Il libro di Fiabe è illustrato con disegni ideati, inventati e dipinti dallo stesso autore, così pure l’immagine ad acquerello allegata al presente brano)
Un giorno il papà del piccolo Vincenzo decise, dopo una riunione di famiglia, di andare a trovare la nonna materna in città, a Catania, distante dal paesino più di un’ora di strada, con la nuova Fiat seicento colore celestino fiammante.
Non si trattava stavolta della solita visita di cortesia, neanche di dovere, piuttosto classificabile, di “necessità”.
Di fatti la motivazione sostanziale era che il figlio maggiore, doveva proseguire gli studi ginnasiali e poi il liceo classico in città.
In paese, l’istruzione era garantita sino alle elementari, mentre le medie inferiori, in un istituto privato nel paese vicino.
Per frequentare le scuole superiori, sorgeva, adesso, la necessità di trovargli una sistemazione in città, in qualche alloggio, in una stanza in famiglia oppure, tentare una possibile convivenza di quel giovane con quell’anziana nonna dal caratterino esuberate, per non dire autoritario, difficile… sino al limite dell’impossibile.
In poche ma essenziali parole, si prospettava il rischio e pericolo di andare proprio ad abitare con la nonna.
Di solito, quando si pensa a una parente di tal genere, s’immagina una vecchina dolce, indifesa, la nonnina dai modi gentili e cortesi, che sopporta tutto, si affatica e s’affanna; si sacrifica incessantemente per amore dei nipoti, dal carattere docile, zuccherato, mieloso.
Magari, sdolcinata, facile agli sbaciucchiamenti e alle carezze dei suoi adorati; che abbraccia e stringe forte i nipoti che non ha visto da mesi e che prepara dolci e dolcini per accattivarsi la simpatia.
Niente di tutto questo! Neanche per idea. Almeno, quella, non era la nonna del nostro racconto.
Basti pensare, per avere l’idea della sua indole, che era stata lei, in famiglia che si era presa la briga di tenere i rapporti con quel terribile pastore, il pecoraio insomma, cui aveva dato in pascolo quei suoi numerosi ettari di terreno, estesi dalla pianura alla montagna, ubicati in quel paese, ove vivevano i nipoti.
Non so adesso, ma allora, i pastori erano persone prevalentemente ignoranti, abituati a vivere isolati, dal carattere rozzo, duro e crudo, facile a un linguaggio scurrile, bizzarro insomma, senza l’uso di mezzi termini e spesso pure irriguardoso, colorato e colorito.
Riuscivano bene, però, a trasformarsi, usando tutta la loro furbizia e secondo le occasioni, in rispettosi e pietosi individui, soprattutto quando c’era da frodare la padrona, per poterla imbrogliare, fingendosi più poveri di quanto, in effetti, potessero essere.
Taluni £pecorai” abilissimi, diventavano dei veri camaleonti, capaci simulatori e mistificatori, insuperabili in situazioni difficili, fatti e circostanze particolari.
Ci stiamo riferendo, naturalmente, al personaggio secondario della nostra storia.
Costui compassionevoli, diventava convincente, riuscendo ad applicare egregiamente tutti i meccanismi della mala fede, per dimostrare che quell’anno, il solito insomma, il pascolo era andato male, che era stato duro e difficile, come il precedente; che il formaggio, la ricotta, e quant’altro in natura, era ridotto al minimo, a causa appunto delle cattive condizioni del tempo, della stagione, della siccità, pure della sventura chiamata in causa… insomma chi più ne ha, più ne metta.
Sta di fatto, che quando quella nonna doveva fare i conti di fine anno, dopo liti furibonde, riusciva a svergognare, in tutto e per tutto, il suo pecoraio, così pure le sue magagne.
Il linguaggio iniziale di entrambi gli interlocutori, da pietoso e rispettoso, passava a quello meno formale e tutt’altro che diplomatico.
Si tramutava in “spicciolo”, sino ad arrivare all’uso di una terminologia diciamo ravvicinata del terzo tipo, con l’impiego di parole sfrontate, senza mezzi termini, per non dire volgari.
Quella nonna riusciva a tenere sempre, sotto torchio, quell’incallito impostore che cercava, in ogni modo, d’infinocchiarla.
Quell’incontro o meglio dire “scontro” tra padrona del fondo e il pastore si trasformava, di conseguenza, in una gara, da una parte, al rialzo, dall’altra, al ribasso.
Il risultato finale era che la nonna dava sempre del filo da torcere, ottenendo, a fatica, un po’ di più, rispetto a quanto previsto.
Quello, se ne ritornava a casa sfinito e qualche volta soccombente, ma non più di tanto, perché le carte di riserva, riusciva a giocarsele sempre e comunque, proficuamente.
Ritornando al nostro racconto, il genitore del piccolo Vincenzo, quando decise di partire con alcuni componenti della famiglia, in visita a quella nonna materna, portò con sé, pure le figlie grandi e qualcuno dei maschi.
La partecipazione delle sorelle di Vincenzo, doveva servire a dare il tocco gentile, femminile; intenerire insomma quel cuore di nonna.
Rabbonirla, renderla docile, disponibile e gentile, giacché la mamma di quei ragazzi, di solito, evitava di recarsi a Catania per non riaprire quegli antichi rancori e contrasti mai sanati tra due duri caratteri forti.
Quello della madre e quello della figlia.
Il papà, come il solito, appena arrivato in casa della suocera, dopo i saluti, i convenevoli affettuosi e gli sbaciucchiamenti dei bimbi di rito, andava a fare a spesa.
In effetti, quell’anziana donna, viveva unicamente dei proventi di quella solita modesta rendita.
Anche a quei tempi, i terreni rendevano poco, specialmente se dati in coltivazione o a pascolo, a terzi. In mezzadria ancora di meno, soprattutto se ubicati lontani dall’occhio vigile del padrone.
Ecco perché l’anziana nonna non disponeva granché, dal punto divista economico.
Solo con la spesa del genitore quella famigliola incompleta, ospite in città, si riusciva a pranzare o a cenare, in modo diciamo dignitoso.
Bisogna pure precisare che quella nonna, soleva dichiarare a tutto il suo vicinato, di avere un affetto sviscerato, a modo suo, per il nipote Vincenzo, considerato buono, ubbidiente, insomma un vero angelo.
In realtà, era quel ragazzino che, conoscendo bene la crudezza di quel carattere, per non irritare, contrariare e tenersi buona la nonna, era disposto a fare qualsiasi cosa, a piegarsi al suo volere, ad accontentarla in tutto e per tutto, insomma in ciò che chiedeva, desiderava o imponeva.
Ecco perché era considerato un “angelo”, giacché quel bimbo, una risposta negativa, non la sapeva, non la poteva, non la voleva dare, per evitare contrapposizioni, contrasti e inutili conflitti che lo avrebbero visto di sicuro, miseramente soccombente in ogni caso, e per di più, con la nomea di maleducato, indisponente, pestifero e irrimediabile diavoletto di casa.
- Che non accada mai, pensava nella sua mente Vincenzo.
Per carità!
Preferirei morire piuttosto che deluderla.
Già che ne ho solo una di nonna, e pure autoritaria perché l’altra paterna, poverina, non l’ho mai conosciuta, morta giovane e...
Se ai suoi occhi appaio un tantino indisciplinato, sarò marchiato come insolente e sarò fritto per tutta la vita.
Era oramai convintissimo che per tenersela buona, dovesse fare pazienza e ubbidire, solamente secondarla.
Di questo ne era certo. Anzi era l’unica verità da cui far partire tutte le altre eventuali considerazioni e supposizioni.
La nonna, che viveva in citta da sola, era oramai risaputo che, per compagnia, teneva in casa un gatto.
Non certo una gatta.
E siccome gli ospiti in casa, giustamente, doveva deciderli lei e non altri, di gattine, animali diciamolo pure… di sesso femminile, non ne dovevano comunque circolare.
Di femmine, chiariamo meglio, lei soleva dire, che una sola doveva abitare casa sua, cioè se stessa.
E le nipoti?
Quelle magari, solo di passaggio. Le accettava, le tollerava sempre alle sue solide e ferme regole di comando e di sottomissione.
Fu proprio la sera in cui furono ospiti, non certo desiderati e neanche invitati ma subiti, che la nonna, prima di coricarsi, volle che uno dei nipoti facesse il solito rito serale.
Quale chiederete voi?
Abbiate pazienza e vi dirò tutto!
Chiamò con quel tono autoritario il nipote.
Chi se non il suo preferito?
- Vincenzino… Vincenzuccio tesoruccio mio…
Vieni gioia della nonna!
Principe mio, bello come il sole.
Buono e bravo come te, non esistono al mondo.
Mio Carissimo.
Veni che ti do un bacio
Adesso… subito… fammi un favore.
Abbassati e controlla se sotto il mio letto, il gatto ha fatto i suoi bisogni!
Sento una puzza insopportabile e non riesco a capire da dove viene.
Lo sai, se prima non trovo dove proviene questo fetore, non riesco a prendere sonno.
La mia asma ne risente e poi mi vengono gli spasimi.
Cerca tesoro della nonna...
Guarda bene e fiuta...
Trova da dove deriva questo maledetto puzzo procurato da quel gatto disgraziato.
- Come desideri tu nonna!
Sto guardando.
Mi sono abbassato.
Ma… non vedo niente.
Non c’è traccia alcuna di feci né di pipì di gatto.
Te lo posso assicurare nonna!
Non scorgo nulla e non penso che lo strano odore venga da qui!
- T’ho detto di guardare bene!
Sono sicurissima di ciò che dico.
Quello sciagurato fa di solito i suoi bisogni sotto il mio letto. Lo fa opposta.
Per farmi arrabbiare.
Tu piuttosto vedi di non contrariarmi perché io ho sempre ragione.
Non sbaglio mai! Ti vuoi mettere contro di me?
Non mi fare infuriare… sai… altrimenti ce ne sono pure per te.
Se mi contraddici, mi fai capire che sei come gli altri, falso e bugiardo.
Mi devi far cambiare opinione su di te?
- No nonna!
Per carità!
Adesso guardo ancora meglio.
Lo sto facendo.
Mi sto impegnando più che posso.
Non t’accorgi che mi do un gran da fare a girare sotto il letto?
- Dai, ispeziona bene!
Non essere strafottente, superficiale e vile.
Io li conosco quelli che vogliono imbrogliarmi.
Osserva bene, odora meglio, infilati ancora in fondo, proprio nell’angolino.
- Nonna mi devi credere!
Qui sotto non vedo nulla.
Come te lo devo dire?
Te lo assicuro.
Lo giuro.
- Disgraziato! Adesso…
Per colpa tua mi fai dire pure le parolacce…
Lo sai che non si giura.
Muoviti e cerca attentamente e non essere sfrontato e smidollato.
Mi vuoi fare imbestialire a tutti i costi, vero?
Lo devo punire quel gatto come ho fatto le altre volte.
Appena scopro la traccia dei suoi bisogni, lo vado a prendere e gli strofino il muso sulle sue stesse feci.
Anzi me lo acciufferai proprio tu.
Così quell’animale selvaggio impara a non fare queste schifezze indecorose in casa mia.
Hai trovato?
- Si nonnina!
Li ho trovati adesso, li vedo… gli escrementi del gatto.
Proprio nell’angolo ho intravisto la cacca completa di pipì!
Puzzano come fossero freschi.
Sei contenta?
Erano nascosti in fondo e col buio fitto, sotto questo tuo lettone non vedevo bene.
Avevi ragione tu.
Sei in gamba nonna
- Non mi sfugge nulla.
Lo dicevo.
Non sbaglio mai.
Vieni adesso, Vincenzuccio che ti do un bacio…
Prima vai ad afferrarmi quella bestia perché devo infliggergli la punizione che si merita.
L’ho promesso e lo farò assolutamente.
Con me non si sgarra!
Quel muso, glielo devo strofinate su quelle sue sozzerie che ha combinato di proposito, proprio sotto il mio letto.
Che animale indecente e schifiltoso!
- No nonna!
Non lo fare!
È un’operazione ripugnante, repellente, vomitevole.
Mi viene lo schifo.
Per favore…
- Schifo o no, la lezione bisogna pur dargliela!
Ecco!
Ora sono soddisfatta.
Con la lezione che gli ho dato, questo gattaccio, vedrai, che non lo farà più.
Adesso lo butto fuori dalla porta, così conciato com’è!
Sporco.
Col muso puzzolente della sua stessa cacca.
Così imparerà a fare quello che gli ordino.
I miei comandi non si discutono mai.
L’ho mille volte minacciato, ma ha voluto fare il sordo e il furbo.
Mentre tutto questo succedeva tra quella nonna e quel povero nipote, gli altri figlioli stavano guardando pietosamente ciò che Vincenzo era costretto a sopportare, senza poter fiatare e nemmeno dire mezza parola in suo favore.
Soprattutto le ragazze, avevano le facce sbigottite e disgustate per quella scena obbrobriosa.
Per la nonna, invece, era una normale operazione di rutine, di semplice ammonimento; un atto che reputava importante e assolutamente educativo per insegnare al gatto, i suoi doveri in quella casa.
Non soddisfatta ancora di quell’operazione, con aria di comando e con quel suo tono da Generale di corpo d’armata, misto a un linguaggio volutamente artefatto e sdolcinato, aggiunse.
- Adesso, principe mio, va a chiamare una delle ture sorelle.
Deve portare il secchio pieno d’acqua con lo straccio.
Occorre pulire sotto il letto e togliere i residui degli escrementi rimasti di quel maledetto gatto.
Lavare per bene la prima e la seconda volta, il pavimento.
Soltanto dopo potrò andare a letto.
È vero amore di nonna che quel fetore era insopportabile?
Ecco.
Adesso che è stato lavato tutto per bene, sì che sono soddisfatta.
È stata brava la tua sorellina.
Anche se poteva fare di meglio e impegnarsi di più.
Le donne di casa, di questi tempi, devono saper fare di tutto, anche questi, che possono sembrare adempimenti ripugnanti, da schifo e voltastomaco.
Comunque, tu ragazzina mia, dovresti ringraziarmi perché in questo modo hai fatto esperienza.
Ah... se non ci fossi io… la tua adorata nonna!
Il fatto è che vostra madre vi risparmia sempre le fatiche e le incombenze più fastidiose.
Vi vizia e vi educa male.
Comunque
L’ho sempre detto a tutti che ho dei bravi e ubbidienti nipotini.
Adesso possiamo andare tutti a dormire.
Beato lui…
Ammiro vostro padre che già dorme.
Si vede che è tranquillo e senza pensieri. Io invece … Povera me!
Lasciamo andare…
Buona notte nipoti miei.
Vieni Vincenzuccio… per premio, voglio regalarti un bacio.
Avvicinati.
Rimboccami le ora coperte tesoro mio.
- Ecco fatto nonna.
Il bacio, magari me lo darai domani.
Buona notte nonna.
- Ti raccomando Vincenzino!
Tu che sei un angelo, un santo e assomigli pure a San Dominico Savio… per bontà e mitezza…
Togliti, per favore, le scarpe che fanno rumore quando cammini per le stanze, altrimenti, non riesco a conciliare il sonno.
E poi lavati i piedi.
Fai attenzione però, che acqua di riserva, ne abbiamo poca.
Domani toccherà a uno di voi andare alla fontanella e prendere quella fresca per bere.
- Sì nonna!
C’è altro?
Posso spegnere il lume?
Stasera hanno tolto la luce.
- Spegnilo subito che si consuma troppo petrolio.
Che bravo figliolo!
Lo so che sei una creatura celeste.
L’indomani, come il solito, la nonna si recò in chiesa di prima mattina dopo aver fatto entrare il gatto in casa, rimasto fuori tutta la notte.
Doveva assistere alla Santa Messa e prendere la Santa Comunione.
Il papà con quei suoi familiari, si trovò in quella casa, seduto attorno a quel tavolo rotondo, ricoperto dalla tovaglia antica, di fiandra, ricamata écru.
Il genitore rivolgendosi soprattutto al figlio che doveva iniziare a frequentare gli studi in città, disse:
- È inutile aggiungere altro, figlioli cari, perché già so quello che volete dire e ciò di cui lamentarvi.
Avete pienamente ragione, ma che altro c’è da fare?
Se tu, figlio mio, vuoi proseguire gli studi, dovrai sopportare questa situazione, altrimenti torneremo in paese e chiuderemo questo discorso per sempre.
Conosci bene che tipo è la nonna e l’unico sistema per convivere con lei, in questa casa, è accettare il suo carattere, il suo modo di fare, con equilibrio e senza contrapposizioni.
Devi riderci sopra.
Del resto, i suoi comportamenti, a volte, sono così ridicoli e stravaganti da sembrare le comiche dei film.
Perciò conviene prenderli, possibilmente, in allegria.
Che puoi fare d’altro?
Non abbiamo scelta.
Non posso offrirti un’altra soluzione.
Non posso neanche mandarti a vivere in pensione perché costa caro; è una spesa insostenibile per la nostra famiglia.
Per amore del tuo stesso avvenire, dovrai sopportarla e far finta di nulla.
Piuttosto, ti consiglio di non contrariarla, non contrastarla, non litigare mai e per nessun motivo.
Non rispondere alle sue provocazioni e abbassa la testa quando ti rimprovererà.
Sii servizievole, disponibile e premuroso.
Sopporta con pazienza e umiltà e rendila sempre contenta.
Dille sempre di sì facendo quello che ti chiede.
- Lo sai papà che cosa ha combinato ultimamente la nonna? Intervenne quel figlio maggiore.
Vuoi sentire una sua barzelletta dagli sviluppi più tragici che comici?
L’anno scorso, con l’approssimarsi dell’estate, il cugino che era pure in questa casa, suo ospite per lo stesso motivo di studio, un giorno le disse che desiderava comprarsi un nuovo costume da bagno, per andare a mare, alla Playa, con gli amici.
Le chiese un consiglio.
Lo sai che cosa ha avuto il coraggio di rispondergli?
Indovina!
- Non ho la minima idea figliolo!
Arrivati a questo punto della situazione, non oso nemmeno pensare.
In questo momento, credo che la mia fantasia sia andata per conto suo, in libera uscita.
- Ebbene!
Te lo dico io papa!
Al nostro cugino, quindi suo nipote, tra l’altro più grande di me, la nonna ha risposto con queste testuali parole.
“Non preoccuparti caro mio, che ho una bella stoffa di lana nera conservata.
Te lo imbastirò io un bel costume per il mare.
Indosserai quello cucito con le mie stesse mani, così risparmierai!”.
Hai capito papà che cosa è stata capace di dire e di fare questa nonna?
Il cugino, per poco, non metteva le mani ai capelli e scappava via da questa casa.
- Lo dicevo figliolo che avevo ragione!
Bisogna prenderle come battute le cose che dice la nonna e riderci pure sopra, senza naturalmente mancarle di rispetto.
Devi sempre ricordarti che sei suo ospite, anche se pagante una piccola retta, ma pur sempre un ospite.
La decisione, adesso, è tutta tua.
Quello che ho potuto fare, l’ho portato a termine.
Mantenendoti a Catania, sacrificheremo tutta la famiglia.
In compenso, avremo la soddisfazione di aver speso bene i soldi.
- Si papà!
C’è poco da decidere.
Rimarrò qui a studiare.
Sarà dura!
In fondo…
Tutto sommato, la nonna è… pure simpatica e ci vuole bene, anche se a modo suo.
Del resto, sono suo nipote e se non ha affetto per me, per chi lo deve avere?
A Vincenzo, che sentiva e seguiva quei discorsi con gli occhi spalancati, venne spontaneo dire:
- Certo!
Se non è affettuosa con te, con chi deve esserlo, con il gatto?
Ho l’impressione, caro fratello, che la convivenza con lei sarà simile a quella con il suo felino e cioè, d’amore e d’odio.
Comunque che Dio te la mandi buona!
- Tu non intrometterti nei discorsi dei grandi! Lo richiamò quel papà.
Ancora sei piccolo e certe cose non le puoi concepire.
Su adesso, prepariamoci, così appena rientra la nonna, la saluteremo e ce ne ritorneremo in paese.
Per noi è già tardi ed io devo rientrare in paese e riprendere servizio.
Tu figlio mio, dovrai separarti da noi.
Sappi però, che ti vogliamo un gran bene e questo sacrificio di stare lontano, dovrà essere ricompensato dal tuo impegno nello studio.
Va bene?
Me lo prometti?
Tua madre non mi ha raccomandato altro che lasciarti ben sistemato e sereno.
Tutto sommato, ha fatto bene a non venire in città.
Sappiamo che tra madre e figlia non corre buon sangue e allora… meglio così.
Abbracciamoci ancora una volta.
Saluta i tuoi fratelli e ci rivedremo quando Dio vorrà!
Dopo i saluti con la nonna anziana da poco rincasata, quella parte della famigliola di Vincenzo prese la via del ritorno.
Erano tristi e pensierosi. Rientravano in paese, stavolta, con un componente in meno.
Vincenzo, che seguiva dietro il papà come una pecorella in fase di smarrimento, avanzò il passo e per attirare l’attenzione del padre, gli tirò lievemente il lembo della giacca dicendo:
- Papà!
Non l’ho salutato bene mio fratello.
Gli dovevo dire un’altra cosa.
Voglio tornare indietro.
- Smettila di infastidirmi che non è proprio questo il momento adatto.
Siamo tutti dispiaciuti per aver lasciato quel ragazzo da solo e tu aggiungi queste chiacchiere inopportune!
Non metterti pure tu ad aggravare la situazione.
Lasciami in pace e taci!
Cammina svelto e chiudi quella bocca.
- Gli dovevo lasciare il mio cow boy di piombo in regalo, per fargli compagnia.
Come farà senza?
- Lo sapevo che dovevi dire solo sciocchezze.
Sei il solito perditempo.
La colpa è solo mia che ti do retta.
Adesso basta
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