuna distinzione, fatto di sudore, sangue, polvere, lacrime, vita vissuta.
Il contrario della guerra, del dolore e della solitudine.
Ore 8,40.
Il treno parte, mentre il fischio si allontana sempre di pił fino a scomparire verso Est.
La stazione č vuota.
Solo il vecchio mendico giace, esanime, in quell'angolo, relegato, ormai lontano dalle vicende del mondo.
Fuori sta per cominciare un'altra giornata di fuoco.



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Racconto scritto il 14/07/2011 - 10:40
Da Manuel Miranda
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